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Meridiani Montagne in edicola con il numero dedicato alla Dent Blanche e alla Val d’Hérens

Il numero 135 della rivista accompagna i lettori alla scoperta della svettante piramide delle Alpi Vallesane e della suggestiva vallata che si distende ai suoi piedi: vette, itinerari, monumenti dell’uomo e della natura in un territorio per molti italiani ancora sconosciuto

Una meravigliosa piramide di gneiss e ghiaccio riempie la vista a chi risale la Val d’Hèrens, nel cantone svizzero del Vallese. Troppo bella, geometricamente perfetta. Ma anche irresistibilmente stuzzicante per chi ama (e può) salire montagne in apparenza repulsive. Con i suoi 43547 metri di quota la Dent Blanche è una delle vette più ammirate delle Alpi Vallesane e della cosiddetta Corona Imperiale. Le quattro creste che ne delimitano le pareti la rendono perfetta alla vista e accessibile a ogni buon alpinista. A sognare possono essere in molti, dunque. Prima di indossare l’imbrago, però, gli scalatori si mescolano con il popolo degli escursionisti e di coloro che le montagne preferiscono guardarle dal basso, semplicemente da un prato o dalla terrazza di un rifugio. La Val d’Hérens sa come soddisfare ogni suo ospite, che sia un biker iperadrenalinico che un pacifico camminatore contemplativo. Nelle pagine di Meridiani Montagne tutti possono trovare una risposta soddisfacente. E iniziare a sognare una vacanza ricca di sorprese.
A introdurre il numero 135 di Meridiani Montagne è l’editoriale del direttore Paolo Paci.

La cover del Numero 135. Dent Blanche e Val d’Heěrens

Bisogna essere degli asini

Qual è la montagna più bella delle Alpi? Se lo chiedete a un coreano o a un americano, è sicuro che vi risponderanno: il Cervino! Potenza del marketing, la Gran Becca ha un buon ufficio stampa e santi in paradiso. Se lo chiedete invece a un alpinista di fama, come il nostro Alessandro Gogna, o più modestamente a me, la risposta sarà: dipende. Vista dalla Valle del Rodano, la Dent Blanche non è meno imponente di suo fratello, maggiore di appena una novantina di metri. Anzi, per la regolarità delle sue creste, per la magnificenza delle sue pareti, a volte appare ancora più bella, un prisma perfetto, con il giusto mix di roccia (uno gneiss dalle tenui tonalità verdi) e di ghiaccio. La sua parete nord è persino più difficile di quella del Cervino, ma i suoi conquistatori, Karl Schneider e Franz Singer che la salirono nel 1932, non divennero famosi come i fratelli Schmidt, e la parete stessa è rimasta un affare per pochi. Mai entrata nella classifica delle tre (o sei) Nord che fino a qualche decennio fa definivano il carnet alpinistico dei migliori.
I veri sommelier della montagna, però, conoscono da sempre la bellezza della Dent Blanche, e i nomi che ne popolano la storia sono da Empireo: Jean-Baptiste Croz e T.S. Kennedy, Ulrich Almer e Meta Brevoort, Michel Vaucher e Jean-Marc Boivin, per citare alla rinfusa guide, clienti e scalatori vari. In particolare a Ulrich Almer, la grandissima guida di Grindelwald che nel 1882 salì la cresta est-nordest, è attribuito uno degli aneddoti più gustosi della storia dell’alpinismo. Giunto in cima dopo inenarrabili rischi e fatiche, ai suoi clienti inglesi disse: “Comunque siamo quattro asini per essere saliti di qui”. Alla cresta rimase da allora il nome di Arête des Quatre Ânes. Anch’io conservo un personale aneddoto: molti anni fa, ho scalato la Dent Blanche per la sua cresta sud, facile ma comunque bella lunga. Tornati al rifugio, il mio compagno, una guida di Ferpècle, aprì il suo parapendio e mi lasciò solo a percorrere l’interminabile discesa a valle: fu allora che mi sono sentito un asino. Forse avrei dovuto imparare a volare. Forse avrei dovuto sapere che l’alpinismo è una cosa del tutto inutile, che si paga col massacro delle ginocchia. Ma ho imparato una cosa importante: anche gli asini possono essere felici!

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