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Francesco Petrarca e la conquista del Mont Ventoux, in Provenza

Il poeta raggiunse la vetta del Monte Ventoso nel 1336 per sentirsi più vicino a Dio. Probabilmente fu il primo e raccontò l’ascensione in una memorabile epistola. Oggi quella montagna è nel cuore di ogni ciclista

Vi ricordate di Francesco Petrarca, il grande poeta e scrittore che con il suo Canzoniere e con il suo folle amore per Laura ha accompagnato generazioni di studenti delle superiori? Ebbene, c’è una notizia che pochi professori di liceo lasciano trapelare ai propri studenti. Francesco Petrarca (1304-1374) può essere considerato un protoalpinista.

Quando aveva una trentina d’anni, si è cimentato in un’impresa che all’epoca attraeva ben pochi: ha scalato con successo una montagna. La vetta in questione è il Monte Ventoux, o Ventoso (1912 m), che si trova a una ventina di chilometri in linea d’aria da Carpentras, in Provenza. La testimonianza che ci ha lasciato è il primo resoconto scritto di un’ascesa di questo monte, effettuata dal versante boscoso settentrionale. È il 26 aprile 1336 quando il poeta giunge in cima al Ventoso, chiamato anche Monte Calvo: il paesaggio sferzato dal vento – qui il maestrale, o mistral in francese, raggiunge anche i 160 km orari – è una pietraia surreale.

La prima domanda che sorge spontanea è perché proprio il Monte Ventoso? Petrarca era toscano, poteva scalare l’Appennino. La risposta ci porta a rievocare qualche ricordo scolastico. Francesco era nato ad Arezzo, dove aveva trascorso alcuni anni prima di finire a Pisa, e poi in Francia a Carpentras. Il padre, fiorentino ed esule per motivi politici, aveva finito per portare la famiglia dalle parti di Avignone, dove in quegli anni aveva sede la corte papale. Ed è proprio qui che il giovane letterato incontra per la prima volta, nel 1327, all’età di 23 anni, la famosa Laura, che non ne voleva sapere di lui.

Il padre indirizza i due figli maschi, Francesco e Gherardo, agli studi giuridici, senza grande successo. Gherardo prenderà i voti diventando monaco certosino, e pure Francesco nel 1330 lo seguirà prendendo i cosiddetti ordini minori, quelli che conferivano uno status di chierico. È uno spirito inquieto, il poeta. Dopo la batosta dell’amore non corrisposto per Laura, nel 1337 e nel 1343 diventa padre di Giovanni e di Francesca senza mai sposarsi, perché la sua condizione di chierico non glielo permetteva.

Probabilmente è nel periodo in cui intratteneva una relazione con la futura madre di Giovanni che decide di salire sul Monte Ventoso. Della sua impresa sappiamo tutto perché ne scrive in un’epistola indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro, teologo e frate agostiniano, suo confessore e anche insegnante di Boccaccio. La lettera è datata 1336, ma gli studiosi del poeta ritengono che possa averla scritta anche un decennio dopo la sua impresa alpinistica, compiuta con il fratello Gherardo. L’inizio sembra un reportage di viaggio: “Spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Un monte che lui conosceva bene, avendo vissuto in Provenza, dove da ogni parte è ben visibile.

Cronaca di una conquista

La gita dura tre giorni. Nel primo giorno di avvicinamento giungono a Malaucena (Malaucène) dove i due fratelli si fermano a dormire e a organizzare l’ascesa per il terzo giorno, prendendosi un portatore per ciascuno. L’alba del 26 aprile si parte. La montagna appare sassosa e difficilmente accessibile, ma i due giovani sono animati dall’entusiasmo che ogni alpinista conosce. Sulla via, incontrano un vecchio pastore che tenta di dissuaderli da un’idea così folle, raccontando loro che anche lui, da ragazzo, era salito in vetta al Ventoso, ma ne aveva ricavato solo delusione e fatica.

Francesco e Gherardo non si fanno certo convincere e iniziano a salire. Oggi diremmo che Gherardo ha un fisico più allenato di Francesco: sale disinvolto lungo scorciatoie ripide, senza troppa fatica, seminando l’ansimante Francesco, che cerca percorsi più morbidi, che gli garantiscano una salita più lunga e meno ripida. L’avventura ha un lieto fine: Francesco sopravvive alla salita ed entrambi giungono in vetta a godersi il panorama, lasciando spaziare lo sguardo dalle Alpi al Mediterraneo.

Fin qui, può sembrare un resoconto di trekking contemporaneo. Ma a leggere con attenzione l’epistola, si scopre la visione che Petrarca e la gente del suo tempo avevano della montagna. Non si sale per una sfida sportiva o per il piacere di mettersi alla prova. Il poeta chierico, cresciuto ad Antico e Nuovo Testamento, considera le vette come un luogo in cui essere più vicini al cielo e a Dio. Non a caso, Mosè aveva ricevuto le Tavole della legge in cima al Sinai, e non in riva al Mar Rosso. E non a caso, Gesù stesso pronuncia il discorso delle Beatitudini su una montagna, vicino a Cafarnao. In Grecia, l’Olimpo era la casa degli dei e in Mesopotamia le piramidi ziqqurat simboleggiavano la montagna sacra. È questo l’humus culturale di cui si nutre il cristianesimo e al quale fa riferimento anche Francesco Petrarca.

L’ascesa al Monte Ventoso assume così un significato allegorico: le difficoltà che la salita presenta sono le prove che l’anima deve affrontare per arrivare a Dio. Gherardo, il fratello più saldo nella sua fede, sale spedito, mentre Francesco, prigioniero delle passioni terrene, arranca. È una chiave di lettura davvero insolita per noi, ma di cristallina evidenza per un uomo del Trecento. Una volta in cima, il poeta prende in mano le Confessioni di Sant’Agostino aprendo una pagina a caso. La frase che Francesco legge sembra un messaggio divino rivolto a lui: «E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi».

Insomma, si fanno distrarre dalla bellezza del pianeta e non pensano alla propria anima. «Chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di più grande», scrive. E così, in silenzio e preso dalle sue meditazioni spirituali, Petrarca prende la via del ritorno e discende a valle.

Oggi il Mont Ventoux è la sfida più emozionante dei ciclisti del Tour de France

Chissà cosa direbbe il grande poeta, che con l’epistola ha voluto regalarci una lezione di spiritualità attraverso l’alpinismo, di fronte al Monte Ventoso di oggi. La montagna provenzale è una delle tappe più sfidanti del Tour de France, a causa di una salita lunga 15 km, con una pendenza che arriva fino al 20 per cento. Il vento che non manca mai e le pietraie assolate rendono ancora più difficile la salita, ma nessun appassionato vuole rinunciare a giungere lassù. Dove arrivò il poeta, dove vinse anche Marco Pantani e dove oggi un osservatorio meteorologico sembra fungere da faro per gli affaticati ciclisti.

Nel contempo, il gigante di pietra di Vaucluse è diventato riserva della biosfera Unesco, in virtù delle sue peculiarità geologiche e della particolarità della vegetazione e della fauna. Una montagna “obbligatoria” per ciclisti e per camminatori provetti e capaci di resistere al caldo e alla fatica, sulle orme del letterato toscano che qui è giunto per cercare se stesso.

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