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Monteviasco, dieci abitanti e tanta voglia di ripartire. Senza esagerazioni

Il borgo a 950 metri di quota si raggiungeva percorrendo una mulattiera con 1442 gradini. La rinata funivia aiuta il borgo, dove un tempo vivevano 464 persone, a rinascere. Ma in certe domeniche l’assalto dei turisti diventa insostenibile

In provincia di Varese, a 950 metri di quota, c’è un paesino davvero speciale. Si chiama Monteviasco, è caratterizzato da antiche case in pietra con balconi in legno e tetti di piode e da strette vie lastricate. In linea d’aria, la Svizzera è vicina: il paese si trova infatti in fondo alla Val Veddasca, una valle condivisa fra Canton Ticino e Italia, solcata dal torrente Giona che nasce sul Monte Tamaro e si getta nel lago Maggiore a Maccagno. Monteviasco è uno dei tanti borghi di media montagna vittime dello spopolamento. Troppo lontano dalla città, troppo complicato viverci, avere un lavoro, mandare dei figli a scuola. Così oggi i residenti fissi del paese sono meno di una decina. E a rendere la loro situazione ancora più particolare è l’assenza, da sempre, di una strada carrozzabile. A Monteviasco non si arriva in macchina, ma affrontando una mulattiera ottocentesca di circa 1442 gradini, con un dislivello di circa 400 metri da Ponte di Piero, l’ultimo avamposto raggiungibile in auto. Questo isolamento è un’arma a doppio taglio. Se da una parte scoraggia le persone a venirci a vivere in pianta stabile, dall’altra ha preservato l’autenticità di questo borgo che sembra un presepe con vista panoramica sul Lago Maggiore. Nella decima edizione dei Luoghi del Cuore del FAI, nel 2020, Monteviasco è stato fra i più votati a livello nazionale.

La travagliata vita della funivia costruita per contrastare l’isolamento

Per sopperire ai bisogni più elementari degli abitanti, nel 1989 è stata realizzata una funivia. Finalmente, per fare la spesa – a Monteviasco non ci sono negozi – o per andare dal medico non è stato più necessario scendere lungo la ripida mulattiera. Ma il 12 novembre 2018, il disastro: durante un intervento di manutenzione il tecnico perde la vita e l’impianto viene fermato per accertamenti. «Per sette anni, gli abitanti di Monteviasco e chi ha una seconda casa in paese, come la mia famiglia, hanno dovuto rassegnarsi a usare la mulattiera», racconta Letizia Rubinato, 24 anni, segretaria dell’associazione Monteviasco Borgo e Natura e grande appassionata del borgo. «Per portare la spesa in paese, per fortuna c’era una teleferica privata. Si poteva caricare a valle gli acquisti e chiedere di trasportarli a Monteviasco». Poi, a marzo di quest’anno un guasto ha bloccato la teleferica, rendendo la situazione più complicata. La svolta è finalmente arrivata il 10 agosto scorso: la funivia, in gestione ad ATM, è stata resa di nuovo accessibile alle persone e riaperta. Per gli abitanti del paese, è stata la fine di un incubo. Anche se, come racconta Letizia, molti di loro sono persone attive e allenate, che nel periodo di isolamento del borgo hanno usato la mulattiera.

Il modo migliore per scoprire Monteviasco è salire a piedi. L’ascesa richiede poco più di un’ora, lungo la mulattiera che attraversa boschi di castagno. Salendo si incontrano due cappelle votive, mentre la fine del percorso è segnata dal santuario della Madonna della Serta. Non è l’unica del paese: nel centro, svetta il campanile della chiesa dei Santi Martino e Barnaba. «In occasione dell’ultima festa di San Martino, a novembre, siamo riusciti a organizzare una festa con 200 persone, giunte a piedi e qualcuno in elicottero», racconta Rubinato. In paese c’è un antico lavatoio e per godere di un panorama sul lago Maggiore due sono i punti privilegiati: il cimitero, oppure l’Osservatorio Astronomico a pochi minuti dal paese, gestito dall’associazione astronomica Ipazia di Bisuschio, che organizza anche serate di osservazione.

