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“Non voglio morire frainteso”, dice Mauro Corona presentando il film sulla sua vita

Folla delle grandi occasioni a Trento per l’anteprima di “Mauro Corona: la mia vita finché capita”. Lo scrittore, scultore e alpinista friulano ha spiegato cosa lo ha convinto a realizzare il film. Che sarà nelle sale da domani, 5 maggio

“Qui giace Mauro Corona, uomo iniquo e perverso. Pregare per lui è tempo perso”. Così recita una voce solenne (dai titoli si scopre che è quella di Giancarlo Giannini) all’inizio di Mauro Corona: la mia vita finché capita, dedicato alla vita e alle riflessioni dello scrittore, scultore e alpinista di Erto, che è stato presentato il 2 maggio in anteprima al Film Festival di Trento. E  che lunedì 5 maggio arriva nei cinema italiani distribuito da Wanted Cinema. 

Nel film, diretto da Niccolò Maria Pagani, che per sei mesi si è trasferito da Milano a Erto bassa, 40 abitanti, c’è tutto quel che i fan di Corona si aspettano di trovare. La bandana nera, il fumo pestilenziale del sigaro, la malinconia del Vajont e del centro semi-abbandonato di Erto, l’ambiente selvaggio delle Dolomiti friulane, l’acquavite e una quantità industriale di vino, versato da bottiglie, da secchi e addirittura da un frullatore. 

C’è anche molto altro, però. In due belle giornate di sole, vediamo Mauro indossare un imbrago moderno e sostituire la bandana con un casco che ha almeno quarant’anni di vita per arrampicare su una bella falesia tra i boschi. Poco dopo, impugnate due piccozze da piolet-traction, il protagonista sale senza difficoltà e in bello stile – avrà pure 75 anni, ma è una guida alpina! – una bella cascata di ghiaccio.

Regala un’atmosfera alla Spoon River la passeggiata tra le case abbandonate di Erto, di cui Mauro ricorda uno a uno i proprietari scomparsi da decenni. “Qui c’era Silvio, qui Carlo, qui Arcangelo, qui Celeste”. Offre una chiave di lettura feroce, e senza filtri, il racconto della violenza del padre di Corona, pronto a picchiare i figli per un nonnulla, che contrasta con la dolcezza del ricordo del nonno. 

Dolcissimo, e imbevuto di rimpianto, l’incontro del protagonista con la tomba della madre Lucia, che il piccolo Mauro ha visto fuggire su un camioncino per scampare alle botte del marito. Accanto al dolore e al rimpianto, però, ci sono dei ricordi positivi. “Ho tre DNA. Ho preso la manualità dal nonno, l’amore per i libri da mia madre, il piacere della vita all’aria aperta, dalle scalate alla caccia, da mio padre” racconta.  

C’è malinconia sul sentiero che si affaccia dall’alto sulla diga del Vajont e sul ricordo della strage. “Le frane si vedevano bene, i proprietari della SADE, che aveva costruito la diga, sapevano quello che sarebbe accaduto. Sarebbe bastato evacuare gli abitanti di Erto, di Longarone, di Casso e degli altri paesi perché non morisse nessuno. Invece volevano vendere l’impianto all’ENEL, e hanno taciuto. La bastardata del Vajont è tutta lì” racconta Mauro.


Nei primi minuti del docufilm, scopriamo che uno degli autori più famosi d’Italia scrive a mano, su dei quaderni che poi trascrive al computer. Segue un breve collegamento video con Bianca Berlinguer e il suo programma, che lo ha portato in milioni di case. Poi, uno alla volta, compaiono gli amici veri, accolti con cibo, vino e superalcoolici assortiti. 

Il rocker fiorentino Piero Pelù improvvisa alla chitarra un blues dedicato al suo amico Mauro, e poi si aggira per le stradine di Erto, riflettendo sulla “montagna, dove c’è tanta luce ma anche ombra, tanta ombra”. Poi arriva il folksinger lombardo Davide Van De Sfroos, che discute dei misteri della vita di fronte alle prelibatezze di Casera Mela, a pochi chilometri da Erto. 

L’ultimo a entrare in scena è Erri De Luca, un napoletano che in comune con Mauro Corona l’età (75 anni), la passione per la roccia e per la vita solitaria, e l’abitudine a scrivere a mano, lentamente, centellinando le parole sul foglio. Non si vede ma c’è eccome Omar Pedrini, bresciano, l’ex-frontman dei Timoria, autore dei brani di apertura e di chiusura del film. 

Il trailer del film

Bella, rumorosa e ad alto tasso alcoolico è anche la scena finale, con un torneo di morra. Un gioco antico, che secondo Mauro è stato calunniato per secoli da cittadini e borghesi. “Richiede un’abilità e una rapidità straordinarie, bisognerebbe organizzare le Olimpiadi della morra” spiega Corona, prima che la bella voce di Orsola Scarpa, con un pezzo firmato da Pedrini, accompagni lo spettatore verso i titoli di coda. 

A Trento, davanti a un pubblico che si è spellato le mani dagli applausi, Mauro Corona ha aggiunto altri tasselli al ritratto. Spiega che i testi del docufilm di Pagani sono tratti dal suo libro Le altalene (2023), mostra la sua cultura letteraria citando a raffica Mishima, Machado, Edgar Lee Masters e Garcia Marquez. Confessa di essere diventato “per un anno e mezzo uno zombie che non faceva più niente”, e poi di aver rivisto la luce. 

Sono qui, non mi suicido. Perché c’è anche il lato bello della vita, per esempio una camminata, vedere il bosco d’autunno. Però il bicchiere mezzo pieno non basta, e quando spegni la luce per dormire arrivano i fantasmi” prosegue Mauro. Il tema centrale della discussione sul palco, come del film, è la memoria, “che va, viene e ci insegna una sola cosa. Non bisogna perdere tempo”. 

A trarre le conclusioni, sul palco dell’Auditorium Santa Chiara di Trento, è Davide Van De Sfroos, nome d’arte di Davide Enrico Bernasconi, originario di Monza e uomo di pensieri profondi. Spiega che ha sempre ammirato la coerenza di Mauro, gli regala una testa di lupo scolpita con le sue mani nel legno, poi regala al pubblico due belle canzoni in dialetto lumbàrd. “Non voglio morire frainteso”, chiosa Corona prima di lanciarsi in un firmacopie travolgente.   

 

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