A tu per tu con Federica Mingolla dopo la salita in solitaria sulla Granta Parey
La forte scalatrice torinese ha ripetuto da sola Gioia Nera, la via liberata appena nell’agosto 2023 da Michele Amadio e Andrea Benato sulla parete simbolo della Val di Rhêmes
La scalata in solitaria è qualcosa a cui non tutti gli arrampicatori sono avvezzi. È qualcosa di profondo e intimo, che viene da dentro, come ci ha confermato Federica Mingolla in questa bella intervista. Il 7 ottobre la scalatrice torinese ha effettuato la prima solitaria di Gioia Nera, via aperta da Michele Amadio e Andrea Benato sulla est della Granta Parey in Val di Rhêmes. 300 metri di Dolomia che si sviluppa all’estrema destra della parete, poco a sinistra di una evidente colata nera, con difficoltà costanti che arrivano al grado 7b+. La via di dieci tiri, con chiodatura sportiva (spit), è stata salita dalla Ming dalle 10 del mattino alle 17 dello stesso giorno. Da rilevare, come hanno affermato anche gli stessi apritori, la chiodatura “non ascellare” e la roccia tendenzialmente buona.
Il progetto della cordata Amadio-Benato ha preso il via nell’agosto del 2022, quando i due hanno attaccato la parete impiegando un totale di 60 ore per chiodarla nella sua interezza. La libera, però, è arrivata ad agosto 2023. I primi a ripeterla sono stati Francois Cazzanelli con Emrik Favre e Roger Bovard, mentre la Mingolla ha messo la firma sulla prima solitaria.
Come sei venuta a sapere di questa nuova via e cosa ha fatto scattare l’idea di salirla? Soprattutto, perché in solitaria?
Conosco bene gli apritori, in particolare Michele Amadio che è un mio grandissimo amico. La parete su cui hanno realizzato questa via è proprio “dietro casa”. Nei due anni intercorsi tra l’inizio dei lavori di apertura e il giorno in cui la via è stata effettivamente liberata, me ne hanno parlato diverse volte descrivendone la bellezza dei tiri e la qualità della roccia, oltre al fascino dell’ambiente naturalmente, che già ben conoscevo. Posso dire di averla vissuta da spettatrice e una volta liberata mi è venuta una gran voglia di provare a salirla. La solitaria è un tipo di arrampicata che ho iniziato a praticare questa estate in vista di un progetto che poi, di fatto, non ho realizzato. Ma l’allenamento è rimasto e quindi ho pensato di sfruttare lo stato di forma (fisica e mentale) per salire la Granta Prey. Questo per dire che non è stata una salita “improvvisata” ma che mi sono mossa in maniera consapevole, con un allenamento specifico alle spalle.
Hai confermato il grado 7b+. C’è stato un tratto, a tuo parere, più impegnativo?
Ho assolutamente confermato tutti i gradi. L’ultimo tiro, che è stato gradato 7b/+ è a mio parere un buon 7b+. È stato quello che ha richiesto maggior impegno da parte mia, in quanto c’è un passaggio molto “fisico”, su strapiombo, a 10 metri dall’uscita dalla via praticamente. Dopo essermi scalata tutta la via da sola, proprio su quel passaggio così intenso, mi sentivo molto stanca. Sono riuscita quindi a tornare indietro e riposare un attimo, per poi ripartire e affrontarlo con la diversa methode che mi ha permesso di chiudere la via in libera. È stato molto bello.
È la solitaria più impegnativa da te mai scalata. Paure e timori…
Essere per la prima volta da sola, totalmente sola. Non c’era nessuno sulla parete, e neanche sui sentieri sotto: ero con me stessa. In realtà è stato bellissimo, una vera avventura dietro casa. Non ero preoccupata per le difficoltà perché mi sentivo preparata su quei gradi. Non ero invece pronta a una chiodatura così distanziata. “Conosco i miei polli” (si riferisce agli apritori, Amadio e Benato, ndr) ma non credevo che fossero così in forma e che potessero chiodare, su questi gradi, così lungo. Una volta scesa dalla via ho anche fatto loro i complimenti!
Sappiamo che non hai detto a nessuno che avresti provato la scalata in solitaria, nemmeno al rifugista, che però “ti ha beccata” e ti ha scattato delle foto con il suo drone. Per quale motivo?
Non ho detto a nessuno che sarei andata a scalarla perché, a dire la verità, la decisione è arrivata la sera prima, o meglio la notte prima. È stato bello anche per questo aspetto: io stavo scalando e nessuno sapeva dove fossi e cosa stessi facendo. Ogni tanto è come se volessi fuggire da tutto e da tutti per rifugiarmi nel mio piccolo mondo fatto di roccia. Per me quella giornata è stato questo.
Da soli o in cordata, cosa cambia per te a livello psicologico. Quale delle due preferisci?
Sicuramente, e rispondo a questa domanda senza pensarci due volte, preferisco scalare con un compagno di cordata, anche per riuscire ad affrontare serenamente difficoltà più alte. Non ho ancora quel tipo di esperienza che mi permette di scalare autoassicurata il mio grado-limite. A livello psicologico è molto stressante. Ma, come dicevo, ci sono momenti in cui senti il bisogno di farlo. Andare con un compagno di cordata mi permette di chiacchierare e parlare durante la scalata. Ho sempre detto di non essere una scalatrice solitaria perché amo parlare… anche quel giorno in effetti ho parlato tanto, ma parlavo da sola, con me stessa.
Ci sono vie iconiche che vorresti realizzare in solitaria e che ritieni, oggi o un giorno, alla tua portata?
Non credo di poter rispondere a questa domanda. Idealmente ce ne sono tante, ma è tutto nella testa e non so se un giorno sarò pronta a mettermi alla prova. La solitaria è una cosa che ti devi sentire dentro. È stato bello ma non mi sento di dire che sarà una routine. Succederà sicuramente ancora, ma non so quando o dove.
Quante ore per questa realizzazione e materiali utilizzati…
Ho attaccato la via alle 10 del mattino e sono arrivata in cima alle 17. Mi sono presa il mio tempo, compreso quello per mangiarmi un panino in parete e gli attimi di riposo per guardarmi attorno e sentire le emozioni che stavo provando. Ho usato una corda singola 9.2, un cordino statico per il recupero del saccone, due Nano Traxion (sempre per il recupero e per risalire la corda in caso di caduta, ma anche per darmi corda durante la salita), il Gri gri per l’autoassicura (modificato affinché rimanesse in posizione verticale), alcuni rinvii, imbrago e casco naturalmente. E un sacco per “filare” la corda in sosta e facilitarne la presa mentre stavo scalando.