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Alpinismo: l’arte perduta della libertà

Non una battaglia da vincere: la scalata è un dialogo da ascoltare, un’esperienza ogni volta rigenerante

L’alpinismo è – o ancora dovrebbe essere – uno spazio di libertà. Una delle poche esperienze in cui l’assunzione di responsabilità è totale, reale, concreta. Niente scorciatoie, niente alibi.

Quando siamo lì, nel vuoto tra un appiglio e l’altro, tra un respiro e la prossima mossa, accade qualcosa di raro, ci si incanta. Senza sforzo, non serve costringere l’attenzione, perché si è già completamente immersi in ciò che si fa. E proprio questo esserci – presenti, vigili – rigenera, il cervello si alleggerisce e la tristezza si ridimensiona.

È simile a quando da bambini giocavamo senza pensare al prima o al dopo. Solo l’azione, solo il momento. L’alpinismo restituisce qualcosa di quel tempo, dove non si scala per evadere, ma per essere, per ritrovare un pensiero più semplice, sognante, non piegato dalle urgenze.

Quando sei su una parete, non c’è spazio per altro, i piedi cercano il prossimo appoggio, le dita tastano la roccia. Il resto – giudizi, aspettative, distrazioni – si ferma. Resta solo ciò che serve, il gesto, il respiro, il suono del vento. E tutto si fa più chiaro.

Non c’è bisogno di testimoni, certificati, non serve raccontare o spiegare. A volte basta il silenzio che rimane dopo, quello che ci accompagna nella discesa, nei giorni successivi. Un senso di calma.

L’alpinismo ci insegna a stare, a osservare, a rallentare. Non è una battaglia da vincere, né una caccia da inseguire. È un dialogo da ascoltare.

E forse oggi, più che mai, abbiamo bisogno di questo, esperienze che non chiedano di dimostrare nulla. Che ci aiutino, semplicemente, a ritrovare misura. E un po’ di respiro.

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