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Cambiare vita: Gina van Hoof da Bruxelles a Rhemes per trovare la felicità

La giovane artista e fotografa belga si è trasferita in una baita della Valle d’Aosta spinta da una “chiamata”. E ora aiuta le persone a elaborare il dolore

Un materasso in macchina, un sogno annotato al risveglio e una parola: Rhêmes. Gina van Hoof è arrivata così in Valle d’Aosta. Non per caso, ma per “chiamata”. Perché quando le montagne ti scrivono dentro, prima o poi devi rispondere.

Gina è nata in Belgio, ha un passaporto olandese, è cresciuta tra le Alpi svizzere e ha vissuto anche in California. Fotografa, arte-terapeuta, viaggiatrice, danzatrice dell’emozione. A guardare il suo percorso, sembra che ogni luogo sia stato un frammento di specchio, fino a trovarsi intera qui, in una piccola casa a Rhêmes-Notre-Dame. «Nel mio cuore ci sono le Alpi» racconta con semplicità. E adesso le abita davvero, con tutto il corpo e tutta l’anima.

Di storie di persone che lasciano la città per trasferirsi in montagna ce ne sono tante. Spesso sono fughe dalla frenesia urbana, oppure svolte radicali per ritrovarsi. Quella di Gina è diversa: è una vera e propria storia d’amore.

Nel 2020, mentre il mondo si chiudeva, Gina si è aperta. Il lockdown, per lei, è stato un tempo di possibilità. «Finalmente avevo tempo per creare. Per ascoltare. Per chiedermi cosa conta davvero».  In quel silenzio collettivo ha scritto una lettera d’amore: non a qualcuno, ma a ciò che le mancava. Ed erano proprio le montagne.

«Spesso chiedevo alle persone, durante le sedute di arteterapia, di scrivere lettere d’amore. Io ho scritto: Dear mountains, I’m coming home. Ho aperto la finestra, l’ho letta ad alta voce e piangevo mentre lo facevo. Mi sono data tre anni per capire quali montagne, dove, come… ma sapevo che dovevo fare qualcosa».

Così è iniziata la sua terapia del ritorno. Un viaggio fatto di strade secondarie, sogni premonitori e tanta fiducia. «Non ero mai stata in Valle d’Aosta. Sapevo solo di voler tornare sulle Alpi, ma avevo escluso la Svizzera: troppo complicato viverci. Rimanevano Francia e Italia, e sinceramente… gli italiani mi stanno più simpatici. Così sono partita con l’auto e un materasso. Dormivo dove capitava. Tre anni prima, a Bruxelles, avevo sognato una parola: Rhêmes. All’inizio non sapevo nemmeno come si scrivesse, poi ho scoperto che era un vero paesino di montagna. Ho deciso che era un segno».

Oggi Gina vive lì. Continua a fotografare, accompagna le persone nel loro dolore con delicatezza e, quando non lavora, spala la neve, taglia la legna, cammina nella natura. «In montagna devi sempre fare qualcosa. Ma proprio questo ti radica, ti rende presente».  La sua casetta in legno e pietra si raggiunge solo a piedi, lungo un sentiero che sale tra fragoline selvatiche e profumi di bosco.

Il cuore del lavoro di Gina è l’emozione. Non quella da copertina, ma quella autentica, ruvida, nuda. È specializzata nell’elaborazione del lutto e aiuta le persone ad affrontare grandi dolori attraverso l’arte e l’espressione del sé. «Il dolore va accolto e vissuto. Viviamo in una società che ci spinge a rinnegare le emozioni e a mostrarci sempre forti. E in montagna questo è ancora più vero. Qui vige la regola che bisogna essere duri».

«Nelle vallate chiuse, spesso le persone sono chiuse. Nei luoghi aperti, c’è più apertura mentale. Sicuramente, qui in montagna, aprirsi e mostrare le proprie fragilità è ancora più difficile».

Eppure, anche nel silenzio più austero della montagna, Gina ha scoperto che non si è mai veramente soli. «Una mia amica di città è venuta a trovarmi, convinta che ci saremmo isolate. Invece ogni giorno incontravamo qualcuno. Alla fine, mi ha detto: ‘Hai più vita sociale tu qui che io in città!’ Ed è vero: la lentezza della vita in montagna amplifica i momenti di socialità, anche quelli involontari. Come quando scendo in paese a fare la spesa e trovo sempre qualcuno con cui bere un caffè e scambiare due chiacchiere».

Per Gina, il lutto non è solo legato alla morte. «È lutto anche cambiare casa, finire una relazione, scoprire di non poter avere figli. Ma essere forti non significa non sentire. Significa avere il coraggio di vivere tutto». E in montagna, dove le emozioni fanno eco tra le rocce, l’unico modo per aprirle è forse la creatività. «La natura ti riporta alla tua vera natura. Sentire il vento sulla pelle ti ricorda che sei viva».

Tra una danza-terapia, un’escursione con gli sci e una tazza di tisana calda, Gina continua a mandare lo stesso messaggio, in ogni forma che sceglie: «Viviamo in un paradiso. E questo paradiso merita tutta la nostra presenza».

In fondo, forse, abitare la montagna oggi significa questo: smettere di correre, e imparare di nuovo a stare.

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