Alleggerire lo zaino anche dalla zavorra della retorica
L’ansia di comunicare salite appesantite da iperboli e superlativi appiattisce l’esperienza della scalata. Un approccio più “leggero” aiuterebbe a vivere meglio la giornata in montagna
Forse sarà perché non ci si tiene più, o perché – come tutti gli alpinisti stagionati – non si è più tanto bravi, fatto sta che certe zavorre, oggi, pesano più di una corda bagnata.
Essere leggeri in montagna non è soltanto questione di zaino, è un atto di sottrazione culturale. Significa liberarsi non solo del materiale in eccesso, ma anche della zavorra di retorica e immaginario preconfezionato che oggi grava sulle nostre salite.
Viviamo immersi in un obbligo tacito, ogni vetta deve essere “mozzafiato”, ogni parete “adrenalinica”, ogni uscita “da sogno”. È lo stesso meccanismo che, nel turismo di massa, ha trasformato le Alpi in scenografie globali. L’alpinismo non ne è immune: la via “must”, per dare lustro alla relazione di scalata, il gesto tecnico scolpito per il pubblico dei social.
Questa ricerca compulsiva del superlativo rischia di appiattire l’esperienza e ci si sposta da una “linea imperdibile” all’altra, inquieti e affamati di approvazione, mentre sfuma la capacità di riconoscere il dettaglio, l’inatteso e il prezioso che abita una cresta secondaria, un diedro dimenticato, un’uscita inaspettata su un altopiano silenzioso.
La leggerezza, in alpinismo, è resistenza, è scegliere il necessario, anche narrativo e rinunciare al vezzo dell’eccezionale per ritrovare il gusto dell’incontro con il luogo così com’è, con il sole o tra le nuvole, nello slancio di una salita veloce o in una mesta ritirata.
Significa lasciare spazio all’imprevisto, recuperare la dimensione intima dell’avventura, ritrovare il respiro che nasce dal muoversi a passo proprio, senza copioni.
Non è cercare la montagna perfetta, ma incontrarla reale e imperfetta e farsi portare, leggeri, dove vuole lei.