Trail running

Velocità e rispetto sono sinonimi. Intervista a Karl Egloff

Potrebbe tranquillamente essere un marziano viste le sue prestazioni in quota. Karl Egloff è velocità pura. È gambe, polmoni e testa d’acciaio. Solo così puoi immaginare di salire e scendere il Denali (6194 m, Alaska) in 11 ore e 44 minuti. Ma questo è solo l’ultimo dei primati messi a segno dalla guida alpina svizzero-equadoregna. Tutti i tempi che elencheremo di seguito sono quelli impiegati per andare e tornare dai piedi della montagna. Sono numeri impressionanti, che già da soli fanno capire le capacità di quest’uomo. Nel 2012 Karl si testa sul vulcano Cotopaxi (5897 m, Ecuador) mettendo a segno un tempo di 1 ora e 37 minuti, nel 2014 ha invece migliorato il tempo di salita al Kilimangiaro (5895 m, Tanzania) impiegando solo 6 ore e 42 minuti. Sull’Aconcagua (6962 m, Argentina) è salito e sceso nell’incredibile tempo di 11 ore e 52 minuti; sul Cerro Plomo (5424 m, Cile) in appena 5 ore e 55 minuti; lo stesso ha fatto anche sull’Huascaran (6655 m, Perù) dov’è andato e tornato in 11 ore esatte; e sull’Elbrus (5642 m, Russia) salito e sceso in 4 ore e 20 minuti.

Tutto ciò di cui ha bisogno Egloff lo trova in montagna, è una vera e propria macchina da guerra. Ma dietro al guscio di forte alpinista si nasconde un cuore romantico, è sufficiente chiedergli quale sia stato il momento più bello vissuto in alta quota per sentirsi rispondere “quando ho chiesto a mia moglie di sposarmi sulla cima dell’Aconcagua, il 14 febbraio 2015. Per lei è stato un sogno scalare in un solo giorno la più alta montagna del sud America, per me è stato meraviglioso essere con lei lassù”.

Karl, possiamo chiamarti recordman?

“È il soprannome che mi ha dato la stampa e la gente in Equador. Il mio nome è legato ai record, ma sono solo un atleta che ama la montagna. Mi piace viverla appieno, dare il massimo godendo del momento.”

Sei un alpinista, un ciclista e un corridore. Fai di tutto, ma cosa fai meglio?

“Sono cresciuto seguendo mio padre sulle montagne e facendo trekking, poi mi sono innamorato del calcio e ho provato a diventare un professionista, sogni adolescenziali. A 26 anni ho scoperto quasi per caso la mountain bike e mi ci sono dedicato per sette anni arrivando a rappresentare il mio Paese nei campionati del mondo, poi ho scelto di lasciare. Vivevo in sella per allenarmi e tenere alto il livello, non avevo tempo per nient’altro.”

Dopo?
“Ho iniziato a frequentare sempre più la montagna, ho iniziato a correre e a salire in velocità dando avvio a questo nuovo capitolo della mia vita. oggi mi sento nel momento massimo della mia carriera, scalare in velocità è quello che faccio meglio, è ciò che più amo ed è ciò che ho sempre cercato negli sport: mi regala felicità.”

Quindi abbiamo rischiato di non vederti in montagna ma in uno stadio… come mai il calcio?

“Qui in sud America il cacio non è solo sport, è quasi una religione. Si respira calcio ovunque. Per me, adolescente, è stato anche un modo per farmi notare dalle ragazze a scuola. (ride)

Alla fine mi sono innamorato del pallone e ho iniziato a investirci tutto il tempo possibile, per migliorarmi. Durante il pomeriggio, la sera, mi allenavo anche dopo che tutti erano rientrati a casa. Così diventai anche bravo, ma quando a 17 anni arrivai in Svizzera per continuare gli studi mi dissero che ero bravo ma non abbastanza. Provai con diverse squadre e la risposta fu sempre la stessa: se vuoi diventare un professionista devi concentrarti al 100 per 100 sul calcio, tralasciando tutto il resto. Non potevo permettermi di pensare solo al calcio, non avevo i soldi per farlo. Così lasciai perdere e scelsi di studiare giocando in qualche squadra regionale nel mio tempo libero.”

Torniamo alla montagna: cosa ti piace così tanto della velocità?

“Mi piace la libertà di muovermi da solo, senza corde, veloce. Farlo in montagna, dove normalmente sono abituato a salire con i clienti, con calma e con tutti gli accorgimenti di sicurezza del caso, mi rende vivo. Essere soli, correre leggeri su e giù per le alte vette mi fa entrare in contatto con la montagna facendomi provare profondo rispetto per essa.”

Velocità e sicurezza come fai a conciliarle?

“Una domanda molto interessante. Come guida alpina quando salgo con i clienti faccio tutto per una progressione lenta e costante, con tutte le attrezzature necessarie per portare su e giù le persone in sicurezza. Quando invece sono solo cambio chip e faccio ciò che non farei mai con i clienti: lascio giù tutte le attrezzature che non ho intenzione di utilizzare. Arrampico in modo leggero, a volte senza nemmeno portare il cibo con me. Posso farlo perché conosco la montagna, perché so come muovermi lungo la linea di salita scelta, perché so fino dove posso spingermi senza rischiare troppo.”

Quindi tieni ben separate le due attività, quella di guida da una parte e quella di recordman dall’altra…

“Quando sono con i clienti tengo i piedi ben saldi a terra, cerco di entrare in contatto con loro, di essere parte dei loro sogni. Volendo li aiuto a realizzarli. Vederli piangere in vetta mi rende molto felice e allo stesso tempo mi permette di passare molto tempo in montagna. Il resto sono attività che faccio nel mio tempo libero, mai con i clienti.”

Come mai hai deciso di fare la guida in Equador e non in Svizzera, vicino alle Alpi?

“Sono nato in Ecuador da papà svizzero e mamma equadoregna. Ho frequentato una scuola di lingua tedesca, ma nel mio cuore sono sempre stato equadoregno. Tutti i miei amici sono di qui, la famiglia di mia madre. Quando sono andato in Svizzera per studiare mi mancava molto il mio Paese, l’Equador.

Il tedesco mi è rimasto, lo parlo ancora e lo faccio anche con mio figlio che tra poco inizierà la mia stessa scuola. Amo entrambi i Paesi, ma l’Equador è casa. È un posto unico, con una natura bellissima.”

Tra l’altro tuo padre, anche lui guida, è stato molto importante nel tuo avvicinamento alla montagna…

“Si, non ricordo nemmeno quando mi ci ha portato per la prima volta. Ero molto piccolo. Ho visto alcune foto in cui sono nello zaino, sulle spalle di mio padre felice. Ricordo di essermi legato a lui molto presto in montagna, con alcuni gruppi provenienti dalla Svizzera.

Ho perso la mamma molto presto, per colpa di un tumore, la vita è cambiata drasticamente e con lei anche il rapporto tra di noi è andato mutando. Parliamo ancora di montagne.”

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