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Dopo l’equinozio: scalare l’autunno

Cambiano i colori, cambiano le temperature, cambia il numero degli arrampicatori. In questa stagione le pareti invitano alla scoperta. E tutto diventa più gratificante

C’è un momento, dopo l’equinozio d’autunno, in cui al mattino le mani cominciano a ghiacciare e l’erba si inzuppa di rugiada, come se la notte l’avesse lavata con pazienza. I primi passi sulla parete sono freddi, ma presto li avvolge un’onda di luce che rischiara il granito. È come un interruttore: spento e improvvisamente acceso.

La parete si asciuga in fretta, liberandosi delle grandi colate d’acqua che striano di nero le pareti. Le mani si appoggiano alla roccia, la sentono viva, ruvida e splendente, colorata dai primi raggi d’autunno. Tutto intorno, le cime sono appena imbiancate e la musica del torrente ricorda le forti piogge dei giorni passati. I colori della stagione emergono timidi, qualche foglia ingiallita tra le fronde, le bacche rosse dei sorbi, funghi colorati sparsi nel sottobosco. E il cielo, limpido e lontano, di un blu impossibile, sembra aprire la distanza fino a confini irraggiungibili. Finalmente si vede lontano. Finalmente si scala.

C’è sempre un po’ di paura quando ci si allontana dall’ultima protezione, ma che se ben calibrata poi diventa una singolare euforia. Non un invito a buttarsi in alto senza direzione, ma a scegliere percorsi alla propria portata ed evitare di affidarsi alla fortuna al posto della propria bussola.

Appiglio, passo, respiro, movimento, il corpo si muove come in un rituale. Da un approdo all’altro, ogni gesto è preciso; si afferrano piccoli funghi di anfibolite, cristalli sporgenti di feldspato, con due o tre passi leggeri in aderenza nel mezzo.

Poi mi fermo, osservo una nuova rotta e riparto. Oltre le chiome dei faggi si apre uno spazio sospeso dove aria pulita, sole, quiete, granito, cielo e il fragore incessante delle cascate si mescolano in un’unica sensazione.

Un senso di meraviglia che si rinnova ogni stagione, senza fine. Non sappiamo mai davvero cosa incontreremo e, in questo non sapere, ritroviamo ogni volta la ragione di salire.

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