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L’industria della neve è in crisi. Cosa rimarrà di quei luoghi?

In pianura i terreni occupati dalle grandi fabbriche dismesse sono spesso diventati location per eventi, quartieri “smart”, parchi, musei ed alberghi. Per le stazioni sciistiche di bassa e media montagna è ora di iniziare a guardare al domani

Chi avrebbe mai pensato molti degli emblemi dell’Italia industriale e manifatturiera, massimi scenari dell’affermazione del fordismo e delle sue ricadute nella storia economica e sociale del XX secolo, si dissolvessero nel giro di pochi anni?

Eppure è andata così.

Sotto la neve immacolata e candida delle piste da sci delle Alpi si nasconde un’infrastruttura sterminata, per certi versi paragonabile a quella delle fabbriche d’auto di un tempo. Non a caso si chiama industria dello sci.

Tubi, cavi, cementi, gallerie, tralicci, motori, pompe, frese, fari, asfalti, oli, ingranaggi, parcheggi e nastri d’asfalto, costituiscono l’infrastruttura industriale, messa in funzione, al pari dei vecchi Cipputi, da vari addetti, skilifisti, meccanici, elettricisti, gattisti, “nevificatori”…

La catena si estende poi all’ospitalità, costruttori, immobiliaristi, alberghi, appartamenti, alla ristorazione, maestri di sci, noleggi, negozi, servizi, svaghi, trasporti, après ski, vita notturna…
Alimentata da sistemi di comunicazione e promozione, marketing, rèclame, social media manager…

Insomma un’industria bella e buona che, seppur con pesante tributo in termini di sacrificio ambientale, ha dato da mangiare a generazioni di montanari, situazione non dissimile a quella degli emigranti meridionali con valigia di cartone, trasferiti in massa al Nord nel triangolo industriale, al tempo del boom economico degli anni ’60.

In tutto questo la cultura cittadina ha sempre dettato la rotta, guidato investimenti, raccolto i maggiori profitti ma, si sa, la montagna è sempre stata terra di rapina, di materie prime, legname, acqua, da bere, per irrigare, per produrre energia

Lo sfruttamento idroelettrico, in particolare, costituisce ancor oggi uno sterminato oro blu dove, a fronte di profitti colossali, restano in loco solo le briciole, senza contare la desertificazione, rispetto al passato, di posti di lavoro qualificati, soppiantati dalla progressiva automazione degli impianti.

L’industria dello sci al di sotto dei 2000 metri è già morta, anche se diverse stazioni fingono di non vedere. Quando il decesso si estenderà, perché così accadrà, che dazio pagheremo in termini di distruzione?

Le fabbriche cittadine si sono trasformate in location per eventi, quartieri “smart”, parchi, musei ed alberghi. Addirittura da spazi grigi inospitali a contenitori di aggregazione e cultura.

Cosa accadrà al groviglio di funi, cavidotti, piste, strade di arroccamento, piloni, pilastri e parcheggi in quota? E a tutto quello che ci ruota attorno?

Quando sciare sarà un ricordo o passatempo per pochi nababbi?

Ps: i costi dello skipass giornaliero di Aspen, in Colorado, per il mese di dicembre 2024 variano da 179 USD a 263 USD.

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