
Chi conosce Jean-Nicolas Couteran? Nessun ritratto ci ha tramandato il suo volto, e nelle storie dell’alpinismo questo giovane di Chamonix, “figlio di una vedova albergatrice e di un notaio”, figura nelle note a pié di pagina. Eppure è lui, 250 anni fa, ad avviare i tentativi di ascensione al Monte Bianco.
Forse, grazie alla professione della madre, Jean-Nicolas pensa alle possibili ricadute economiche della scoperta di una via verso la vetta. Il 14 luglio 1775, insieme al cercatore di cristalli Victor Tissai detto le Chamois, e ai fratelli François e Michel Paccard, Couteran sale per un sentiero da Chamonix alla Montagne de la Côte, dove spicca “un triangolo di roccia perfetto, che ricorda le famose piramidi d’Egitto”.
Qui il gruppo mette piede sul ghiacciaio dei Bossons, e lo risale fino alle rocce dei Grands Mulets, dove nel 1853 verrà costruito un rifugio. I quattro uomini di Chamonix cercano cristalli di quarzo, che nella valle sono una fonte di reddito importante. Poi ripartono. Una ripida salita tra “alti aghi di ghiaccio” li porta alla conca glaciale del Grand Plateau, poi un pendio più comodo consente di salire al Col du Dôme e ai 4306 metri del Dôme du Goûter.
Nella sua relazione, citata dallo storico Philippe Joutard, Couteran scrive che la vetta del Bianco sembra “a non più di un’ora di distanza”. Ha ragione, ma la cresta di neve e ghiaccio delle Bosses, dove corre l’odierna via normale, è troppo sottile per consentire un tentativo a uomini che non hanno corde, piccozze o ramponi.
Uno squarcio nelle nuvole, dal Dôme, offre “una fugace visione delle pianure del Piemonte”. In discesa Jean-Nicolas rischia la pelle, perché un ponte di neve cede sotto ai suoi piedi e rischia di farlo cadere in un crepaccio. Si salva grazie all’alpenstock, lungo due metri e mezzo. Lo mette di traverso, si blocca prima di precipitare nel vuoto, poi torna su terreno sicuro. Quando i quattro tornano alla Montagne de la Côte, hanno camminato per 22 ore.
La “gita” degli inglesi nel 1741
Per molti storici dell’alpinismo, incluso chi scrive, l’interesse per il Monte Bianco e i suoi ghiacciai nasce il 21 giugno del 1741, quando otto sudditi di Sua Maestà Britannica raggiungono Chamonix dopo tre giorni di viaggio da Ginevra. A organizzare il viaggio sono stati Richard Pococke, che ha viaggiato in Grecia, in Palestina e in Egitto, e il suo giovane amico William Windham.
Gli inglesi temono un agguato, e tengono a portata di mano fucili e pistole. Quando si accampano in vista del Priorato di Chamonix, invece, vengono accolti dal parroco, che li invita a cena. L’indomani affrontano il viottolo che sale al Montenvers, accompagnati da cacciatori e cercatori di cristalli, e scoprono la Mer de Glace.
“Non avevo mai visto nulla di paragonabile” annota Windham. “Dovete immaginare il Lago di Ginevra agitato da un forte vento, e congelato di colpo”. Dalla colata, incisa da “una quantità infinita di fenditure”, “arrivano rumori simili a tuoni”. Tornati a Chamonix, gli inglesi ripartono per Ginevra. Il loro è turismo, e non certamente alpinismo.
Tre anni dopo, arriva Pierre Martel, un erudito di Ginevra che vuole descrivere la valle e la sua gente e disegna un’ottima mappa del massiccio. Oltre alla “punta del Mont-Blanc, che passa per la più alta delle Glacières e forse delle Alpi”, di cui stima la quota in 4495 metri, lo emozionano l’Éguille du Dru, che “somiglia a una grande torre gotica”, e l’Éguille du Mont Mallay, l’odierno Dente del Gigante. Per lui, “queste punte sono assolutamente inaccessibili, alcune perché rivestite interamente di ghiaccio, le altre perché sono troppo ripide”.
