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Fuori traccia. Piccolo elogio del perdersi in montagna

Uscire, anche involontariamente, dal sentiero può diventare un’opportunità di crescita

C’è un momento, durante il cammino, in cui il sentiero si fa meno evidente.
La segnaletica scompare, i sassi si confondono tra loro e una voce dentro comincia a chiedersi: “Siamo sicuri che sia di qua?”

Per chi è alle prime uscite, è un attimo farsi prendere dalla tensione: la paura di sbagliare, di perdere tempo, di smarrirsi. Paradossalmente è proprio lì che comincia davvero l’esperienza.  In un mondo dove tutto è già tracciato, dove ogni percorso è ottimizzato, recensito, geolocalizzato, perdersi è diventato un tabù. Ma chi frequenta la montagna, anche solo da poco, sa che un po’ di incertezza è inevitabile e può essere preziosa.

Non ritrovarsi in ogni istante nella rotta prestabilita non significa mettersi nei guai, significa lasciare per un momento il percorso fissato, rinunciare all’inganno del “controllo”, abituare i sensi all’ascolto, aprire spazio alla sorpresa. Non si tratta di ignorare i rischi ma, al contrario, accendere un faro su di essi.

La montagna richiede attenzione, prudenza, preparazione. Un’escursione non è solo un dislivello da superare rincorrendo un segnavia.
Anche chi è alle prime esperienze può imparare a orientarsi non solo con una traccia sotto i piedi, ma con gli occhi, con il corpo, con l’intuizione.

Per esercitarsi occorre però scegliere un contesto adeguato, semplice rispetto alle proprie capacità, per ascoltare il cambiamento del bosco, leggere la pendenza di un pendio, l’esposizione dei versanti e cogliere all’istante come il suolo cambia sotto i piedi: fango, erba, detriti instabili, rocce affioranti sono segnali preziosi per orientarsi con il corpo prima che con la testa.

Sono gesti semplici, quasi invisibili, ma sono questi che trasformano l’escursione in una relazione con l’intorno, e non solo in un itinerario da completare. Per questo perdersi, anche solo per pochi passi, anche solo con il pensiero, può essere un atto educativo.

Un piccolo gesto di libertà, che ci restituisce il sapore dolce dell’incertezza e della scoperta, che ci ricorda che salire in alto non è fare qualcosa da aggiungere alla lista, ma un’occasione per lasciarci trasformare.
Non serve essere esperti, serve solo concedersi, ogni tanto, il permesso di non sapere esattamente dove si va.
È da lì che si comincia a capire dove siamo.

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