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La croce del Monviso ha compiuto 100 anni

Simbolo, non solo religioso, dell’identità locale, la croce fu installata il 30 agosto 1925 in sostituzione della precedente distrutta dai fulmini.

Non è la vetta più alta delle Alpi, eppure la sua sagoma inconfondibile domina il paesaggio piemontese: il Monviso, con i suoi 3.841 metri, da sempre funge da punto di riferimento geografico, culturale e simbolico per le valli circostanti e la pianura che si distende fino a Torino e oltre. Chiamato in epoca romana Mons Vesulus, il Monviso si staglia isolato rispetto alle altre cime alpine, rendendolo visibile da gran parte del Piemonte. La sua forma affilata, con creste e pareti verticali, gli conferisce un profilo unico, immediatamente riconoscibile d’inverno come d’estate, da chilometri di distanza.

La storia della croce del Monviso ha radici profonde. Già nel 1896, l’ingegnere Giuseppe Gastaldi aveva concepito una struttura monumentale, destinata a dominare il paesaggio: trasportata in vetta dalle guide di Crissolo, questa prima croce era alta sei metri per quasi tre di larghezza. Due anni dopo, lo stesso don Achille Ratti (il futuro Papa Pio XI) vi faceva visita, dopo essere salito per la via normale sul versante sud. Ma la fragilità intrinseca della struttura non le permise di resistere a lungo, finendo distrutta da neve e fulmini.

Fino ad arrivare al 30 agosto 1925, quando un gruppo di giovani dell’Azione Cattolica di Racconigi, guidati dal viceparroco don Bruno Garavini e in collaborazione con la guida alpina Claudio Perotti, si mise all’opera per erigere una nuova croce. La costruzione fu un vero e proprio atto di fede alpinistica: venti persone trasportarono faticosamente in quota i sessanta componenti in ferro battuto, realizzati dall’abile fabbro Luigi Tribaudino. Non si trattava solo di un gesto religioso, ma di un simbolo di identità locale: un segno visibile da lontano che ricordasse valori di solidarietà, coraggio e dedizione.

Basti pensare alle enormi difficoltà logistiche: salire lungo sentieri impervi, tra rocce e ghiacciai, con carichi pesanti (la croce supera il quintale) richiedeva resistenza fisica, pianificazione e lavoro di squadra. Le cronache dell’epoca raccontano di notti passate in rifugi di fortuna, cordate organizzate con precisione per affrontare i tratti più esposti e giornate interminabili sotto il sole o tra forti venti. Ogni passo rappresentava a quel tempo una vera e propria sfida, affrontata con determinazione dal gruppo.

Negli anni, alla croce si sono aggiunte una stele dedicata a Gesù e alla Madonna, oltre ad un medaglione commemorativo del Giubileo del 2000. Proprio in quell’anno, la croce fu sottoposta a un restauro complesso, che richiese la discesa in elicottero e un mese di lavorazioni specialistiche. Arrivando a rappresentare, oggi, un punto di riferimento, non solo fisico ma simbolico: raggiunta da escursionisti e alpinisti, testimonia il legame profondo tra le popolazioni locali e il territorio.

Per celebrare il centenario, l’associazione Mandacarù di Racconigi ha recentemente organizzato due giorni di eventi alle Casermette di Pian del Re, con escursioni guidate, esposizioni fotografiche e incontri sulla storia della croce e dei suoi protagonisti. Come ha ricordato il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che ha celebrato una messa per l’anniversario: “La croce sulla vetta saluta l’alpinista, invitandolo a guardare in alto. È un prolungamento della cima, un simbolo di incredibile bontà e non violenza. Oggi più che mai abbiamo bisogno del messaggio di questo simbolo: i credenti sono una minoranza, ma i cercatori di umanità sono ancora la maggioranza. E da cento anni quella croce ci offre una strada per diventare umani”.

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