L’urlo della montagna
Ripartire, tra vecchi problemi e nuove sfide
Difficoltà che non sono facilmente generalizzabili, ma che vanno analizzate singolarmente calandosi sulle realtà territoriali. Perché, se da un lato sono emersi i profondi limiti della monocultura dello sci, dall’altra parte sono saltati agli occhi quelli legati al disinteresse per valli e borghi montani, oggi sempre più poveri di servizi e quindi poco attraenti per un ripopolamento e per creare nuovi circuiti turistici. In questo contento, a tratti sconfortante, a vincere è la natura. Quella che ci è mancata nei mesi del primo lockdown e delle successive chiusure, quella che ci ha fatto respirare d’estate come d’inverno un’aria, quasi, di normalità. Ed è lì che la montagna ha avuto un riscatto.
Il virus ci ha uniti, dicono, ma in montagna lo si è era già prima. Quando si combatte quotidianamente con le difficoltà ambientali o si fa squadra o non si combina nulla. Se c’è una cosa che il Coronavirus ha portato in montagna o, meglio, giù dalle montagne, è un disperato grido di attenzione.
L’autostrada bianca della neve
Quando i numeri si fanno grandi…
Secondo un’analisi condotta da Legambiente già prima della pandemia il mondo dello sci in pista stava perdendo di appeal verso il pubblico. Una conferma che è arrivata con le prime riaperture dopo il lockdown e che prosegue tutt’ora. Infatti, se le piste se la sono vista brutta, così non si può dire della montagna che ha vissuto le ultime stagioni da grande protagonista. Una montagna lenta, dove ricaricare le batterie ricercando un contatto con il territorio, senza forzature. Lo dimostra quanto successo nella valli minori nell’estate 2020. “La nostra valle è tra le più selvagge e incontaminate della Valle d’Aosta, l’unica senza impianti di risalita” afferma Daniele Pieiller, dell’associazione NaturaValp, che vive a Bionaz, capoluogo della Valpelline. Daniele, insieme agli altri membri dell’associazione, è stato un visionario imprenditore. In tempi miopi ha deciso di provare a costruire un nuovo modello turistico, dedicato a una frequentazione dolce della montagna. “La montagna senza impianti di risalita è una montagna molto più difficile da proporre turisticamente” spiega. “Non volevamo creare un classico consorzio in cui decidere quali strategie di marketing approntare, volevamo creare un progetto e seguire dei princìpi che ci potessero dare una prospettiva di lungo periodo”, questo mettendo al centro la naturalità della valle e la qualità di un territorio quasi non toccato dall’attività umana. Il lavoro di promozione messo in campo dall’associazione riesce e, tra il 2012 e il 2017, ha portato un aumento delle presenze da 20mila a 50mila persone.
Anche in questi luoghi il turismo è stato azzerato dalle chiusure imposte per il contenimento della pandemia da Coronavirus, ma dopo le prime riaperture è successo qualcosa di molto particolare. “Tra giugno è luglio 2020 abbiamo assistito a un aumento esponenziale del turismo di giornata”. Si sale, ci si gode un giorno tra le montagne e si rientra a casa. L’esplosione del turismo di prossimità che “nell’immediato ha aumentato i guadagni di moltissime attività e che ci ha portati a fare dei ragionamenti. Nei giorni di maggior afflusso, qui a Bionaz, siamo arrivati ad avere fino a mille persone a giornata. Dati i grossi numeri abbiamo deciso di fare un’indagine per comprendere quello che è stato l’indotto sul territorio e i risultati sono stati sconfortanti: nemmeno 2000 Euro. Tra le offerte che portiamo avanti da sempre c’è l’iniziativa di una visita/scoperta delle attività produttive di valle, con la possibilità oltre a soggiornare in zona e degustare prodotti a chilometro zero di acquistarli. Con 8 persone l’indotto che si ottiene raggiunge i 3000 Euro"
Urlare per farsi sentire
L’entroterra italiano è consegnato a luogo marginale anche in Abruzzo, dove le montagne occupano il 65% del territorio regionale. Su queste montagne rifugisti come Luca Mazzoleni hanno avuto un’unica possibilità per rispondere alle misure di contenimento del Covid-19: chiudere la struttura ai pernotti. Luca gestisce il rifugio Carlo Franchetti, un vero e proprio punto di riferimento per i frequentatori del Gran Sasso, la più alta cima della catena appenninica. “Nel 2020 ho dovuto sospendere del tutto i pernottamenti” racconta. “Sono una buona parte degli introiti, ed è stato un problema. Con le riaperture c’è stato un boom della montagna, con meno gente a dormire e tanta in più a frequentare bar e ristoranti compensando le perdite”.