Ambiente

Permafrost: cos’è e perché è importante per noi

Negli ultimi anni, soprattutto in relazione con i cambiamenti climatici, si sente parlare sempre più di permafrost e della sua importanza. Ma cos’è esattamente e quali pericoli porta il suo scongelamento? Ne abbiamo parlato con Renato R. Colucci, ricercatore presso lIstituto di Scienze Polari del CNR e referente italiano per la IPA (International Permafrost Association).

Cosa è

Il permafrost è definito come qualsiasi materiale – suolo, roccia, terreno – che abbia una temperatura al di sotto degli zero gradi Celsius per almeno due anni consecutivi. Proprio perché la sua definizione dipende solo dalla temperatura, la presenza del ghiaccio non è necessaria: avremo del permafrost anche nel caso di una parete rocciosa priva di acqua al suo interno, o di terreni paludosi in cui è presente acqua con un elevato contenuto salino e quindi liquida anche quando si è sotto lo zero.

Nel mondo il permafrost ricopre circa un quinto della superficie dei continenti – quindi unarea davvero ampia. In Italia lo possiamo trovare solo ad alta quota, mediamente a partire dai 2600 metri, in particolare sulle pareti rocciose. Localmente può essere presente anche più in basso, come in alcune grotte oppure in alcuni corpi detritici antichi, vecchi ghiacciai che hanno mantenuto magari in profondità una sacca di ghiaccio ricoperto. In questo caso, però, si parla di evidenze di permafrost sporadico.

Un monitoraggio continuo

Sulle Alpi ci sono alcuni pozzi allinterno dei quali è stata inserita una catena di termistori – a determinate quote, ogni tot metri o decine di metri c’è un termometro che misura la temperatura in continuo, collegato a una centralina di acquisizione elettronica -, di conseguenza c’è un monitoraggio continuato. Ce ne sono un paio in Piemonte, uno sul Piz Boé in Veneto, uno al Passo dello Stelvio, che è profondo 235 metri – lo spessore della colonna di permafrost, lì, al momento, supera i 200 metri. Quello che si sta osservando da tutti questi pozzi è che il permafrost si sta scaldando, da una parte, quindi la sua temperatura aumenta, dall’altra lo strato attivo – quella porzione di terreno che stagionalmente congela e scongela – sta diventando più spesso. Durante lestate il terreno scongela sempre più in profondità.

I rischi connessi al permafrost

Se mi trovo in Siberia il permafrost che si trova a 500 o 1000 metri di profondità non sente ancora il global warming, ne risentirà tra tanto tempo. Ciò che reagisce nell’immediato sono gli strati più superficiali, quindi lo strato attivo, che diventa più profondo. In queste aree il terreno è intriso di acqua, che è sempre ghiacciata. Perciò, la tavola del permafrost – cioè il livello del sottosuolo da dove da lì in giù ho tutto ghiacciato – si sta abbassando e abbassandosi la superficie, che prima era una tavola di marmo, diventa instabile e molle. Questo può far crollare edifici, rompere oleodotti e far diventare impraticabili le strade

Questa situazione, anche sulle nostre Alpi, si traduce in un aumento di rischi. Da noi il permafrost è soprattutto in roccia, e le lenti di ghiaccio che sono all’interno – legate ad acqua che si è infiltrata nelle fratture – si scaldano e iniziano a “mollare”. Fondendo il ghiaccio, quelle parti di roccia che erano tenute insieme solo da esso franano. Come, purtroppo, si è visto succedere in diversi casi nel corso dell’estate. Anche quando si vanno a fare rilievi bisogna ormai ragionare in maniera differente, tenere sempre conto di cosa c’è sopra la propria testa. Lo si vede anche sulle vie alpinistiche, alcune trentanni fa erano sicure, tranquille – sempre tenendo conto dei normali rischi dellalpinismo – adesso c’è tutta una serie di pericoli aggiuntivi legati al fatto che lambiente non è più come era trentanni fa, ma è in rapida se non parossistica trasformazione. Le montagne e la criosfera alpina stanno reagendo e si stanno adattando rapidamente a quello che è il nuovo clima.

Il problema del metano

I terreni delle alte latitudini, come Alaska e Siberia, contengono una grande quantità di materia organica. Quando questa si decompone crea metano, che rimane intrappolato negli strati superficiali del terreno congelato. Nel momento in cui il permafrost si degrada, le bolle di gas metano contenute all’interno dovute alla degradazione della materia organica vengono rilasciate e vanno in atmosfera. Questo aspetto, anche se non riguarda direttamente i nostri territori, ci deve preoccupare perché è uno di quei meccanismi a feedback positivo, una vera e propria bomba a orologeria. Se abbiamo detto che un quinto della superficie terrestre è occupato dal permafrost, un riscaldamento della stessa farebbe rilasciare tutto quel metano intrappolato nel suolo in maniera istantanea. Un quantitativo gigantesco che porterebbe a un’accelerazione improvvisa del riscaldamento globale, dal momento che il metano è un potente gas serra.

Se da un lato è vero che esistono i cicli naturali e che il clima è sempre cambiato, dipendendo da molti fattori, dall’altro è appurato, testato e comprovato che senza l’azione umana dalla fine della piccola era glaciale – quindi da metà del 1800 – a oggi, la Terra si sarebbe leggermente raffreddata, di circa mezzo o un decimo di grado. Si stava infatti lentamente raffreddando da circa 5000 anni, da quel periodo che si chiama neoglaciale. Noi quindi non solo stiamo dando una mano, ma addirittura abbiamo invertito la rotta, con un riscaldamento maggiore di ben un ordine di grandezza (la temperatura si stava abbassando di un decimo di grado, l’abbiamo fatta aumentare di un grado, che è 10 volte tanto). E le nostre montagne cambiano, a volte bruscamente, adeguandosi a esso…

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Un commento

  1. Non credo che la temperatura terrestre a mille metri di profondità possa essere influenzata da una variazione di due o tre gradi centigradi in superficie.

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