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La montagna drammatica e potente dipinta da William Turner

L’artista inglese, esponente di primo piano del Romanticismo, rappresentò molte delle montagne viste nei suoi viaggi nell’Europa continentale. Ecco cinque suoi capolavori che lasciano il segno

«Le montagne sono l’inizio e la fine di tutto il paesaggio naturale», scriveva John Ruskin, celebre critico d’arte inglese, nel suo libro “Of Mountain Beauty”. Era il 1856 e la corsa alla scalata delle Alpi era in pieno svolgimento. E anche l’arte aveva già iniziato a trarre ispirazione dai luoghi elevati, non più inaccessibili. La paura e l’avversione per le vette avevano lasciando spazio alla poetica del sublime che apprezzava la raffigurazione di una natura selvaggia e imponente, possente e maestosa, che generava un piacevole brivido nell’osservatore. Quando Ruskin scrive, il grande artista britannico Joseph Mallord William Turner (1775-1851) è morto da cinque anni, stroncato dal colera. Lui che è stato “il pittore della luce” e che aveva girato in lungo e in largo per l’Europa in cerca di ispirazione se n’era andato dopo un’ultima fase della vita estremamente ombrosa e oscura, segnata dall’alcol e dalla solitudine. Nella storia dell’arte, Turner è ricordato per i suoi paesaggi marini o i suoi soggetti di ispirazione mitologica e storica. Ma il maestro è stato anche un grande pittore romantico della montagna. Ecco alcuni dei suoi quadri più iconici.

Bufera di neve: Annibale il suo esercito attraversano le Alpi (1812) è conservato alla Tate Britain di Londra. L’episodio storico ritratto è reale: il condottiero cartaginese proveniente dalla penisola iberica varcò le montagne nel 218 a.C. in occasione della seconda guerra punica. Non sappiamo tuttora con assoluta precisione da dove Annibale sia transitato, per cui anche Turner non aveva un passo o un luogo specifico a cui ispirarsi. Però nel 1812 il pittore inglese aveva già visto le Alpi nel suo viaggio in Francia e Svizzera del 1802. Sapeva che in quota basta poco per ritrovarsi in balia degli elementi naturali. In questo quadro non è la montagna a fare da primadonna. Un cielo spaventoso da tempesta domina il paesaggio, la luce del sole (o della luna) squarcia le nubi da bufera e gli uomini sul fondovalle sembrano piccoli come formiche, inermi di fronte alla potenza della natura. Non si può guardare a questo dipinto senza un senso di ansia e al contempo di fascino. Il sublime è contemporaneamente terrore e piacere.

Non è certo più rassicurante Il ponte del diavolo al San Gottardo (1803-1804), esposto alla Kunsthalle di Zurigo. William Turner passò davvero in questo luogo durante il suo viaggio di ritorno dall’Italia e ne fece dei disegni, poi utilizzati per dipingere con calma al suo rientro a casa il dipinto, su commissione. Uomini, soldati, muli si perdono in questo paesaggio spaventoso, in cui è la montagna impervia a dominare lo scenario. Chi guarda può quasi sentire il suono della cascata che scende nella gola di Schöllenen. La luce e le nubi basse accentuano l’aspetto spaventoso del ponte, che secondo la leggenda fu costruito dagli abitanti di Ursenen con l’aiuto del diavolo in persona. Nel 1803 la battaglia qui combattuta dall’esercito francese di Napoleone contro i russi nel 1799 era storia recente, da cui il pittore trasse ispirazione. Non è l’unico dipinto del maestro dedicato alla mulattiera incastonata nella montagna: Il passo del San Gottardo (1803-1804), privo di figure umane, esalta le cime lasciando intravedere un lembo di cielo azzurro ed evidenzia il brivido che si prova a percorrere un gola così scoscesa. Basta un passo falso su una pietra scivolosa per perdere la vita.

L’acquerello del 1843 intitolato Il lago di Zug del Metropolitan Museum di New York ci porta in una dimensione quasi onirica e più serena. Il sole sta sorgendo sul paesino di Zug, illuminando le vette, mentre alcune donne stanno sedute sulla riva, e due bagnanti sembrano quasi figure mitologiche. La luce, i colori, l’atmosfera di questo dipinto ne fanno una delle opere migliori di Turner. Fra i vari proprietari del quadro che si sono succeduti nel tempo, figura anche John Ruskin, che era un estimatore di Turner e fu anche suo esecutore testamentario. Durante la sua vita, fra un viaggio e l’altro nelle contee inglesi e in Europa, Turner trovò il tempo di mettere al mondo due figlie, Eveline e Georgiana, con la sua governante Sarah Danby, ma non si sposò mai. Si dice a causa del legame fortissimo che lo univa al padre, rimasto vedovo, con il quale visse a lungo. Chissà, senza questa figura paterna così dominante forse il pittore romantico Turner non sarebbe mai esistito: è il genitore, che di mestiere faceva il barbiere, il primo a intuire il talento del figlio, a elogiare i suoi primi dipinti vendendoli nel suo negozio e quindi a irrobustire l’autostima del giovane, consentendogli di vedere aperte innanzi a sé nel 1789 le porte della Royal Academy of Arts di Londra.

Nel 1819 William si reca in Italia a caccia di spirazione per le illustrazioni del libro The Picturesque Tour of Italy. È datato 1820 – e quindi probabilmente correlato a questa trasferta – il quadro Tempesta di neve sul Moncenisio, conservato al Birmingham Museum. Turner è stato un pittore estremamente prolifico, quindi non è facile orientarsi nella sua produzione. Ma quest’opera – un acquerello – è di grande suggestione: nubi nere incombono basse, creando una sorta di tunnel da cui fa capolino la luce, che illumina il paesaggio roccioso. Lungo il sentiero, i cavalli scivolano sulla neve e i carri appaiono impossibilitati a procedere. Gli uomini lottano contro una natura matrigna che sembra non dare scampo. Turner genera orrore e stupore negli occhi di chi guarda, e la consapevolezza di quanto sia insignificante l’energia dell’uomo di fronte alla potenza della natura. Se Turner si limita a osservare dal fondovalle, l’alpinismo che è in ascesa nel corso dell’Ottocento si ribella a questo cliché di finitezza umana. L’età della conquista delle vette è ormai aperta.

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