Gli italiani tornano a vivere in montagna? In tre anni l’hanno fatto quasi in 100.000
Banda larga, asili-nido e trasporti. Secondo l’UNCEM, i miglioramenti in questi campi stanno riportando residenti sulla montagna italiana. Un processo, però, che non riguarda tutte le regioni allo stesso modo
Aria buona, panorami, possibilità di sport e di svago. Ma anche un’alternativa di vita concreta, uno luogo dove trasferirsi e lavorare. Queste sono le Alpi e l’Appennino per un numero crescente di italiani. Ad affermarlo è il Rapporto Montagne Italia 2025, presentato il 24 giugno dall’UNCEM, l’Unione Nazionale dei Comuni e delle Comunità Montane, e che analizza i dati dei cinque anni dal 2019 al 2023.
La nuova tendenza, sorprendente per molti, non riguarda allo stesso modo tutte le montagne italiane. In testa alla classifica dell’aumento della popolazione ad alta quota sono infatti l’Emilia-Romagna (più 46,7 per mille), la Toscana (più 37 per mille), la Liguria (più 32,16 per mille) e il Piemonte (più 26,4 per mille).
Seguono a distanza le due ricche Province autonome di Bolzano e di Trento (più 21,9 per mille), spesso indicate come esempi delle politiche locali a favore dei residenti della montagna. L’aumento della popolazione montana negli ultimi cinque anni supera il 20 per mille in ben 137 delle 386 “comunità territoriali” prese in considerazione dall’UNCEM e dai suoi ricercatori nel rapporto.
Nonostante il fascino del Pollino, della Sila, dei Nebrodi e dell’Etna, sempre più visitati da escursionisti e turisti italiani e non, la classifica del Rapporto ricorda che il divario tra il Nord e il Sud resta importante. Dalla montagna si continua a partire, infatti, soprattutto in Calabria (meno 21,9 per mille), in Basilicata (meno 18,3 per mille) e in Sicilia (meno 15 per mille).
“È troppo presto per fare bilanci rispetto alla pandemia e all’uso delle risorse economiche del PNRR. Le prime analisi, però, mettono in luce che ancora una volta i Comuni montani sono stati capaci di innovazione e risposte “dal basso” alle crisi, demografica e climatica, che da noi arrivano prima” spiega Marco Bussone, presidente di UNCEM, che definisce quella in corso come “la stagione del risveglio”.
“Bisogna uscire dagli stereotipi, e la parola “spopolamento” rischia di diventare un mantra sulle cose non fatte. Viviamo una crisi demografica, ma non possiamo continuare a chiamare spopolamento una cosa che spopolamento non è più. Meglio, esistono dei segnali di inversione, e questi segnali devono essere colti dalla politica” prosegue Bussone.
“Sono convinto che, se noi tutti sogniamo e crediamo nel futuro della montagna, supereremo le barriere del possibile ridando la giusta dignità e le meritate prospettive alla montagna e ai suoi abitanti” aggiunge Roberto Calderoli, ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, firmatario di un progetto di legge che sta per essere esaminato dalle Camere, e che stanzia per la montagna italiana 200 milioni di euro.
Secondo le cifre ufficiali, la montagna italiana è composta da 3.471 Comuni, che ospitano 8.900.529 residenti, pari al 14,7% della popolazione complessiva. Secondo la legge, può essere definito montano il 48,8% del territorio nazionale.
Per il precedente rapporto dell’UNCEM, relativo ai cinque anni precedenti, la montagna italiana era stata salvata dai nuovi residenti stranieri, che avevano consentito la sopravvivenza dell’agricoltura e di altri settori produttivi. Ora, anche a causa della pandemia del Covid-19 e poi dell’arrivo dei fondi del PNRR, la situazione è radicalmente cambiata.
Come spiega il Rapporto Montagne Italia 2025 (790 pagine) pubblicato in versione cartacea dalla casa editrice Rubbettino, tra il 2022 e il 2023, il saldo tra i movimenti della popolazione in ingresso e in uscita dalla montagna è ridiventato complessivamente positivo in due terzi delle comunità territoriali delle Alpi e dell’Appennino.
Il numero dei nuovi residenti, infatti, supera di quasi 100 mila unità, oltre il 12 per mille della popolazione, quello di chi nello stesso periodo ha deciso di scendere verso le città e la pianura. Stavolta, al contrario che nel quinquennio precedente, la maggioranza (64 mila unità, oltre i due terzi) dei “nuovi montanari” è costituito da cittadini italiani.
Basta guardare un telegiornale nazionale per capire che gran parte della politica e dei media continua a considerare l’Italia come una terra di città, pianure e spiagge. Leggendo il Rapporto Montagne dell’UNCEM, però, si vede che la maggioranza degli italiani – inclusi quelli che abitano a Roma, a Milano e nelle altre aree urbane – ha un’idea realistica della dimensione della montagna italiana, dei suoi benefici e dei suoi problemi.
Anche chi vive al livello del mare sa che in montagna si trovano aria pulita, contatto con la natura, possibilità di fare sport e silenzio. Al degrado e all’inquinamento delle città, d’altronde, si è aggiunto negli ultimi anni l’aumento vertiginoso del costo della vita, a iniziare dagli affitti, che cacciano dai grandi centri urbani una fetta importante della popolazione, e in particolare le giovani coppie.
Certo, la montagna resta lontana e scomoda, ma negli ultimi anni lo è diventata un po’ meno. Grazie al PNRR, certifica il Rapporto Montagne Italia 2025, in molte zone sono stati inaugurati nuovi asili, e sono stati migliorati i trasporti. Un altro elemento di grande importanza è la banda ultralarga, che consente di lavorare o studiare online.
Secondo il presidente di UNCEM, nella ripresa della montagna ha un ruolo importante anche il sistema delle imprese e delle amministrazioni locali. “Nelle aree montane italiane, tra i Parchi e l’avanzamento del bosco, nei Comuni e tra i paesi, i distretti produttivi sono tanti e sanno anche stare insieme, in filiera. La cooperazione, per noi e per loro, è un’esigenza naturale” sostiene Marco Bussone.
Tutto questo, ovviamente, non basta. Secondo l’Unione dei Comuni e delle Comunità Montane c’è ancora molto da investire per la sanità e per la scuola, due temi per i quali il progetto di legge Calderoli stanzia delle somme importanti.
Per Marco Bussone, è necessario “mettere in campo strategie di territorio e non di campanile, come per le Green Community, che oggi coinvolgono quasi 1.300 Comuni. La legge che sta per arrivare in aula è un segnale importante, ma dev’essere riempita di contenuti e investimenti”.