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Alfredo Corti, l’Imperatore del Bernina

Furono Giusto Gervasutti e Renato Chabod a incoronare con l’inequivocabile appellativo l’alpinista e scienziato valtellinese. A lui si devono anche centinaia di fotografie, oggi preziosi documenti e rigorose guide alpinistiche

La storia dell’alpinismo è costellata di figure che, per il loro talento o per il loro carattere, si sono meritate soprannomi curiosi e altisonanti. Ci sono, ad esempio, un Gatto delle Grigne (Giovanni Gandin) e un Ragno delle Dolomiti (Cesare Maestri). Ci sono I Tre Moschettieri (Silvo Karo, Franc Knez e Janez Jeglič), almeno un paio di Diavoli (Tita Piaz e Matthias Zurbriggen), un Mago (Maurizio Zanolla), un Principe (Gian Piero Motti) e anche un Imperatore…
Il nome e le vicende di quest’ultimo forse non sono note a tanti odierni frequentatori della montagna, ma il valtellinese Alfredo Corti, per diversi decenni, è stata una figura di assoluto rilievo nel panorama alpinistico italiano e non solo, tanto da meritarsi, appunto, l’appellativo di Imperatore.
Nato a Tresivio, un paesino nei pressi di Sondrio, il 24 luglio 1880, Corti ha saputo coniugare come pochi altri la ricerca scientifica con l’esplorazione alpinistica, lasciando un’impronta indelebile sui monti di casa e ben oltre.

La sua passione per la montagna si manifesta sin da giovanissimo: nel 1898 entra a far parte della sezione valtellinese del CAI e, già nel 1900, avvia la sistematica esplorazione dei gruppi montuosi che circondano la sua Valtellina, portando avanti una frequentazione e un’attività di studio meticoloso che continuerà incessante per oltre mezzo secolo. Ma sarà l’amore per la scienza a segnare alcune delle tappe fondamentali della sua vita.
Comincia la sua formazione a Pavia, dove si laurea in Scienze Naturali nel 1902, dopo essere stato alunno del prestigioso Collegio Ghislieri. Qui ha modo di studiare con giganti della scienza come Camillo Golgi. La carriera accademica lo porta prima a Parma, poi a Bologna e infine, nel 1924, alla cattedra di Anatomia Comparata dell’Università di Torino, dove rimarrà fino al 1955.ù
Protagonista di grandi salite con i migliori scalatori dell’epoca
È a Torino che entra in contatto e si lega in cordata con alcune delle figure più eminenti dell’alpinismo occidentale, come Renato Chabod e Giusto Gervasutti. Saranno proprio loro, stupiti dalla sua enciclopedica conoscenza dei gruppi montuosi delle Alpi Retiche e dalle tante prime ascensioni da lui realizzate in quell’area, ad attribuirgli l’altisonante – ma ben meritato – appellativo di “Imperatore del Bernina”.

Le salite di Corti sono un catalogo impressionante: la prima assoluta della parete sud-ovest dell’anticima del Pizzo Bernina nel 1920, la parete ovest del Piz Roseg nel 1938, la severa parete sud del Monte Rosso dello Scerscen nel 1928, quest’ultima considerata per anni la scalata su roccia più difficile del massiccio.

Nel gruppo del Disgrazia, sua seconda patria alpinistica, compie la prima salita della cresta est-nord-est del Pizzo Ventina nel 1917, accompagnato dalla guida Ignazio Dell’Andrino. È proprio durante questa ascensione che avviene un episodio emblematico del suo approccio scientifico alla montagna: verso i 3000 metri scopre una nuova specie di dittero, un piccolo insetto che, in suo onore, verrà battezzato “Alfredia acrobata“.

La fotografia come strumento di studio e di documentazione per i posteri

Le sue esplorazioni sul campo si concretizzano anche in una preziosa attività di compilazione di guide alpinistiche, che rappresenta forse l’aspetto più duraturo del suo lascito. La “Guida delle Alpi Retiche Occidentali” del 1911, dove la parte dedicata al gruppo del Bernina è interamente opera sua, rimane ancora oggi un caposaldo per tutti gli studi successivi, italiani e stranieri. Un lavoro di precisione maniacale, arricchito dalle sue splendide fotografie, scattate con pesanti apparecchi a lastre 13×18, portati in spalla fin sulle vette più impervie.

