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Polemiche attorno all’impresa di Di Felice. Il comico Franceschini: “Ognuno vive la propria esperienza”

I social sono un grande teatro o, forse, un grande bar. Ogni discussione viene amplificata, ogni battuta si trasforma in tormentone. Il rischio di finire in una rissa da tastiera è altissimo. Un po’ come accaduto qualche giorno fa, dopo l’annuncio dell’arrivo di Omar Di Felice al campo base dell’Everest. “Non è un’impresa” ha scritto qualcuno. “L’abbiamo fatto prima di te” ha detto qualcun altro. “Un bel viaggio tra hotel e ristoranti, ma non un’impresa”. Sono state anche usate parole che qui non possiamo riportare per definire l’ultraciclista romano. I social hanno svelato, come sempre più spesso accade, il loro profilo a doppio taglio. Tra i fomentatori di questa diatriba facebookiana alcuni nomi noti nel mondo dell’ultraciclismo e altri che hanno vissuto esperienze simili a quelle di Di Felice, tra cui alcuni compagni di spedizione del comico Paolo Franceschini, in arte “Il Comicista”.

Di Paolo abbiamo scritto tempo fa quando, con un nutrito gruppo di amici, ha percorso in bici il tratto da Lukla al campo base dell’Everest per poi esibirsi in uno spettacolo comico entrato a far parte del Guinness dei primati come lo spettacolo più alto al mondo. L’abbiamo sentito e ne è nata una piacevole intervista attorno al concetto di impresa.

Paolo, non sappiamo bene come iniziare questa intervista. Prendiamo allora spunto da chi sul palco dell’Ariston chiese: che succede?

“Non lo so. Mi verrebbe da rispondere ‘dov’è Bugo?’, domanda forse più interessante rispetto ai motivi dell’intervista. Io sono stato tirato in mezzo in alcuni commenti sotto al post i Omar Di Felice, così ho deciso di intervenire sul mio profilo pubblicando una sorta di comunicato stampa in cui esprimo la mia posizione sui fatti. Forse avrei potuto lasciar perdere, ma ho preferito evitare che la ‘rissa’ potesse continuare incontrollata.”

Tu sei stato attaccato per una dichiarazione rilasciata a Montagna.tv in cui affermavi che il vostro fosse il primo gruppo ad aver raggiunto in bici il campo base dell’Everest…

“Esatto. A mia difesa posso dire che mi sono limitato a riportare quello che ci è stato detto dal nostro corrispondente locale. Solo qualche giorno fa ho scoperto che ben prima di noi anche altri appassionati hanno realizzato questa bella esperienza.”

Questo cambia qualcosa per te, ti fa vedere con occhi diversi quanto hai fatto?

“Assolutamente no. La competizione non mi appartiene, ho smesso di giocare a calcetto con gli amici per questa ragione. Ogni sera si finiva a discutere così ho deciso di lasciar perdere. Riguardo l’Everest posso dire anche un’altra cosa. Mi ha contattato tempo fa uno stand-up comedy americano per chiedermi se poteva provare a battere il record. Ben venga!”

Non sei un po’ geloso del tuo record?

“Sono nel Guinness dei record, condivido la il primato su un libro dove oltre a me ci sono persone che fanno cose straordinarie, ma c’è anche chi l’ha ottenuto per aver fatto il rutto più lungo al mondo, per i capelli o le unghie più lunghe. Aver realizzato un record non fa di me una persona migliore.”

Parliamo di “impresa”. Cos’è degno di ricevere questo appellativo secondo te?

“Penso che quello di ‘impresa’ sia un concetto molto soggettivo. Se penso al mio rapporto con la bici ritengo un’impresa l’aver percorso il Cammino di Santiago, da Saint Jean a Finisterre. L’ho fatto con una bici economica, un vero e proprio cancello. Sono partito senza avere idea di come si mettessero le borse. Che esperienza.”

Allora come facciamo a dire se una realizzazione è un’impresa oppure no?

