
È un’estate in cui le frane in alcune aree delle Dolomiti tengono banco. Soprattutto quelle che staccatesi dal monte Antelao e dalla Croda Marcora nel gruppo del Sorapiss, hanno interessato e stanno tenendo sotto scacco la strada statale 51 di Alemagna, principale direttrice per raggiungere Cortina d’Ampezzo, creando grandi disagi.
Qui però vogliamo ricordare una grande frana, di cui ancora oggi restano evidenti i segni, che interessò nei secoli passati, quasi l’intero versante orientale della conca d’Ampezzo, espandendosi a ventaglio in tutto il fondovalle. Una frana su cui è sorto poi il centro abitato di Cortina e molti suoi villaggi.
La conferma venne dal rinvenimento di molti reperti arborei, di abete rosso, abete bianco, larice e faggio, venuti alla luce durante lavori edili che si spingono fino a 15 metri di profondità dal piano di campagna. Lavori, questi, eseguiti per la posa di fognature o negli scavi profondi per la costruzione di garage o ampliamento di edifici nel centro abitato di Cortina.
Lo studio
Ebbene, fu proprio un’indagine scientifica, eseguita su due di questi reperti negli anni ’80 del secolo scorso, che permise di datare quel legno, attraverso analisi radiometriche con il metodo del Carbonio 14. Analisi eseguite presso un laboratorio dell’Università La Sapienza di Roma e presso il laboratorio Teledyne Isotopes di Westwood nel New Jersey (U.S.A.). Quei tronchi e il loro rapporto con il materiale inglobante provano inequivocabilmente che furono coinvolti nel movimento franoso e non sono stati rimaneggiati.
I risultati di quelle indagini indicarono una sostanziale identità cronologica, che ci permette di attribuire il loroseppellimento al V-VI secolo d.C.
Si può dire quindi che essi fanno parte del grande evento franoso che scese lungo l’antica val Begontina, quindi dal versante che guarda Cortina del Passo Tre Croci, e che occupò la conca fino alla sua confluenza con la valle del Boite, deviando il corso del torrente e intasando anche un settore di quest’ultima.
La catastrofe
Durante la sua caduta la frana travolse tutto quello che incontrò. Se qualche cacciatore o pastore fosse stato presente a quell’evento avrebbe certamente assistito a una catastrofe di immani proporzioni. Ma non vi è nessuna testimonianza storica e qualora ci fosse stato qualche insediamento di epoca romana (non escluso da un’ipotesi formulata dal grande architetto Edoardo Gellner; è infatti accertato che i Romani si stabilirono nella valle del Boite fino almeno a Valle di Cadore) non ne sarebbe rimasta alcuna traccia.
Resta invece ancora ben distinguibile il corpo di frana che si apre a ventaglio in corrispondenza dell’abitato di Cortina allungandosi verso sud lungo la sponda sinistra del Boite, fino alla località Salieto. Il suo spessore, dalla piazza della chiesa parrocchiale fino all’alveo del torrente Boite è di circa 35 metri.
Non si trattò di una frana per crollo, ma di materiale argilloso e marnoso, incoerente e caotico, traslocato per scivolamento verso il fondovalle e che ingloba blocchi dolomitici prevalentemente concentrati nella parte inferiore del corpo di frana.
Dissesti e deformazioni plastiche si sono susseguite anche nei secoli successivi, soprattutto nei pressi di Stalin e Alverà e hanno una certa attività ricorrente.
Un libro La grande frana su cui è sorta Cortina d’Ampezzo (Edizioni Dolomiti Cortina, 1986), di cui sono autori il grande naturalista ampezzano Rinaldo Zardini, Mario Panizza, professore di geomorfologia all’Università di Modena, e chi scrive, da cui sono tratte le immagini che qui pubblichiamo, analizza nel dettaglio quel grande evento franoso.
Le conclusioni che si possono trarre è che l’area del centro abitato di Cortina è relativamente giovane, e certamente nessun insediamento umano avrebbe potuto essere risparmiato da quella catastrofe del V-VI secolo d.C.. D’altro canto non vi è alcun cenno storico del paese prima del 1156 d.C..