Il borgo: Ferrere, il paese del Cuneese che rinasce ogni estate
Posto a 1869 metri di quota, 100 anni fa il paese vantava la parrocchia più alta d’Italia. Poi lo spopolamento. Ma con l’arrivo della bella stagione tutto cambia, all’insegna dell’ospitalità
Si arriva a Ferrere, in dialetto Feriéros, a 1869 metri di quota, dopo 6 chilometri di una strada incredibile, sospesa in bilico tra il cielo e il ripido versante a picco sulla valle Stura di Demonte, in provincia di Cuneo. La borgata appare all’improvviso oltre una svolta e una discesa e sorprende per la posizione su un pendio assolato circondato da praterie e da boschi di larice, al margine di uno strapiombo franoso modellato da capricciosi fenomeni di erosione. Un avamposto isolato in uno snodo di valli laterali dall’imbocco impervio, che si allargano poi nella parte superiore verso i valichi e la Francia.
Le comunicazioni tra la frazione e il capoluogo Bersezio non sono mai state facili. Prima della costruzione della carrozzabile, tracciata a partire dal 1930 per ragioni militari, l’accesso poteva avvenire su due mulattiere, o dall’angusto vallone di Ferrere, superando l’erta scarpata della strettoia intermedia, oppure da Nord, scavalcata la cresta delle Serre del Bal ai 2000 metri, per poi ridiscendere. In entrambi i casi occorreva più di un’ora di marcia e d’inverno entrambi i percorsi non erano sempre praticabili. Mentre il più praticato asse principale della valle Stura sbocca tramite il Colle della Maddalena nella valle dell’Ubaye, quindi nel Dipartimento delle Alpi dell’Alta Provenza, i colli secondari del Ferro e del Puriac insieme alla Bassa di Colombart, facenti capo a Ferrere, immettono nella Tinée, importante corridoio di transito verso il Nizzardo. Il borgo si trova così nel punto strategico della diramazione di direttrici alternative alla “strada nazionale”.
La borgata ieri e oggi
Una mappa della seconda metà del XVIII secolo dell’Archivio di Stato di Torino evidenza la struttura urbanistica dell’abitato, composto di due distinti nuclei, con la chiesa nel sito intermedio. L’antica cappella, dedicata a San Giacomo, risultava già documentata nel Seicento. Nel 1828 viene costruito il campanile, tuttora esistente, isolato presso il cimitero, che conserva la cuspide rivestita di scandole di legno, sistema di copertura un tempo impiegato anche per le abitazioni, in alternativa alla più comune paglia di segale.
La crescita demografica della fine del XIX secolo, indusse il clero locale a promuovere la costituzione di una parrocchia indipendente e l’ambiziosa realizzazione di una nuova chiesa, edificata in stile neo-romanico tra il 1907 e il 1908. La Guida delle Alpi Marittime di Giovanni Bobba (1908) la riteneva “la più elevata delle Marittime; e forse la parrocchia più alta d’Italia”. Ferrere può così vantare due campanili, a testimoniare una vitale storia religiosa e comunitaria.
Gli edifici presentano particolari architettonici interessanti, il sapiente utilizzo del legname in associazione alla pietra si evidenzia nelle strutture alleggerite dei piani superiori e nelle chiavi murarie in larice. Alcune insegne dipinte ricordano vecchi esercizi pubblici.
La crisi dell’economia di montagna e il richiamo a valle determinato dall’industrializzazione nel secondo dopoguerra hanno provocato, qui come in altre realtà simili, il graduale spopolamento fino all’abbandono: gli ultimi residenti stabili andarono via nel 1967. Tuttavia l’attaccamento al paese e la continuazione della transumanza sui suoi pascoli, hanno assicurato regolari presenze durante l’estate e la manutenzione delle case.
