
Inaugurato nel 1951, il Rifugio 7° Alpini si trova nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Sorge a 1.502 metri di quota ai piedi della parete Sud della Schiara. Incontriamo Fabrizio Gaspari che da due anni gestisce il rifugio con la moglie Chiara: entrambi sono ingegneri, Fabrizio è anche aspirante guida alpina.
Cosa vi ha portato a una scelta di vita così importante?
Siamo nati e cresciuti a Belluno e quindi la montagna è sempre stata presente nelle nostre vite, sia come panorama da casa, sia come frequentatori. Chiara aveva trascorso un paio di stagioni come tuttofare in rifugi e aveva compreso che questa poteva essere la sua strada. Io frequentavo il rifugio dove Chiara lavorava e avevo maturato la stessa idea. Appena abbiamo saputo che c’era la possibilità di partecipare al bando per il 7° Alpini ci siamo buttati. Era la nostra occasione. Abbiamo presentato il nostro progetto di gestione e apprendere di essere stati scelti ci ha resi davvero felici.
Cosa si prova guardando la “Grande Muraglia della Schiara” dal rifugio, non a caso Il luogo del cuore dei bellunesi?
È un luogo speciale perché da un senso di pace perché è posto nel bel mezzo di una zona non antropizzata. Siamo nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi ed essere tutelati è un aspetto molto importante, credo lo percepisca benissimo chi sale fin quassù da Case Bortot. Il sentiero tecnicamente non è difficile ma son comunque 900 metri di dislivello da superare ed è un filtro naturale. Chi raggiunge il rifugio è un amante della natura, non può non apprezzare la tranquillità e l’autenticità del luogo. In molti poi arrivano dalle ferrate che scendono dalla Schiara e una volta qui si rendono conto da dove son scesi. L’emozione più comune è l’ammirazione per quanto di bello qui ha disegnato la natura e guardare dal basso dove si è passati fa rimanere in silenzio nel silenzio della valle.
Sei aspirante guida alpina, riesci a conciliare la professione con la gestione del rifugio?
A inizio e fine stagione il problema non si pone. In piena estate invece rimanere lontano dal rifugio non è possibile; quindi, mi concentro su quanto offre la Schiara: non è poco perché qui c’è di tutto per tutti. Il fine settimana non lascio spesso il rifugio anzi, perché stiamo ancora cercando di ottimizzare la gestione di entrambe le attività che sono interconnesse. Per certo privilegio la qualità della proposta e i clienti questo lo apprezzano molto, ragiono molto su come strutturare il programma da proporre e anche la tipologia di clientela che ci raggiunge aiuta non poco. La frequentazione del rifugio, come ho già detto, è di buon livello e è paragonabile a pochi altri luoghi.
Il programma di attività del rifugio è molto ricco. Partecipano i clienti alle vostre iniziative?
Assolutamente si. Organizziamo concerti, dibattiti, presentazioni di libri. Molti eventi sono organizzati in collaborazione col Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi che mette a disposizione una guida per accompagnare in rifugio. Così la salita diventa più interessante e la partecipazione è ottima. Qualche evento lo proponiamo prima di cena e spesso le persone rimangono a dormire. Organizzare in quota è diverso che farlo in città e vedere tante persone è davvero bello.
Il rifugio è un crocevia di sentieri molto diversi tra loro, chi è il vostro ospite tipo?
Parlando di clienti dividerei chi sale qui in tre macrocategorie. C’è l’escursionista classico che sale, per esempio, da Case Bortot. È un sentiero che impegna per almeno due ore e mezzo/tre ma non ci sono difficoltà, è molto ben tenuto e alla portata di quasi tutti, basta un po’ di allenamento. Poi c’è chi non si accontenta e vuole salire la Schiara. Ci sono cinque vie ferrate accessibili dal rifugio e molti dormono da noi e il giorno dopo salgono da soli o con una guida alpina. Infine, e sono i meno numerosi, ci sono coloro che vengono per arrampicare e la Schiara offre numerose vie. È un ambiente maestoso che attrae ma è montagna severa, quindi, adatta ad alpinisti esperti. Non ci si può improvvisare.
Immagino che dal 1951 a oggi in questo rifugio siano passati tanti alpinisti di primo piano
Dal 1951 si sono susseguiti numerosi di alpinisti di fama internazionale. Negli anni ‘60-‘80 c’è stato il boom di presenze soprattutto di tedeschi, tra cui Goedecke, Gross, Hiebeler e molti polacchi. Inoltre, va citato Reinhold Messner, che ha frequentato spesso queste montagne. Anche Georges Livanos è passato di qui. Poi ci sono gli alpinisti locali che hanno aperto itinerari incredibili, soprattutto la cordata di Franco Miotto e Riccardo Bee che hanno realizzato prime salite importanti. Dalla fine degli anni ‘80 c’è stato un po’ un declino, probabilmente perché era cambiato il modo di fare alpinismo. Qui gli approcci sono lunghi e l’ambiente è molto impervio, negli ultimi anni si è cercata una scalata più estetica e meno d’ambiente. Da due/tre anni c’è un’inversione di tendenza e i numeri di chi si ferma in rifugio per fare alpinismo classico sono tornati ad aumentare. Penso ci sia un ritorno alla ricerca degli ambienti selvaggi e poco frequentati. Non ci sono tantissime cordate come una volta ma è bello vedere di nuovo salire certe vie.
Quali sono gli itinerari dove accompagni di più come guida alpina?
Direi il trittico Zacchi-Berti-Marmol, che ora si chiama Ferrata Piero Rossi. È un anello impegnativo ma di grande soddisfazione, che raggiunge la cima della Schiara e anche la Gusela del Vescovà, il monolite simbolo della zona, che si innalza su un terrazzino ai piedi della vetta.