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Sul Gran Sasso, per fotografare le peonie

Nei vivai e nei giardini italiani si ammirano soprattutto peonie di origine asiatica. Sul grande massiccio abruzzese, nelle valli esposte a nord, cresce l’elegantissima peonia selvatica. Una meraviglia, da fotografare con rispetto

Nelle valli e sui pianori del Gran Sasso, nelle ultime settimane della primavera, si ammira un fiore di straordinaria eleganza. E’ la peonia selvatica, Paeonia officinalis per i botanici, una specie protetta in tutta Europa. Spesso indicata come “rosa senza spina”, è una geofita rizomatosa. Una pianta con un fusto sotterraneo, il rizoma, che ogni anno emette radici e fusti avventizi.

Il grande massiccio abruzzese, d’altronde, non è fatto solo di pascoli, pareti di roccia e faggete. Con le sue 2364 specie censite, il Parco che lo tutela insieme ai Monti della Laga è una delle aree protette dalla maggiore biodiversità vegetale in Europa. Fanno parte di questo lunghissimo elenco 139 piante endemiche italiane, 59 orchidee spontanee e ben 73 piante tutelate da convenzioni internazionali.

L’areale della peonia selvatica ha al centro il Mar Nero. Fiorisce su pendii pietrosi, asciutti, preferibilmente calcarei, o nei boschi radi e negli arbusteti subalpini, fino a una quota di circa 1800 metri sul mare. In Italia la si incontra in Abruzzo, nell’Appennino modenese, sul Pollino, nel Supramonte sardo e in poche altre zone. Una sottospecie più rara è la peonia pellegrina, individuata solo nelle forre umide della Valle dell’Orfento, nel Parco nazionale della Maiella.

Chi ama legare fiori e leggende, con la peonia è servito. Secondo gli antichi greci, questo fiore colorava i giardini degli Dei sull’Olimpo. Per l’Hanakotoba, il linguaggio dei fiori giapponese, questa è la “regina dei fiori”, un auspicio di fertilità e di gioia. Il suo nome rimanda ancora alla Grecias, e al mitologico guaritore Peone che fu trasformato da Giove in un fiore. Fin dall’antichità, la peonia era usata per produrre profumi o farmaci, utili contro l’epilessia, la follia e l’insonnia. Molti appassionati di fiori e giardini conoscono la peonia asiatica, o peonia moutan, che in Giappone era riservata alla famiglia imperiale e ai nobili, e che viene coltivata in numerosi vivai in tutta Italia. 

Dove vedere le peonie selvatiche

Lo spettacolo delle peonie selvatiche sul Gran Sasso può essere ammirato in più luoghi. Alcuni si raggiungono anche in auto, altri richiedono delle camminate più o meno lunghe. Sui Prati di Tivo, che si raggiungono in auto da Pietracamela, le peonie fioriscono soprattutto intorno alla base della cabinovia dell’Arapietra, che in primavera è chiusa. All’inizio di giugno si fotografano a pochi metri dall’auto. Poi, man mano che la stagione avanza, i fiori sbocciano più in alto, tra i massi calcarei sorvolati dall’impianto. Il limite della sua diffusione è a 40/45 minuti di cammino dal piazzale.   

Al Piano del Voltigno, nel versante pescarese del Gran Sasso, il clima umido favorisce la crescita delle peonie. Dopo aver lasciato l’auto sul Vado di Focina, occorre meno di un’ora per superare la conca dove si forma in primavera il Lago Sfondo, e salire alla Fonte Aciprano, 1432 metri, all’ingresso del Bosco Carbonere, dove spesso fioriscono le peonie. Si può partire anche dal rifugio Sasso Vivo. Per trovarle, vale la pena di rivolgersi agli accompagnatori di media montagna o alle guide ambientali della zona. 

La Fossa Ranni, ai piedi del Monte San Franco, è traversata dal sentiero che sale verso il rifugio Panepucci-Alessandri, che la Sezione dell’Aquila del CAI sta ricostruendo. Dal Passo delle Capannelle si segue in auto una stradina per 3 km, poi si cammina per mezz’ora. 

Il luogo più spettacolare dove ammirare questo fiore è, però, la Val Maone, nei dintorni della Grotta dell’Oro, che si apre a 1680 metri di quota ai piedi dei pilastri del Pizzo d’Intermesoli. Il sentiero più breve inizia dai Prati di Tivo, sale a scavalcare una sella, scende alle cascate e alle sorgenti di Rio Arno e prosegue sul fondovalle. Una deviazione non segnata sale verso destra alla grotta. Tra andata e ritorno occorrono circa 3 ore. Se si parte a piedi da Pietracamela si toccano i cippi che ricordano gli alpinisti Cambi e Cichetti, si sale ripidamente nel bosco e si esce sul viottolo che proviene dai Prati. Tra andata e ritorno occorrono circa 4 ore.   

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