Ma Corti non è solo un esploratore e uno studioso. Nel 1913 si fa promotore e organizzatore della costruzione della Capanna Marco e Rosa De Marchi alla Forcola di Cresta Güzza, a 3600 metri di quota, superando difficoltà logistiche enormi e condizioni meteorologiche avverse quasi continue. Un’impresa che testimonia la sua capacità di visione e organizzazione, oltre che l’amore profondo per quei luoghi.

L’uomo Corti emerge con ancora maggiore forza quando si considerano le sue scelte morali e politiche. Antifascista convinto, nel 1941 viene arrestato per motivi politici, privato della cattedra universitaria, condannato al confino a Sala Consilina, in Campania, ed espulso dal CAI. Dopo l’8 settembre 1943 entra attivamente nella Resistenza, partecipando alla lotta partigiana in Valle di Cogne insieme ai figli, fino alla Liberazione.

Il ritratto che emerge è quello di una personalità complessa e affascinante, dove l’amore per la montagna si intreccia indissolubilmente con il rigore scientifico e l’impegno civile. Come scrisse Massimo Mila: “Per lui tutto viveva: viveva l’albero, il bosco, il filo d’erba, vivevano le pietre, viveva il ghiacciaio, muovendosi, strisciando, allargandosi e comprimendosi. Positivista, non materialista, Alfredo Corti era a modo suo un credente, cioè un uomo con una fede. Il suo era uno spontaneo panteismo della natura, esteso senza limiti nell’universo“.

In vetta al Cervino a 70 anni

Questa visione olistica della montagna spiega perché, anche in età avanzata, Corti continuasse a salire. A settant’anni suonati lo troviamo ancora sulla cresta del Cervino con la guida Luigi Carrel, o sull’Adamello, dove, nel 1949, con Aldo Grassotti, apre in prima assoluta l’elegante sperone della parete nord-ovest.

Nelle salite compiute in età avanzata, Corti spesso si affida al supporto di guide alpine, ma è importante ricordare che, negli anni del vigore giovanile, è stato uno dei sostenitori e divulgatori dell’alpinismo senza guida. Nel 1907 entrò a far parte del GLASG (Gruppo Lombardo Alpinisti Senza Guide) che, poi, confluirà nel Club Alpino Accademico Italiano, all’interno del quale Corti assumerà un ruolo di assoluto rilievo, ricoprendo, dal dopoguerra al 1960, la carica di presidente del Gruppo Occidentale del CAAI.

Quello di Corti, morto a Roma nel 1973 all’età di 93 anni, è stato per molti aspetti un alpinismo d’altri tempi, intrinsecamente legato a una visione romantica, in un’epoca in cui il mondo della scalata si avviava verso la ricerca della difficoltà tecnica e si dispiegava l’epoca d’oro del Sesto Grado. Come ricordava il figlio Nello, Corti “andava in montagna per trovarsi tra cielo e terra, al limite dell’universo più vasto, perché avvertiva il fascino di assistere, da luoghi privilegiati, ai consueti fenomeni naturali, quale l’apparire del giorno, l’invasione delle luce e del calore sulla terra, l’urlo del vento e delle tempeste, e poi anche perché lo divertiva cimentarsi su di una bella cresta o lungo un pendio ghiacciato, a riprova della propria abilità, Ma, da buon scienziato naturalista, gli piaceva spiegarsi l’orogenesi alpina, le cause delle stratificazioni delle rocce, il perché della via ultima di fiori ed insetti sulle più alte cime”.

Oggi, quando il Bivacco Alfredo Corti in Val d’Arigna accoglie gli alpinisti diretti verso le sue montagne, quando le sue fotografie continuano a documentare l’evoluzione dei ghiacciai alpini, quando i suoi scritti vengono ancora consultati per comprendere la geografia di quei luoghi, l’imperatore del Bernina continua a vivere. Non solo nelle pietre e nei ghiacci che tanto amò, ma soprattutto nell’esempio di come si possa essere, contemporaneamente, scienziati rigorosi, alpinisti appassionati e uomini di profonda dignità morale.

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