South 6: la meravigliosa avventura di Silvia Loreggian e Aurélia Lanoe
Due guide alpine e un progetto lungo un mese: attraversare le Alpi in bici da mare a mare, a emissioni zero scalando sei grandi pareti Sud. Missione compiuta.
Prima dell’alba del 31 agosto, Silvia Loreggian e Aurélia Lanoe sono arrivate in bici sulla spiaggia di Monfalcone, terminando il loro progetto ‘South 6’. Di cosa si tratta? Realizzare una traversata delle Alpi in bicicletta da Ovest a Est, dalla Liguria al Friuli, scalando 6 grandi pareti Sud su altrettante vie di arrampicata: Ge.La.Mo. sul Corno Stella, Bonington al Pilone Centrale del Freney sul Bianco, Caminando sul Wendestocke, Schwarzer Diamant sul Ratikon, Tempi Moderni sulla Marmolada e Nouvelles sensations sul Coglians. Un’impresa alpinistica ma anche un viaggio nelle montagne di casa, a emissioni zero e completamente sostenibile.
Il resto ce lo ha raccontato direttamente Silvia Loreggian.
Come è nata l’idea di imbarcarsi in questo viaggio?
Ho avuto per la prima volta l’idea l’anno scorso, quando ero sul K2, in un contesto del tutto ‘nordico’. Ho pensato: “Va bene, però l’anno prossimo voglio scalare su roccia, e su roccia di qualità”. Per me dal punto di vista tecnico le pareti Sud rappresentano la scalata vera e propria, mentre le Nord ti costringono a ‘ravanare’ sempre un po’. Ho proposto questa idea ad Aurélia e a lei è venuto in mente che avremmo potuto collegare le sei pareti con la bicicletta, per dare al progetto la dimensione di un viaggio unico, non solo una serie di scalate, e la dimensione ecologica.
Volevamo vivere un mese a emissioni zero, questo vuol dire che anche l’aiuto che abbiamo avuto da altre persone, ad esempio nel trasporto dell’attrezzatura da arrampicata, doveva essere ecologico. Abbiamo accettato il trasporto di materiale in auto solo se quella persona aveva già in programma di fare quel tragitto, altrimenti sarebbe stata un’impresa sostenibile solo di facciata. Per noi era molto più importante essere fedeli a questo concetto che realizzare una performance sportiva in tempi sensazionali.
Essere sulle montagne di casa ci ha anche permesso di farci aiutare da tanti amici che abbiamo in zona, per esempio con i pernottamenti, e di condividere un pezzo di strada. Questo è stato un aspetto molto bello di questo progetto, che ad esempio se vai in spedizione dall’altra parte del mondo non hai.
Come avete scelto le pareti da scalare?
Quelle da cui è partito tutto sono state la Sud del Bianco e la Sud della Marmolada. Poi sono venute in modo abbastanza naturale le due in Svizzera, e poi ne abbiamo aggiunte una all’estremo Ovest (il Corno Stella) e una all’estremo Est (il Coglians) per abbracciare tutto l’arco alpino. Abbiamo cercato di organizzare le tappe in modo da fare 2-3 giorni di trasferimento in bici e una giornata in parete.
Ci eravamo prese un mese e una settimana per portare a termine il progetto, in modo da avere qualche giorno cuscinetto in caso di maltempo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta in un mese. Io ero per niente allenata per la bici: l’avevo comprata due mesi prima di partire per il progetto, e prima al massimo avevo pedalato come mezzo di trasporto casa-lavoro. Ma siamo persone abituate a macinare chilometri e dislivello, quindi da quel punto di vista ce la siamo cavata.
Ci sono stati momenti difficili? In cui avete pensato di mollare?
Di mollare non si è mai parlato, forse perché siamo state molto fortunate con il meteo. Il bel tempo ci ha caricato di entusiasmo, è come se sentissimo che la fortuna sorrideva al nostro progetto. Ha cominciato a fare brutto solo durante l’ultima settimana, e ormai eravamo troppo vicine alla meta per demoralizzarci.
Qualche momento difficile comunque c’è stato, soprattutto durante le tappe in bicicletta. Quando siamo ripartite da Chamonix dopo aver scalato il Pilone Centrale del Freney faceva caldissimo, era una tappa lunga ed eravamo stanche per l’arrampicata. È stata una giornata di quelle che continui a guardare l’orologio e non vedi l’ora che faccia buio e finisca, e comunque abbiamo pedalato dall’alba al tramonto.
Poi durante gli ultimi giorni, per andare dal Ratikon verso le Dolomiti abbiamo pedalato intere giornate sotto il diluvio universale, su tappe da 130 chilometri con 2000/3000 metri di dislivello positivo al giorno. Già in bici non si riesce a scambiare una parola con chi sta davanti o dietro, poi con quel meteo sono state davvero giornate mistiche e introspettive. Menomale che c’erano delle belle playlist nelle orecchie a farmi compagnia in questi momenti.
Per te è stata ovvia la scelta di Aurélia come compagna di viaggio?
Si, quando ho pensato a questo progetto mi è subito venuto in mente di farlo con lei. La conosco da 3 o 4 anni, ma già dalla prima volta che l’ho vista ho sentito un feeling particolare. Siamo molto allineate nel modo quotidiano di approcciarci alla vita, siamo entrambe molto entusiaste. Io volevo vivere questo progetto come un viaggio, e quindi con qualcuno con cui avevo piacere a condividere un’esperienza. Ho pensato subito ad Aurélia come la persona giusta per un’avventura in cui c’è continuamente da prendere decisioni all’ultimo minuto, e infatti tutto si è rivelato molto semplice, ogni piccolo inconveniente lo buttavamo subito sul ridere. Per me aveva più peso scegliere il compagno giusto per gli aspetti quotidiani che per la giornata in parete. Alla fine la scalata è una questione abbastanza personale, mi sentivo padrona di poter gestire tutte le 6 pareti del progetto, la sfida era tutto il resto.
Come è stata la fine del progetto?
In questi ultimi giorni ci era rimasta da scalare l’ultima parete, quella del Coglians, ma continuavamo a posticipare facendo tappe più brevi in bici perché era brutto tempo. Quando siamo arrivate al Rifugio Marinelli, abbiamo tentato di iniziare la scalata ma abbiamo preso l’acqua in parete e abbiamo dovuto ritirarci. A quel punto non c’era più posto in rifugio, allora siamo dovute scendere a una malga più in basso ma anche lì non c’era posto. La ragazza che ha preso in gestione la malga è stata così gentile da proporci di dormire in macchina. La sua.
L’idea per la mattina dopo era quella di scalare tutta la parete e poi inforcare le bici e andare direttamente in spiaggia a Monfalcone. Quando è suonata la sveglia, alle 5.30, ci siamo rese conto che eravamo chiuse dentro la macchina, che non si poteva aprire dall’interno. L’unica opzione è stata tornare a dormire, finché alle 7.30 qualcuno non è venuto ad aprirci. A quel punto avevamo già fatto la bocca all’idea di concludere il progetto quel giorno, quindi ci siamo date l’obiettivo di arrivare al mare all’alba. E così, dopo la giornata in parete abbiamo pedalato per tutta la notte con le frontali, facendo qualche pausa per ricaricare le batterie nella pizzeria dove abbiamo cenato e poi con i power bank. Siamo arrivate in spiaggia alle 4.30 del mattino, stravolte, e abbiamo aspettato l’alba facendo un bagno al buio. È stata una conclusione diversa da come me la ero immaginata, ma comunque bellissima.