
Quando l’8 maggio 1978 Peter Habeler raggiunse insieme a Reinhold Messner la vetta dell’Everest senza utilizzare ossigeno supplementare, scrisse una pagina fondamentale della storia dell’alpinismo.
A 45 anni di distanza, e con curiosa concomitanza con le polemiche scatenate dal Guinness dei primati, l’oggi ottantunenne alpinista austriaco scrive un’altra storia. Questa volta su carta. È infatti appena arrivato sugli scaffali delle librerie “La mia montagna futura” (Corbaccio) scritto dallo stesso Habeler insieme alla giornalista e alpinista Marlies Czerny. Un libro che vale davvero la pena leggere, figlio di una storia personale e alpinistica con pochi uguali, figlio di tanti incontri con personaggi speciali, figlio dell’ottimismo che caratterizza la maturità dell’autore.
La domanda iniziale non può che essere: “Dopo una vita passata ad arrampicare, è ancora possibile a ottant’anni passati continuare a sognare le montagne? La risposta è contenuta nella scheda di presentazione del volume: “Sì. Perché Habeler ha mantenuto intatto l’entusiasmo della giovinezza e la capacità di proiettarsi ancora e sempre verso una nuova impresa, verso una montagna futura. In questo libro ripercorre la sua vita attraverso undici straordinari personaggi, ognuno dei quali lo ha «accompagnato» alla montagna successiva: dalle guide alpine della Zillertal al suo maestro Sepp Mayerl e al leggendario Doug Scott. E poi Hias Rebitsch e Reinhold Messner, fino a David Lama che lo lega alle nuove generazioni di alpinisti. Habeler ripercorre i momenti più emozionanti, dal punto di vista sportivo e umano, del suo lungo cammino, sempre però con lo sguardo rivolto verso il futuro, perché la montagna, ne è convinto, è la forza che lo mantiene giovane”.