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Overtourism nelle Dolomiti: uno stimolo per scoprire posti nuovi

Le code al Seceda e l’assalto alle Tre Cime indignano gli abituali frequentatori della montagna. Ma la fuga dalla pazza folla può farci conoscere luoghi altrettanto belli, spesso appena più in là. Che saranno tutti nostri

Le immagini della fila lunga centinaia di metri di turisti in attesa di salire sulla funivia che da Ortisei porta al Seceda hanno fatto il giro del web. Tutti ormai le hanno viste, quasi tutti sono rimasti sorpresi, molti hanno commentato ironicamente, altri (non pochi) hanno espresso indignazione: “Come è possibile tutto ciò?”, “è ormai indispensabile pensare a un numero chiuso a tutela della montagna!”, “tutta colpa di Instagram”, “ecco un luogo dove non andare mai più”, e via di slogan e sentenze.

Ormai lo sappiamo, nel bene o nel male i social influenzano le scelte e, allo stesso tempo, permettono a chiunque di ergersi ad appassionato paladino di una causa. Senza che necessariamente si senta obbligato a misurare le parole.

Che ci siano luoghi nelle Dolomiti affetti – forse in mondo irrimediabile – dal virus dell’overtourism è noto da tempo: i laghi di Braies e del Sorapiss, le Tre Cime di Lavaredo sono gli esempi più eclatanti. Il Seceda con la meravigliosa e superfotogenica infilata delle Odle non è da meno. Certamente è un posto dove andare almeno una volta nella vita. Però…

Però qualche domanda occorre porsela. Chi sono tutte quelle persone in fila, in maglietta e scarpe improbabili, pronte a pagare senza battere ciglio un biglietto del costo di 52 euro (a/r) per salire a 2.500 metri di quota? Nelle immagini non si vedono molti zaini, difficile che si tratti di escursionisti o, almeno, di persone abituate alla montagna. Persone animate dalla legittima intenzione di ammirare un panorama con pochi uguali senza spendere una stilla di sudore. Ma sapranno come comportarsi una volta lassù? No, è la risposta dei proprietari dei terreni, alcuni dei quali nei giorni scorsi hanno installato un contestatissimo tornello nel tentativo di monetizzare (la storiella della “provocazione” proprio non la beviamo) lo scempio quotidianamente subito dai pascoli dai quali traggono un reddito. Il luogo non sarebbe in grado di reggere l’assalto neppure se tutti i passeggeri della funivia fossero consapevoli fruitori della montagna, figuriamoci se la maggior parte degli ospiti non ha contezza di cosa significhi calpestare un pascolo, oppure se una pur minima percentuale di essi non si preoccupa di abbandonare sul terreno un fazzoletto di carta o una buccia di banana con la scusa che tanto si tratta di materiale biodegradabile.

Belle parole, ma vuoi mettere il piacere di scattare una foto che aumenterà i miei follower”? Mettiamoci il cuore in pace: il presente e il futuro sono questi. Anzi gli spot instagrammabili cresceranno di numero e le società proprietarie degli impianti di risalita faranno di tutto per aumentare la capacità oraria delle proprie funivie, i comuni aumenteranno le tariffe dei parcheggi. Ma tutto ciò non ci costringerà a dare l’addio ai monti come li abbiamo conosciuti e di cui ci siamo innamorati. Faremo delle scelte, opereremo delle rinunce, oppure torneremo in questi luoghi in orari o stagioni diverse. Soprattutto saremo piacevolmente costretti a cercare nuove mete, magari spostandoci di pochissimi chilometri. Le Dolomiti offrono ancora moltissimi luoghi magnifici e sconosciuti al turismo dei social. Basta cercarli, magari scambiando due parole con la gente del posto. Noi, questa volta, non faremo nomi.

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