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Altalena sullo skilift: il viaggio nel futuro parte da un rudere

Nei boschi del Pian dei Resinelli (LC) il cavalletto di una sciovia dismessa è diventato un gioco per bambini. E certifica allegramente la fine delle piste da sci a bassa quota

Sotto la Grignetta, con le sue guglie affilate e le sue storie d’alpinismo, nel cuore di una faggeta che profuma di umido e memoria, c’è un’altalena appesa a un vecchio cavalletto di skilift. È quello del Coltignone, ai Piani Resinelli, in provincia di Lecco. L’impianto risale agli anni Cinquanta, fu dismesso, insieme al resto del comprensorio, all’inizio degli anni Ottanta, oggi resta solo il telaio, trasformato in gioco per bambini e altare post-industriale.

Intorno, il bosco si è ripreso tutto e un manto fitto di faggi, alti ormai quasi mezzo secolo, ha inghiottito la pista. Dove un tempo correvano sciatori in maglioni a collo alto e pantaloni stretti, oggi si incontrano ruderi, funghi, selvatici e silenzi.

La scena è potente, un frammento di archeologia alpina che parla chiaro: la neve non c’è più, il termometro è impietoso e le stagioni bianche sono finite. Eppure, nonostante questo, si continua a progettare, forzare, insistere; accanimento terapeutico, verrebbe da dire, contro la morte certa dello sci a bassa quota.

Qui, ai Resinelli, ogni cosa sembra sussurrare: “Sembra ieri, ma è passato un mondo.”
È questa l’immagine emblematica dello sci come fenomeno del Novecento. Un modello economico, turistico, culturale che ha fatto il suo tempo. Oggi, mentre i versanti restano battuti da sole e pioggia, i notabili in cerca di gloria stagionale sembrano voler soffiare ancora neve da cannoni rivolti nel vuoto.

Dovrebbero venire qui, farsi un giro tra le rovine dello skilift, sedersi sull’altalena, guardare in alto, verso quei grandi fusti d’albero che puntano il cielo dove prima c’era il manto bianco e null’altro. Dovrebbero ascoltare ciò che la montagna dice, senza microfoni.

Questi ruderi hanno più senso e più verità del rottame d’acciaio a sbalzo piantato poco più in là, chiamato “passerella panoramica”, dove il panorama c’era già. Senza putrelle.
Un piccolo pellegrinaggio laico, ecologico, consapevole, per comprendere che la neve non si compra, che le stagioni non si comandano, che la montagna non è una pista ma un organismo.
E che certi errori si possono anche evitare.

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