I turisti da una foto e via allontanano i normali frequentatori delle Dolomiti
Pubblichiamo la lettera di Steffie Rogger, rifugista delle Dolomiti, che denuncia i problemi anche in termini di presenze e pernottamenti, causati da un overtourism tutto sommato limitato a poche località
Quasi ogni giorno vengono pubblicati articoli – sia sulla stampa sia online – in cui si afferma che le Dolomiti sarebbero ormai irrimediabilmente sovraffollate. Attualmente si parla in particolare di Seceda, del Lago di Braies e delle Tre Cime di Lavaredo. Tuttavia, questa narrazione continua contribuisce a creare un’immagine fortemente distorta della realtà.
Vero, nei mesi estivi, le immediate vicinanze dei classici “fotospot” sono molto frequentate. Ma si tratta quasi esclusivamente di visitatori e visitatrici che arrivano per scattare il famoso selfie, per poi lasciare il luogo dopo poche ore… talvolta addirittura dopo pochi minuti.
Ciò che viene completamente ignorato è il fatto che le Dolomiti offrono una vasta rete di sentieri tranquilli e solitari, percorribili con piacere per tutta la stagione estiva, ben lontani dalla folla. I percorsi più lunghi e tecnicamente più impegnativi risultano affollati solo in alcuni giorni isolati e anche in quei casi solo in determinati tratti.
Noi gestori di rifugi notiamo da diversi anni una tendenza preoccupante: molti escursionisti e alpinisti veri evitano consapevolmente la zona, convinti che “tanto ovunque è pieno”. Non distinguono più tra gli hotspot sovraffollati e l’ampia offerta di sentieri meno battuti e finiscono quindi per tenersi alla larga dall’intera regione.
Nasce così un effetto paradossale: in realtà, dovrebbero essere proprio gli escursionisti e le escursioniste, gli alpinisti e le alpiniste a riempire i parcheggi, occupare i letti nei rifugi e contribuire a sostenere il turismo, sottraendo spazio al fenomeno del “selfie-tourismo”. Ma questo pubblico attento, rispettoso e consapevole arriva sempre meno, scoraggiato dalla costante immagine mediatica di un territorio totalmente preso d’assalto.
Il risultato è che proprio i “turisti mordi e fuggi”, attratti solo dalla foto che cercano, trovano più facilmente accesso, parcheggio e posto letto. Si innesca così un circolo vizioso, dove i visitatori e le visitatrici interessati alla qualità dell’esperienza in montagna vengono progressivamente spinti lontano da questi luoghi.
La narrazione mediatica contribuisce quindi, ad aumentare il problema che denuncia. Gli appassionati della montagna che cercano natura, silenzio ed emozioni ne restano lontani. A rimanere sono spesso solo i turisti da “sensazione” o da “Instagram” con un impatto poco sostenibile, sia sul piano ecologico che economico.
Non possiamo permetterci di svalutare questi gioielli naturali con una comunicazione a senso unico. È fondamentale che il futuro del giornalismo sia più accurato e coerente, non solo per offrire un’informazione più completa, ma anche e soprattutto per rendere giustizia al vero carattere di questa regione unica, prima che la sua autenticità venga compromessa in modo irreversibile.
Steffie Rogger