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Cambiare stile di vita per il Pianeta? Ne parliamo con Serena Giacomin

Fai sentire la tua voce, coinvolgi, protesta, cambia. C’è chi sostiene che le rivoluzioni partano dal basso, dall’azione del singolo capace di influenzare la massa. Così anche per la lotta alla crisi climatica? Un tema spinoso che riguarda tutti noi, senza distinzioni, che riguarda mari, oceani, pianure e montagne. Tra pochi giorni il clima sarà protagonista della COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, dove i potenti del Pianeta si riuniranno per parlare delle azioni politiche necessarie a combattere il surriscaldamento globale.

Ma possiamo davvero cambiare il nostro domani partendo dall’azione del singolo, o le decisioni importanti sono solo al livello di governi e multinazionali? Agire sul nostro quotidiano, sulle piccole scelte di ogni giorno, può in qualche modo influenzare la società? Ne abbiamo parlato con Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network e divulgatrice scientifica.

Serena,  abbiamo già molte domande a cui rispondere. Partiamo da quelle già poste, può l’azione del singolo cambiare il domani?

“Durante le conferenze che realizzo sul tema mi soffermo spesso a osservare le reazioni delle persone presenti in sala. Alcuni ascoltano con curiosità, altri reagiscono con maggior sufficienza sostenendo che non si possono cambiare le cose senza un intervento sistemico. Una conclusione che ha senso perché, quando si parla di reazione al cambiamento climatico, la reazione del basso senza un’azione dall’alto ha poco senso. Lo stesso vale, ovviamente, anche al contrario.”

Ci stai dicendo che bisogna agire a tutti i livelli?

“Esattamente. Le decisioni prese dall’alto, quelle comunitarie, sono fondamentali per attuare un cambiamento dal basso: se vuoi modificare le cose il sistema deve permettertelo. Ma per arrivare a questo ognuno di noi deve fare la sua parte.”

Cosa intendi?

“Saper scegliere, saper votare, saper parlare con i propri rappresentanti è fondamentale. Saper scegliere è una qualità capace di influenzare il mercato: se cambia la domanda cambia il trend. Perché esiste il greenwashing? Perché risponde a una richiesta del mercato. Ed è bello che sia nata questa esigenza. Non è una soluzione, ma un passo avanti perché fino a qualche anno fa nessuno sentiva l’esigenza di dare una risposta al mercato che andasse in questa direzione.”

Quindi cosa può fare ognuno di noi, nel proprio quotidiano, per migliorare la società?

“Dovremmo provare a guardarci dall’esterno, osservando le nostre scelte quotidiane per comprendere se le nostre abitudini sono ragionevoli oppure no. Il primo esempio che mi viene in mente riguarda il consumo giornaliero di carne, una scelta irragionevole perché fa male sia a noi che all’ambiente.

Bere l’acqua del rubinetto anziché acquistare le bottiglie di plastica è un altro tema importante. In Italia siamo poco abituati, ma in generale l’acqua che esce dai rubinetti è sicura. Vengono effettuati controlli, di cui è possibile visionare i risultati, e volendo si possono fare trattamenti per migliorarne il sapore. In alternativa, ormai in molti comuni esistono le casette dell’acqua. Insomma, ci sono diverse soluzioni applicabili prima di puntare alle bottiglie di plastica che si trovano al supermercato.”

Ci sono abitudini insospettabilmente impattanti?

“Assolutamente sì. Recentemente ho scoperto che il consumo di carta igienica ha un impatto importante. In Italia il consumo si aggira attorno ai 4 chili annui per persona mentre gli americani sono i maggiori consumatori. Per produrla si abbattono ogni anno 10 milioni di alberi, insensato vista la destinazione. In alcuni casi si tratta addirittura di foreste boreali, questo perché negli USA la popolazione vuole carta di fibra vergine. Una richiesta assurda, a cui non pensiamo mai e di cui nemmeno ci rendiamo conto. Cambiare questa abitudine non andrebbe di certo a impattare sulla nostra vita.”

Di certo avrebbe un impatto positivo sull’ambiente. Ma il cambiamento è qualcosa che spesso spaventa, anche se semplice. Come mai?

“Tempo fa ho letto una frase, non la ricordo alla perfezione ma il messaggio era questo: il cambiamento fa paura quando lo vediamo da lontano. È l’idea del cambiamento a creare un disagio, quando poi lo affronti scopri che può portare dei vantaggi, che ti migliora la vita.”

Lo stesso ragionamento può riguardare la diffusione e l’utilizzo dei mezzi pubblici per gli spostamenti urbani ed extraurbani?

“Quello dei mezzi pubblici è un tema fondamentale, qualsiasi ambiente tu voglia frequentare. Fondamentale per la transizione ecologica, di cui oggi si parla molto. I mezzi pubblici devono rientrare nel quadro che riguarda la mobilità generale insieme all’auto elettrica, alla mobilità dolce e intermodale.”

In Italia non è ancora molto diffuso l’utilizzo dei mezzi, anche se in crescita…

“Bisogna lavorare su due aspetti per permetterne la diffusione. Da un lato sulla cultura, dall’altro sull’efficientamento. Lavorare sulla cultura è fondamentale perché noi siamo cresciuti con questo mito dell’automobile per cui la si prende per ogni necessità anche se ormai le grandi città, come Milano, stanno prendendo decisioni che ne rendono sempre più complesso l’utilizzo all’interno dell’area urbana. Questo è fondamentale per supportare un cambiamento. Molti giovani oggi, tra i 18 e i 20 anni, non chiedono più la macchina ai genitori, non è un bisogno fondamentale. Spesso utilizzano i mezzi pubblici e se hanno bisogno sanno che esistono molte opportunità di noleggio a breve termine. Sta cambiando il modo di intendere la mobilità, ed è il primo passo per costruire un approccio diverso.”

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