
Alcuni lo avevano già fatto, in particolare guide al servizio di spedizioni commerciali americane e neozelandesi: scendere al villaggio di Nanche Bazar, a 3400m, per due tre giorni a riprendere fiato ed energia in vista dell’attacco finale alla vetta. Tecnica da gran battaglia, credo poco frequentata nello sport. Ma qui si tratta di alpinismo d’alta quota e tutto vale, come ci si dice.
Dunque Alex Txikon, indomito combattente basco, se n’è tornato a Kathmandu perché la sua agenzia lamentava conti in sospeso e i suoi sherpa, affaticati ed impauriti, soldi in cambio di assunzione di rischi. Ora tutto è rientrato. Lui si ritrova a metà spedizione a godere del piacere di una sosta di alcuni giorni in un buon albergo ai 1300 metri di Kathmandu, in gita tra Sadhu meditanti, bagni, pediluvi ritempranti e pranzi rigeneranti.
Pronto a riprendere l’elicottero per il campo base (2 ore di volo, con sosta a Lukhla) e ricominciare la singolar tenzone con l’Everest.
Trattengo con una certa difficoltà le dita dal pigiare sulla tastiera d’impulso. Voglio credere ancora che questa di Alex possa essere una buona spedizione alpinistica sull’Everest, una sfida, dura e difficile al limite delle possibilità umane a quelle quote in inverno. C’è poco da sofisticare sull’apporto tecnico innovativo all’alpinismo, la cui mancanza gli viene rimproverata. Trattasi in ogni caso di una “cosa” mai (per la verità una volta fu fatta, ma in tempi stagionali contestabili) realizzata e dunque si proceda per la gloria di Txikon e la curiosità (alpinistico – sportiva) nostra di vedere come va a finire. Certo questi pediluvi a Kathmandu qualche sorrisino e incertezza sulla bontà dell’impresa ce lo procurano. Ma come dicono quelli della squadra di Txikon: “È tutta invidia”. All’Everest, dunque.