Arrampicata

Quando la roccia non offre appigli

L’arrampicata d’aderenza richiede un approccio speciale. Servono intuito, sensibilità, capacità di leggere la roccia e continuità del gesto

L’arrampicata d’aderenza non è più o meno bella di altri stili, è semplicemente diversa.
È forse la meno replicabile nelle strutture indoor e, oggi, in tempi di atleti sospesi nel vuoto su pareti aggettanti e spettacolari, poco in voga. Eppure, conserva un fascino inconfondibile, che seduce chi sa ascoltare.
Un fascino fatto di movimenti sospesi tra il possibile e l’incerto, di piedi che si affidano a superfici lisce, apparentemente prive di appigli. È una danza in bilico, dove la forza non basta. Servono intuito, sensibilità, capacità di leggere la roccia come si legge una partitura.
L’aderenza non è una questione muscolare, è un gioco di equilibrio sottile tra tensione e rilassamento, tra fiducia e paura. Quando i morsi del dubbio serrano i polpacci e le protezioni si fanno rare, entra in campo la testa. E lì si gioca un’altra partita.

L’arrampicata d’aderenza è soprattutto impegno mentale. Serve lucidità, quando tutto intorno invita a irrigidirsi. Serve decisione, quando i piedi sembrano scivolare e il corpo tende a chiudersi. Serve educare il pensiero a restare presente, a non cedere alla forza di gravità che sovrasta l’attrito delle nostre suole.
Aderenza è ascolto, respiro, postura, è la capacità di spegnere il rumore del panico e stare lì, dentro la posizione, mai troppo statica, dentro il momento, con tutto sé stessi.
Chi la pratica abitualmente lo sa, le vie d’aderenza non si forzano, non si vincono, si percorrono con rispetto e concentrazione.

Prima ancora della tecnica, è la confidenza con questo terreno che va costruita. Se manca l’esperienza e la via è severa, non ha senso improvvisare, meglio iniziare da linee abbordabili, dove prendere le misure, accettare un po’ di apprensione, ma imparare qualcosa ogni volta.
È solo frequentando con costanza questo tipo di scalata che il corpo inizia a capire, che la mente si rilassa e i piedi smettono di tremare. Così la fiducia cresce un passo alla volta e arriva il momento in cui anche la placca più liscia non sembra più impossibile, allora si scopre che non è solo una questione di piede, ma di presenza interiore.

E poi c’è la fluidità. La scalata in aderenza premia la continuità del gesto, più si riesce a restare morbidi, più la parete restituisce qualcosa. Ruminare troppo, analizzare ogni singolo spostamento, cercare appigli dove non ce ne sono, irrigidisce il corpo e inceppa il flusso.
Non si tratta di “non pensare”, ma di pensare con tutto il corpo. Quando ci si trova in bilico su due appoggi precari e non si sa come uscirne, a un certo punto occorre decidere. Non esiste la posizione perfetta, occorre scegliere una direzione e muoversi con fiducia, non lasciare spazio ai dubbi, ai ripensamenti. L’aderenza non tollera le esitazioni, obbliga ad agire, ad abitare ogni gesto con intenzione piena.

E anche per chi non ama questo stile o lo pratica di rado, allenarsi all’aderenza serve, perché l’uso del piede in appoggio e la capacità di spalmarsi sulla roccia e sfruttare ogni minimo attrito, torna utile ovunque. Su granito, calcare, vie lunghe, falesia o blocchi. E soprattutto quando ci si muove in ambienti dove l’equilibrio è precario, la protezione incerta e la via non è mai data per scontata.

Luoghi celebri per l’aderenza in Europa sono la Val di Mello, con le sue placche di granito levigato, e La Pedriza in Spagna, un labirinto di salite in placca che mette alla prova i nervi e la tecnica.
Ma ogni gruppo montuoso custodisce tratti di parete in cui prevale l’aderenza, itinerari che sfidano più la mente che il corpo; vale la pena, ogni tanto, cercarli, prepararsi, allenare lo sguardo e l’assetto mentale che questa scalata richiede.

L’aderenza, alla fine, è una scuola, non solo di arrampicata, ma di presenza, insegna la misura, la calma, la fiducia e lascia spesso un ricordo più profondo di tante salite muscolari, perché quando riesci a muoverti leggero su una lastra liscia, senza nulla da stringere, solo con la precisione dei piedi e la tenuta della mente qualcosa cambia. Dentro.

Negli ultimi anni, in Val di Mello, il proliferare di licheni – forse favorito dall’aumento delle temperature, dell’umidità, o del bosco che ha preso il posto dei pascoli – sta rendendo sempre più difficoltosa la salita delle storiche placche d’aderenza: il granito si fa scuro, scivoloso, in molti tratti quasi inavvicinabile. Una trasformazione silenziosa che cambia l’esperienza e impone nuova attenzione.

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