

Tra mille anni questa atrocissima guerra, che ora riempie d’orrore il mondo intero, sarà in poche righe ristretta nella grande storia degli uomini; e nessun cenno di tutte le piccole storie di queste migliaia e migliaia di esseri oscuri, che ora scompaiono travolti in essa. […] Nessuno saprà. Chi le sa, anche adesso, tutte le piccole, innumerevoli storie, una in ogni anima di milioni e milioni di uomini, di fronte gli uni agli altri per uccidersi?
Luigi Pirandello, Berecche e la guerra
È il 18 ottobre 1915 e su Cima Valpiana – a quota 2.368 metri, nel Gruppo dei Lagorai i Kaiserjäger del capitano Wilhelm Samen non possono immaginare ciò che accadrà di lì a poco. Fino a quel momento infatti il primo conflitto mondiale, perlomeno in quell’area del Trentino, si è mosso a rilento, nonostante la zona sia di per sé cruciale, soprattutto ai fini di un controllo capillare della linea difensiva attraverso cui trattenere gli italiani dall’invasione del Tirolo meridionale.
I valichi principali da difendere, su quella porzione di territorio, erano infatti Passo Cadino, Passo Manghen e Forcella Montalon: Cima Valpiana, che presidiava tutti e tre, risultava pertanto fondamentale per la loro difesa, nonché per sorvegliare la Val Calamento ad ovest e la Val Campelle ad est. Un presidio che dal giugno al settembre del 1915 era stato controllato a rotazione sia dai Kaiserjäger che dagli Standschützen, fino al subentrare definitivo di questi ultimi nel giugno del 1916.
A qualche tiro di schioppo da questa cima così cruciale, il Monte Setole, più basso di un centinaio di metri, si configurava come un altro avamposto significativo, dal quale gli italiani avrebbero potuto tentare di raggiungere con più facilità il Valpiana, togliendolo agli austriaci.
Fu ciò che avvenne proprio il 18 ottobre 1915 ad opera di un battaglione di fanteria, aiutato da una compagnia di alpini. L’assedio colse di sorpresa gli austriaci presenti sul Setole, i quali si ritirarono velocemente, lasciando sei morti. Forti di questa conquista, gli italiani tentarono nottetempo anche la salita a Cima Valpiana, salvo dover battere in ritirata a causa di una Roll-Mine fatta scivolare dai Kaiserjäger lungo la trincea sommitale: la bomba investì gli italiani, provocò cinque morti e fece fallire l’intera operazione.
Pensare a questo piccolo assedio come all’attacco più importante di tutto il conflitto nella zona del Valpiana, ha un che di buffo. Eppure è nella natura drammatica della guerra – come ci ricorda la citazione di Pirandello in esergo a questo articolo – saper diventare buffa e ridicola nel ricordo dei posteri, quando addirittura non vi scompare.
In un periodo in cui i drammi di innumerevoli, piccoli e grandi, conflitti sembrano dettare le sorti di un mondo sempre più incapace di ricordare, tornare con la memoria e – perché no? – con un paio di scarponi ai piedi nei luoghi che furono teatro, più di cent’anni fa, di conflitti analoghi può essere utile e significativo. Anche perché, fra le statiche atrocità di una guerra di posizione come fu il primo conflitto mondiale, qui andò in scena un’ulteriore nefandezza.
Già nell’agosto del 1915, gli Standschützen avevano realizzato, lungo un sentiero ricavato a colpi di mina nel fianco della cresta Valpiana nascosta alla vista dalle linee nemiche, un posto di medicazione capace di svolgere dignitosamente la sua funzione fino all’autunno dell’anno successivo. Fu allora infatti che arrivarono sul Valpiana i moravi del primo battaglione del 102° reggimento imperiale. Si trattava di un reparto particolare, costituito da militari affetti da tracomatosi: una malattia virale cronica che colpiva gli occhi, estremamente contagiosa. Dai loro comandanti era infatti ritenuto benefico, perlomeno a parole, il clima delle alte quote. In realtà la posizione si prestava a mantenere il reparto in una sorta di quarantena, prevenendo la diffusione del morbo alle altre unità. Isolati e trattati come appestati, questi militari dovettero provvedere a se stessi, in tutti i sensi e in tutti i modi possibili. Ampliando l’infermeria ricavata sulla cresta del Valpiana, per esempio: la quale, per quanto dignitosa, non era in grado di curare adeguatamente tutti loro. E costruendo perfino da sé una teleferica che saliva da Malga Cadinello al Lago delle Buse e, attraverso Forcella Ziolera, arrivava fin dei pressi della Cima Valpiana, per assicurare loro i rifornimenti anche nella più dura stagione invernale.
In Lagorai – e più precisamente nella vicina Valsolero – il 13 dicembre 1916 una valanga travolse e uccise ben 96 militari asburgici e prigionieri russi. Fra le vittime vi era anche il colonnello medico imperiale Miller, che fino a quel momento si era prodigato nella cura dei militari affetti da tracomatosi nel lazzaretto di Valpiana, e la moglie Herta, che operava sul posto come crocerossina. Se il colonnello Miller morì, Herta non subì certo una sorte migliore: estratta viva dalla neve, la sua salute mentale fu compromessa per sempre dalla tragica esperienza vissuta. È alla sua memoria che i militari tracomatosi vollero dedicare la loro infermeria d’alta quota, che proprio dalla fine del 1916 venne denominata Herta Miller Haus, come ancora oggi è attestato dalla targa in cemento incastonata sulla sua facciata.
Come arrivare a Cima Valpiana e ai ruderi dell’Herta Miller Haus
Partenza: Telve (TN), loc. Val Calamento
Dislivello: + 1.200 metri
Tempo di percorrenza: 6.30 ore (a/r)
Difficoltà: E
L’escursione parte dal parcheggio situato in Val Calamento (46°08’29.4″N 11°28’05.9”E), all’imbocco del sentiero che porta, in 2 chilometri e mezzo e 400 metri circa di dislivello, a Malga Cere, dove è consigliato gustare una deliziosa seconda colazione prima di proseguire lungo il segnavia 398, che porta in un’oretta abbondante di cammino a Forcella Maddalena e in un’altra mezz’ora a Cima Valpiana e al rudere dell’Herta Miller Haus. Dopo una doverosa visita al sito, è possibile continuare per il sentiero 398 fino all’incrocio con il 322, seguendo le indicazioni per Forcella Ziolera, dove sono ancora visibili i resti della teleferica costruita nel 1916. Di lì, si scende lungo il segnavia 361 per un prato brullo, dei pascoli ed infine un bosco, passando accanto a Malga Ziolera e perdendo infine velocemente quota verso Malga Baessa, da cui, in dieci minuti di cammino su asfalto, si ritorna al parcheggio dal quale si è partiti. Per chi volesse spalmare su due giornate l’escursione consigliamo di salire in Malga Cere nel pomeriggio del giorno precedente, pernottandovi.