Nel XIX secolo gli abitanti erano 464

Camminando per le vie del paese, si respira l’aria della storia. Quanti anni avrà Monteviasco? Una leggenda popolare racconta di quattro briganti fondatori – tali Morandi, Cassina, Dellea e Ranzoni – che durante il dominio spagnolo avrebbero portato con sé delle donne del vicino paese di Biegno. «Se anche i briganti fossero esistiti davvero», spiega Letizia, «non avrebbero certo trovato un luogo disabitato. Fuori da Monteviasco e sull’Alpe Cascinelle sono state trovate incisioni rupestri dell’Età del Ferro. I primi abitanti erano popolazioni celto-liguri. E poi, la chiesa parrocchiale esisteva già nel XII secolo, anche se non nella forma attuale. È probabile che i quattro soldati messi al bando per qualche motivo siano giunti qui. Quanto alle donne rapite da Biegno, è pura leggenda. Di sicuro nel Settecento c’è stata una penuria di donne, che erano fondamentali in questa piccola comunità di montagna, che funzionava in chiave matriarcale. E gli abitanti hanno invitato qualche donna di Biegno a venire a lavorare in paese. Qualcuna si sarà innamorata e vi è rimasta. Gli uomini se ne andavano per trovare lavoro in Svizzera o sul lago, in paese restavano le donne con i bambini e gli anziani a gestire le case e la quotidianità del borgo». Letizia Rubinato conosce bene queste storie: i suoi nonni erano di Monteviasco, uno di loro lavorava a Cusello in Canton Ticino. «Andarci a piedi richiedeva parecchie ore, quindi si fermavano lì durante la settimana. Alcuni trascorrevano l’intera stagione lavorativa lontano dal borgo».

All’inizio dell’Ottocento Monteviasco contava 464 abitanti ed era un comune autonomo. Soppresso da Napoleone e aggregato a Curiglia, tornò municipio sotto gli austriaci. Ma il calo della popolazione era già iniziato. La gente lasciava le terre di montagna per cercare fortuna altrove. E nel 1928 il governo di Mussolini cancellò definitivamente il comune. Oggi Monteviasco è unito a Curiglia, che è raggiungibile in auto. «A Monteviasco fino agli anni Settanta c’era la scuola elementare», aggiunge Rubinato. «Poi, i bambini dovevano scendere a valle per frequentare le medie. Qualcuno andava in collegio». L’esigenza di far studiare i figli, unita a un’agricoltura di montagna che rendeva poco, ha spinto tante famiglie ad andarsene. Magari in qualche paese più in basso, non lontano da Monteviasco, mantenendo la casa nel borgo per portarci i bambini d’estate o per andarci nei weekend. «In paese ci conosciamo tutti. C’è un rapporto unico con le persone, all’insegna della solidarietà. Negli anni senza funivia, ci siamo sempre dati una mano», racconta Rubinato. «Monteviasco ti insegna a essere previdente, a non avere mai la dispensa vuota». È stato prezioso anche l’aiuto dei Carabinieri di Dumenza, che durante l’isolamento hanno portato posta, medicine e cibo a chi non ce la faceva a scendere.

Un borgo incantato, ma a rischio overtourism domenicale

A Monteviasco c’è una foresteria e ad agosto erano aperti due ristoranti. La funivia nasconde un rischio: quello di rendere il paese troppo facilmente accessibile. I danni dell’overtourism sono già evidenti in molti luoghi di montagna. L’associazione di cui fa parte Letizia Rubinato anima il paese: organizza tombole, laboratori floreali, cinema. Si occupa anche del verde e della pulizia del paese, gestendo la spazzatura dei tre cestini e dei residenti, che viene portata a valle, dove intervengono gli operatori. «Abbiamo tutti a cuore Monteviasco: il paese non morirà mai finché ci saremo noi», dice. Ma come si reagisce quando un piccolo borgo è preso d’assalto? «È già successo: in un giorno sono stati venduti 500 biglietti della funivia, più altre 250 persone sono salite a piedi. Il risultato? Il giorno dopo, in paese era finita l’acqua. Sono favorevole al turismo, ma in numeri più limitati. Non c’è spazio per tutti». Bisognerebbe educare le persone a portarsi via almeno i propri rifiuti e a non gettare mozziconi di sigarette. Monteviasco si è preservato finora perché chi sale a piedi ha in genere un atteggiamento rispettoso per la montagna e l’ambiente, che tutti dovrebbero tenere.
Infine, una dritta per i camminatori allenati: da Monteviasco si può proseguire e raggiungere il Monte Polà (1742 m), la cima più elevata della provincia di Varese. Il percorso prevede circa 800 metri di dislivello, che vanno ad aggiungersi ai 400 per raggiungere a piedi il paese, per un cammino di oltre tre ore.

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