Nel 1760 il de Saussure promette un premio in denaro per chi “scoprirà la via per la cima”
Il personaggio che trasformerà il Monte Bianco in una meta possibile arriva a Chamonix da Ginevra nel 1760. Si chiama Horace-Benédict de Saussure, ha vent’anni, viene da una famiglia protestante che è fuggita dalla Francia per sfuggire alla persecuzione religiosa. Da Chamonix, sale al Montenvers e al Brévent. Scrive dei “ghiacciai maestosi, separati da grandi foreste, coronati da rocce granitiche che si alzano a elevazioni stupefacenti, che offrono uno degli spettacoli più grandiosi che sia possibile immaginare”.
Sulla Mer de Glace, la guida Pierre Simond gli fa vedere come si tagliano dei gradini con l’accetta, e gli insegna come “poggiare bene i piedi, e aiutarsi con il bastone ferrato”. Dopo questa lezione di alpinismo, de Saussure fa affiggere nelle tre parrocchie da valle un bando che promette una “assai considerevole” ricompensa per chi scoprirà una via per la cima.
Il primo a provarci è Pierre Simond, che nel giugno 1762 compie una ricognizione sulla Mer de Glace. Poi sale alla Montagne de la Côte, e continua sul ghiacciaio fino alla Jonction, dove sono le colate di Taconnaz e dei Bossons. In entrambe le uscite, però, dove il terreno diventa impegnativo, Simond torna indietro. Poi, per tredici anni, i montanari di Chamonix non s’interessano al premio. Cacciare camosci e raccogliere cristalli sono attività redditizie, e le guide si accontentano di accompagnare i forestieri verso il Montenvers, il Brévent o il Buet, il Mont Blanc des dames, una facile cima di 3099 metri.
Nel 1774 torna Horace-Bénédict de Saussure, che visita Courmayeur e il ghiacciaio del Miage con Laurent Jordaney detto Patience. E’ un cacciatore di camosci, è lo scaccino della chiesa parrocchiale, forse gestisce un’osteria, le guide di Courmayeur lo considerano il loro capostipite. Ma quella con de Saussure è una ricognizione scientifica, non un tentativo di ascensione.
Nel 1775 iniziano i tentativi più credibili
A cambiare le cose, come abbiamo già scritto, è Jean-Nicolas Couteran nel 1775. Qualche settimana più tardi entra in scena un altro Paccard. Si chiama Michel-Gabriel, studia Medicina a Torino. Il botanico scozzese Thomas Blaikie, che lo accompagna in un tentativo di ascensione, lo definirà “a nice lad”, un bel ragazzo.
Nell’estate del 1775, Blaikie e Paccard salgono sulla Montagne de la Côte. Da qui, invece di salire a sinistra verso i Grands Mulets e il Grand Plateau, tentano a destra sul ghiacciaio di Taconnaz, in direzione dell’Aiguille du Goûter, dove oggi sorge un famoso rifugio. Poi Paccard torna a studiare a Torino. Perché la corsa al Monte Bianco si riaccenda bisognerà attendere il 1783, quando tre montanari di Chamonix riprendono la via di Couteran e compagni verso il Col du Dôme. Nel 1784 Michel-Gabriel Paccard, ora laureato, tenta l’odierna via normale da St.-Gervais fino al ghiacciaio di Tête Rousse, otto giorni dopo Jean-Marie Couttet e François Cuidet risalgono un’impressionante scarpata rocciosa fino all’Aiguille du Goûter e poi al Dôme.
Nel luglio del 1786 entra in scena Jacques Balmat, un giovane cercatore di cristalli, che segue un gruppo di guide fino al Col du Dôme e poi affronta la cresta di neve e ghiaccio delle Bosses, superando un tratto a cavalcioni. Quando torna dal Grand Plateau piega a destra, e riprende a salire per una ripida rampa glaciale, sorvegliata da muri di seracchi, che gli consente di avvicinarsi alla cresta che sale dal Col du Midi al Monte Bianco. L’8 agosto quella rampa, che poi verrà soprannominata Ancien passage, consente a lui e a Paccard di compiere la prima ascensione alla cima. Un anno dopo, insieme a 18 guide e a un domestico, ripete l’impresa Horace-Bénédict de Saussure. Sei giorni dopo arriva in vetta il britannico Mark Beaufoy, un colonnello appassionato di astronomia. Grazie a lui, Chamonix e il Monte Bianco entrano tra le mete del Grand Tour.