Arnaldo Giavelli è il presidente dell’associazione “I Feriròl”, dal nome degli abitanti di Ferrere. Un gruppo di volontari si occupa della cura delle strette stradine del paese, dell’arredo urbano, recentemente rinnovato, dei sentieri e degli spazi comuni, e organizza la festa patronale di San Giacomo, il 25 luglio, ricorrenza molto sentita dagli emigrati che non mancano di ritornare per l’occasione, tenendo vivo lo spirito della comunità.
La Mizoun dal Countrabandier
Attività collaterale, ma ordinaria, per le popolazioni frontaliere, il contrabbando si poneva in relazione storica con pratiche lecite di origini medievali, come l’esenzione dai dazi nelle grandi “fiere franche” o le reciproche concessioni sui pedaggi tra poteri locali, tendenti a facilitare determinati flussi commerciali.
A causa della sua localizzazione, Ferrere era considerata la capitale del contrabbando in valle Stura. Si commerciavano o scambiavano le merci più varie: generi alimentari, sigarette, capi di bestiame, tessuti, farmaci, persino macchine da scrivere.
Una delle case della borgata, è stata trasformata in un piccolo ma suggestivo museo, la Mizoun dal Countrabandier, che raccoglie oggetti di uso quotidiano, tra cui quelli impiegati nei viaggi avventurosi dei contrabbandieri, e ripropone quello che poteva essere un ambiente domestico all’inizio del secolo scorso. È possibile visitare anche il forno comunitario, ancora funzionante.
Una comunità ancora vivace, nel segno della continuità
Il cartello “Benvenuti a Ferrere” che accoglie il visitatore ha un font anni Cinquanta e sembra riportare alle informazioni delle pagine ingiallite della guida di Silvio Saglio “Da rifugio a rifugio” del 1958: “è abitata tutto l’anno ma difficilmente offre possibilità di pernottamento”.
Oggi Ferrere smentisce queste indicazioni: si anima durante la stagione estiva e propone una valida ricettività a supporto dei tanti itinerari e traversate, tra cui i battuti percorsi transfrontalieri verso la regione dei Lacs de Vens, compresi nel territorio del Parc National du Mercantour.
Nel 1998 veniva inaugurato nei locali della ex casa canonica il Rifugio Becchi Rossi. Quest’anno ne hanno assunto la gestione Greta Magnaldi e Igor Curletto: per Greta l’esperienza ha un particolare significato di continuità familiare, poiché la riconduce nel paese di origine della nonna. Il rifugio è dotato di 20 posti letto, offre servizio di ristorazione e possiede anche uno spazio ricreativo all’aperto. Innumerevoli le possibilità di escursioni, dai colli circostanti alle cime più elevate dell’Enciastraia e della Rocca dei Tre Vescovi, oppure al complesso di fortificazioni dei Becchi Rossi, importante testimonianza delle opere difensive del Vallo alpino.
Anche Tiziana Giavelli ci racconta la storia di uno stretto legame con Ferrere: il papà Armando, classe 1941, riposa nel piccolo camposanto dove tra le lapidi cresce l’Eringium alpinum. Sugli appezzamenti terrazzati, un tempo destinati alla segale, insieme al marito Claudio Margaria ha avviato da alcuni anni l’attività di coltivazione del Genepì, frutto di una tradizione molto antica.
Diversi operatori del settore turistico e ricettivo si sono consorziati e hanno creato un sito web, utile strumento per esplorare l’offerta di ospitalità, prodotti e servizi dell’intera valle: vi troviamo anche i contatti delle guide escursionistiche che programmano visite, attività, itinerari tematici, trekking di più giorni, alla scoperta di un territorio dalle innumerevoli ricchezze ambientali e paesaggistiche.
Greggi e mandrie che risalgono sui pascoli rinnovano ogni anno i tempi e le dinamiche della transumanza, a segnare un calendario intrecciato con le feste dei Santi: la partenza a San Giovanni, il ritorno a San Michele, un’intera estate di grandi spazi, sottofondo di campanacci per lunghi cammini, una pausa nella chiesa bianca, silenzi notturni e stelle luminosissime.