Il dramma del Nepal: finalmente qualche segno di speranza
Dopo tre giorni di scontri e ben 22 vittime, l’Esercito nepalese ha preso il controllo del Paese. La situazione ha iniziato a migliorare. L’aeroporto di Kathmandu è stato riaperto e in montagna la situazione è tranquilla
Da Kathmandu, e dal resto del Nepal, da una settimana arrivano immagini tremende. Giovedì 4 settembre, quando il governo guidato dal marxista-leninista Khadga Prasad Sharma Oli, “K.P.” per i nepalesi, ha bloccato 26 social media, tra i quali WhatsApp, YouTube, Facebook e Instagram, decine di migliaia di persone sono scese in strada.
Per non guastare i rapporti con Pechino non è stata bloccata l’app cinese Tik Tok, ma proprio con questa i giovani hanno organizzato le manifestazioni. In prima fila, come riferisce Al Jazeera, anche i familiari dei 2,5 milioni (su poco più di 30) di nepalesi che lavorano all’estero, soprattutto negli Emirati Arabi e nel Sud-est asiatico, e che usano i social per comunicare con i loro cari.
Le manifestazioni sono rapidamente degenerate, non è chiaro se per responsabilità dei giovani o dei gruppi di “uomini palestrati e in motocicletta”, che secondo alcuni media si sarebbero infiltrati nei cortei. Le forze dell’ordine hanno sequestrato e mostrato alla stampa delle armi da guerra che sarebbero state sequestrate ai manifestanti.
A Kathmandu è stato incendiato il Singha Durbar, la sede del governo e del parlamento, e sono state date alle fiamme le case del Ministro degli Interni Arzu Rana, del premier Oli e dell’ex-premier. La moglie di quest’ultimo, che era in casa, è in gravi condizioni in ospedale per le ustioni.
Il presidente Ram Chandra Paudel, dopo un attacco analogo, è stato evacuato in elicottero e si è dimesso. A Pokhara, alcuni alpinisti diretti al Dhaulagiri hanno udito “sette od otto forti esplosioni”. Secondo Reporters Sans Frontières, che ha invitato i manifestanti a non attaccare i giornalisti, è stata incendiata anche la sede del gruppo editoriale Kantipur.
La polizia ha reagito con pallottole di gomma e idranti, e poi ha iniziato a sparare davvero, come si vede anche nelle immagini di Kathmandu trasmesse da alcuni telegiornali italiani. La decisione di Oli di riattivare i social, e gli appelli di Paudel alla calma e al dialogo, non hanno placato le proteste.
Il bilancio delle vittime degli scontri, che lunedì sera era di 19 morti, il giorno dopo è salito a 22, più centinaia di feriti. Martedì 9 settembre l’aeroporto Tribhuvan di Kathmandu è stato chiuso al traffico, isolando il Nepal dal resto del mondo. Martedì sera la parola è passata all’Esercito, che ha imposto un coprifuoco in tutto il Nepal, annunciando nuove decisioni per giovedì.
In un video il Capo di Stato maggiore, il generale Ashok Raj Sigdel, ha espresso “dolore per la perdita di vite e di beni nelle manifestazioni”, e ha messo in guardia la cittadinanza contro “gli elementi anarchici che si sono infiltrati nei cortei, incendiando edifici, saccheggiando e tentando anche delle violenze sessuali”.
“Contro i responsabili di questi atti criminali, le forze di sicurezza interverranno con forza”, ha proseguito il generale. Un altro comunicato dei militari ha invitato “giornalisti, pubblici funzionari e tutto il pubblico a credere solo ai comunicati ufficiali e ad aiutare l’Esercito”.
Gli stranieri che si trovano in Nepal sono invitati a mettersi in contatto con le forze di sicurezza, con l’aiuto di tour-operator e alberghi. Viaggiare Sicuri, il sito del nostro Ministero degli Esteri, raccomanda ai connazionali “di limitare al massimo gli spostamenti, di rispettare il coprifuoco e le istruzioni delle autorità locali, mantenendosi aggiornati attraverso i mezzi di informazione in lingua inglese”.
L’invito è a scaricare la App ViaggiareSicuri, attivando la geolocalizzazione, o a registrarsi su www.dovesiamonelmondo.it. In caso di emergenze, si devono contattare il Consolato d’Italia a Calcutta, competente per il Nepal, allo 0091.983.1212216, o l’Unità di Crisi della Farnesina allo 06.36225.
Non è la prima volta che in Nepal i dissidi interni si trasformano in una guerra civile, o in qualcosa che le somiglia da vicino. Tra il 1997 e il 2008, la rivolta dei Maoisti contro la monarchia ha causato circa 13.000 morti.
Il 1° giugno 2001, il principe ereditario Dipendra ha aperto il fuoco con un’arma da guerra dentro il Palazzo Reale di Narayanhiti, uccidendo il padre re Birendra e altri familiari prima di suicidarsi, una strage su cui non è mai stata fatta chiarezza. Nel 2008 l’ultimo sovrano, Gyanendra, ha lasciato il posto alla repubblica.
Da allora, però, il rapido succedersi dei governi e la corruzione della classe dirigente hanno fatto crescere il malcontento popolare. Nonostante i successi dell’industria del turismo, a iniziare dalle agenzie delle spedizioni commerciali agli “ottomila”, molti stipendi non arrivano a 100 euro al mese e l’emigrazione continua. Ricordiamo che, negli anni scorsi, rivolte della “Generazione Z” (i giovani nati tra il 1990 e il 2010), simili a quella dei giorni scorsi in Nepal, hanno fatto cadere i governi del Bangladesh e dello Sri Lanka.
Mercoledì 10 settembre è arrivato qualche segno di normalizzazione. “L’aeroporto di Kathmandu ha riaperto, e le compagnie aeree stanno iniziando a tornare. Nessun italiano è stato ferito negli scontri, e gli itinerari in montagna sono tutti sicuri. L’alta stagione del trekking sta per iniziare, e non dovrebbero esserci problemi” spiega Paolo Nugari, console onorario del Nepal in Italia e tra i responsabili del tour operator Avventure nel Mondo.
La politica nepalese, gestita da un piccolo gruppo di anziani, è sempre sopravvissuta a sé stessa. Stavolta, però, il cambiamento potrebbe esserci davvero. “La voce della gioventù nepalese, che si è alzata contro la corruzione chiedendo dignità, è stata messa a tacere con pallottole e manganelli. Il loro sangue è una macchia sulla coscienza della nazione” recita un editoriale del quotidiano The Himalayan Times uscito il 9 settembre.
“Questa è l’essenza della democrazia, la volontà del popolo che si afferma con più forza dell’arroganza, dell’avidità e della manipolazione politica” prosegue il testo. “La classe politica deve capire – e mai dimenticare – che il suo potere è solo preso in prestito dal popolo. Ma ricordiamo anche che la democrazia non può prosperare tra furia e fiamme. Oggi abbiamo davanti un nuovo Nepal, dove la trasparenza deve rimpiazzare la corruzione. Onoriamo le vittime con i fatti, costruendo un Paese onesto, democratico e trasparenze. Viva il nuovo Nepal!”
E’ possibile che ciò accada? E in che tempi? “Le mie fonti a Kathmandu dicono che i militari vogliono restituire il potere ai civili, facendo incontrare ciò che resta del governo e i manifestanti. Il problema è che tra questi ultimi, fino a ora, non è emersa una leadership in grado di affrontare questo processo”, spiega ancora Paolo Nugari. “Nella politica e nella società civile del Nepal, però, queste figure ci sono. Serve tempo perché emergano, e si assumano le proprie responsabilità”.