Alpe Fanes: Rifugi, marmotte e la birra artigianale più alta d’Europa
Il vasto alpeggio a 2.050 metri di quota nel Parco Fanes-Senes-Braies si raggiunge facilmente da San Vigilio di Marebbe. E regala emozioni inaspettate
Lontano dalla folla dei luoghi più instagrammati, come il lago di Braies, o dalle vette più famose, come le Tre Cime di Lavaredo, le Dolomiti sanno offrire ancora natura allo stato puro, silenzio e un turismo più lento e rispettoso. Siamo a San Vigilio di Marebbe a quota 1200. La superficie comunale si estende per il 56 per cento sul territorio di due parchi: il Fanes-Senes-Braies e il Puez-Odle. È la prima destinazione in Italia ad aver ricevuto la certificazione GSTC- Global Sustainable Tourism Council, promossa dalla Nazioni Unite. Basta uscire dal centro del paese muovendosi in direzione del rifugio Pederü (1548 m) per iniziare a esplorare un luogo incantato. I boschi di conifere, il torrente, le mucche che pascolano pacifiche sotto gli alberi evocano le leggende del regno dei Fanes. L’eroina di questa terra ladina è la regina guerriera Dolasilla, che potrebbe comparire da un momento all’altro in sella al suo destriero bianco. Chissà se apprezzerebbe le mucche scozzesi dalle lunghe corna e dal pelo fulvo, che affiancano le brune alpine e le pezzate?
Una gita semplice per raggiungere un alpeggio straordinario
Per addentrarsi da San Vigilio nel parco Fanes-Senes-Braies ci sono due possibilità. Si può attraversare la Val di Rudo fino a Pederü a piedi (o noleggiando una ebike). Il percorso è piacevole e adatto anche alle famiglie e il dislivello è di 358 metri, spalmati su 12 km circa. A questo punto, ci si può fermare al rifugio Pederü e rientrare a piedi o in autobus a San Vigilio. Per chi volesse evitare questo tratto iniziale c’è la possibilità di raggiungere il rifugio in auto (attenzione: si paga un pedaggio e il parcheggio) o, meglio, con la navetta dal paese. Qui si stagliano davanti agli occhi il Sas dla Para (2462 m, a sinistra) e il Col Bechei (2794 m). Il percorso fino ai rifugi Fanes e Lavarella non presenta difficoltà. Si oltrepassa il Pederü salendo a destra lungo la morena di un antico ghiacciaio estinto, tra rocce e pini mughi. Il sentiero è il numero 7. Il tratto più impegnativo è quello iniziale, dove la salita porta a superare i primi 250-300 m di dislivello, fino a giungere all’altezza del bosco di conifere. Si cammina fra abeti, larici, pini cembri: il caldo estivo accentua il profumo degli aghi e delle resine, creando un’esperienza olfattiva. Poi la salita diventa più dolce, consentendo allo sguardo di spaziare sulle vette dolomitiche. Superate un paio di baite, al primo bivio si gira a sinistra per raggiungere il rifugio Fanes (2060 m) da dove si scende fino al Lago Verde (2042 m), sovrastato dal cosiddetto “Parlamento delle marmotte”, così ribattezzato per la nutrita colonia di questi roditori che la abita . Non aspettatevi di incontrarle in pieno giorno: l’orario migliore è verso il tramonto. D’estate, in una giornata calda il laghetto alpino può far venire la tentazione di tuffarsi: è meglio evitarlo, per preservare al meglio i delicati equilibri naturali. Nel mese di giugno, il verde delle acque crea un bel contrasto con il fucsia dei fiori dei rododendri alpini. Il giro può concludersi idealmente al rifugio Fanes o al rifugio Lavarella (2050 m), sul lato destro rispetto al lago. La strada percorsa è di 12 chilometri, il dislivello di circa 600 metri. Per arrivare all’Alpe di Fanes dove sorgono i due rifugi si può utilizzare anche una sterrata carrozzabile, perfetta per salire in ebike.
Il rifugio Lavarella ha una particolarità: ospita il microbirrificio più alto d’Europa. Si producono ai 13 ai 14 mila litri all’anno, a seconda della disponibilità d’acqua montana, e si può degustare esclusivamente qui. Il maestro birraio è Gabor, di origine ungherese, venuto a lavorare ventenne al rifugio, dove ha conosciuto Anna Frenner, pronipote del fondatore del rifugio. Con le loro figlie Emma, Marta e Greta, sono l’ultima generazione della famiglia che ha le redini di questo luogo incantevole. Il birrificio è il sogno di Gabor, che già da ragazzino si era cimentato a produrre birra a uso esclusivamente personale.