“Impresa significa riuscire a fare qualcosa che tu non consideri, o non consideravi, alla tua portata. Significa spingersi oltre l’asticella uscendo dalla propria zona di comfort. Io magari considero di aver fatto un’impresa quando per qualcun altro è una cavolata. Nel mio caso personale considero un’impresa essere riuscito, nell’ultimo anno, a mettermi nelle condizioni di non dover più usare la macchina.

Per Omar il fatto di fare mille e più chilometri in Nepal è un’impresa. Così come per Cristiano, alias bike chef, è stata un’impresa raggiungere il campo base dell’Everest muovendo i suoi 130 chili più quelli della bici.”

Ma raggiungere il campo base dell’Everest in bici è facile o no?

“In bici ci vuole un po’ di follia, soprattutto se sai cosa stai andando a fare. Quando siamo partiti sapevamo che si poteva fare. Ci avevano detto che circa il 40% sarebbe stato pedalabile da Lukla al campo base. Nella realtà credo fosse solo un 20% la porzione pedalabile. Il percorso del trekking è molto ben organizzato con lodge in cui poter pernottare. Non direi che sono hotel, si dorme comunque su delle assi di legno in camere senza riscaldamento e senza acqua calda. A tutti gli effetti non lo vedo impossibile per un appassionato, se non per il mal di montagna che può insorgere con la quota. Poi c’è chi ci può mettere 5 giorni, chi invece 12, l’importante è godersi l’esperienza. Se mi proponessero oggi di rifarlo con la bici direi certamente di no, perché alla fine te la porti tutto il tempo in spalla. Durante il rientro magari pedali un po’ di più, ma fai molti tratti con la bici a mano.”

Alla luce di quello che ci siamo detti, ha senso tutto questo trambusto social?

“In tutto ciò che è successo non riesco a difendere nessuna delle due posizioni. Probabilmente fino a qualche anno fa ad accusa avrei risposto in modo piccato, oggi la vedo diversamente. Se mi arriva un attacco valuto prima di tutto da dove arriva, quindi prendo le mie difese. Lo faccio una volta, se poi vedo che le mie parole vanno al vento lascio perdere perché sto evidentemente dialogando con un paracarro.

È umano, direi biologico, andare sulla difensiva quando si viene attaccati. È normale sentire subito una vena che pulsa, ma è bene evitare l’impulsività. Ci si ferma, si ragiona, si capisce se ha senso far proprio l’attacco oppure se andare avanti senza dover fornire spiegazioni.”

Non trovi che con queste polemiche ci si allontani dall’etica dello sport?

“Io ho un concetto molto basilare di sport. Sport significa condividere un piacere con altre persone. Vivere momenti belli, divertenti, che possano fare bene sia a chi lo fa che a chi lo guarda.

Per rispondere alla domanda posso dire che mi piacerebbe invitare tutti, anche quelli che si sono spesi a tirarmi in mezzo a questa diatriba, a fare una tavolata (quando si potrà fare) dove ognuno porta qualcosa. Poi ci andiamo a fare una bella pedalata insieme vivendo la bici come esperienza di condivisione e non con l’obiettivo di primeggiare sugli altri.”

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4 Commenti

  1. Mi sembra che Di felice sia partito da “un po più lontano” di Lukla per arrivare al CB dell’Everest
    PS. Ma Paolo Franceschini chi è?

  2. Se si sapesse quali sono i suoi sponsor (da dove vengano i soldi per starsene in giro) si potrebbe capire molto delle sue “imprese”.
    Come il giro precedente vicino a Pohara e non su in cima alla Kaligandaki, anche questo mi sembra quasi banale, ma come vien detto sopra magari lui l’ha vissuta come una impresa.
    Da parte mia a lui vanno rispetto e considerazione.

  3. Per definire cosa sia un’impresa di cui si possa considerare di parlarne al mondo secondo me servono 2 cose fondamentali: 1) è la prima? 2) è di rilievo? Sennò le critiche te le becchi (te le becchi comunque). Ps. C’è un giovane italiano di cui mi sfugge il nome in giro quest’inverno in Siberia in bici a -50°C e oltre…

  4. Per non suscitare polemiche non si posta…altrimenti inevitabile ricevere pro e contro, ma tutto fa brodo.

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