La storia del Lavarella ha inizio oltre cent’anni fa, nel 1912, quando Mariangelo Frenner costruisce una baita fienile. Poi arriva la guerra: da queste parti c’erano le retrovie dell’Impero Austroungarico, asserragliato a difesa del Sass de Stria (2477 m) vicino a Cortina, per impedire agli italiani l’accesso in val Badia dal Passo Falzarego. A fine conflitto, il ritorno della pace porta anche i primi alpinisti. Il rifugio in pietra, nato dall’originaria baita di Mariangelo, era pronto ad accoglierli. Il padrone di casa è diventato nel frattempo Fritz, uno dei figli di Mariangelo. Dopo un rovinoso incendio nel 1939, il Lavarella rinasce come la fenice dalle sue ceneri. Dopo la Seconda Guerra mondiale, però, non è più Fritz Frenner a occuparsene: purtroppo, ha perso la vita durante il conflitto. «Il nuovo gestore diventa suo fratello Peter, mio nonno, che a questo punto della storia già non si occupava più da solo dell’allevamento delle mucche», spiega Anna Frenner. «Lo fa insieme alle sue sorelle, che gli danno una mano. Mia nonna Emma, che aveva avuto sette figli in nove anni, era troppo occupata con i bambini e a gestire l’hotel Corona in paese. C’erano già molti scialpinisti che venivano d’inverno – il rifugio ancora adesso non chiude nella stagione invernale – la clientela era per lo più tedesca, dalla Baviera».
Nel 1978 il testimone passa da Peter a Hanspeter e sua moglie Michela, bravissima cuoca, genitori di Anna. «Hanno gestito il rifugio fino al 2022».
Come quasi tutti da queste parti, i Frenner sono ladini. Il Lavarella si è “internazionalizzato” con l’arrivo di Gabor nel 2003, e nel tempo è stato rimodernato, aggiungendo camere private da due o tre letti, oltre alle tradizionali camerate da rifugio. «Ho ricordi meravigliosi in questo posto quando ero bambina», racconta Anna Frenner. «Noi bambini al mattino ci infilavamo gli stivali di gomma e andavamo a giocare con le mucche del vicino, stavamo fuori fino a tarda sera, girando per i laghi e andando a vedere le marmotte. Io e le mie sorelle eravamo in tre, poi c’erano altri nipoti, eravamo un bel gruppo di bambini».
Crocevia di sentieri
L’Alpe di Fanes è un paradiso. Risvegliarsi qui al mattino e partire per un trekking d’alta quota è facile. Si può scegliere se pernottare al Lavarella oppure al vicino Fanes. L’Alta Via delle Dolomiti n.1 – 125 km dal lago di Braies a Belluno – nella terza tappa passa dall’Alpe Fanes dove prendendo il sentiero 11 si raggiunge il pianoro dove c’è il lago di Limo e la malga Fanes Grande, a quota 2100. Da lì l’11 porta al passo Tadega, poi alla Forcella del Lago (2486 m) salendo poi fino a quota 2752, al rifugio Lagazuoi. Non è un trekking per tutti: il livello EE richiede gambe resistenti, capaci di affrontare in una giornata 1100 metri di dislivello in oltre cinque ore di marcia. «Il mio giro preferito? Quello che porta dall’Alpe di Fanes al Sasso di Santa Croce, con il sentiero n.7, che passa dal Lavarella», racconta Anna Frenner. Una volta intrapresa la salita, il Sasso della Santa Croce (2907 m) si raggiunge con un percorso impegnativo, che impone circa 1000 metri di dislivello. Il paesaggio d’alta quota è meraviglioso, ma è consigliato solo a esperti e in ottima condizione fisica.
Un’ultima curiosità: dormire una notte al Lavarella è il sogno di tanti, tantissimi. Tant’è che il rifugio è già prenotato per tutto il 2025. Un consiglio: portatevi avanti con una prenotazione per il 2026. Anche una gita in giornata, però, offre soddisfazioni. Se volete raggiungere il rifugio da San Vigilio di Marebbe, partendo all’alba è possibile godersi l’Alpe di Fanes salendo ulteriormente, e scendere per pranzo al Lavarella per una birra artigianale e un piatto di cucina ladina, accompagnato da un ottimo dolce, il Kaiserschmarrn, , la frittata dell’Imperatore apprezzata da Francesco Giuseppe d’Austria, prima di iniziare la discesa verso Pederü.