Sicurezza in montagna

Michele Cucchi: I tre passi per fare cultura della montagna

Michele Cucchi
Michele Cucchi

Avevamo sentito Michele Cucchi lo scorso 30 agosto per domandargli, tra le altre cose, cosa ne pensasse del fenomeno dei “turisti sui ghiacciai” e cosa si potesse fare, dato che era evidente che gli strumenti utilizzati per arginare il problema, come la cartellonistica di avvertenza pericolo, non stava funzionando. Non contenti, abbiamo voluto chiedere anche la vostra opinione, dato che l’argomento aveva ingenerato un’attenta discussione nei commenti. Dai risultati di quel sondaggio è emerso che il 54% dei lettori pensa che la soluzione sia promuovere una maggiore cultura della montagna. Ma cosa vuol dire incentivare la “cultura della montagna”? Cosa bisogna fare concretamente? Per rispondere a queste domande siamo nuovamente tornati da Michele Cucchi.

Dal sondaggio che abbiamo fatto dopo averti sentito è emerso che il 54% dei nostri lettori sostiene che promuovere una maggiore cultura della montagna sia la strada giusta.

È un grande risultato. Sono molto contento perché i lettori di Montagna.tv, quindi appassionati, ritengono che la soluzione sia un passaggio culturale e non un’imposizione di legge o di regole. Questo è un bellissimo segno, perché si capisce che la gente si aspetta che la montagna continui ad essere un posto assolutamente libero, dove ci sono meno regole possibili, e che per far sì che si affronti questo ambiente nel modo più corretto si deve in qualche modo informare, crescere e capire come l’attività dell’andare in montagna vada fatta. Un passaggio culturale.

Come è che deve avvenire questo passaggio culturale di cui parli? Quali sono gli strumenti?

È un discorso molto complesso, però ci sono dei passi che a mio parere si possono provare ad affrontare. Sicuramente una maggiore diffusione di un’informazione più corretta: quando c’è un incidente in montagna si vedono girare delle informazioni e delle notizie che da un punto di vista di un operatore, che vive e lavora in montagna, molto spesso sono assolutamente fuorvianti ed a volte non vere. Il primo passo è quindi formare le persone che fanno informazione generale al pubblico, cosicché capiscano più da vicino, di mano, cosa vuol dire andare in montagna in un modo corretto. Il secondo passo è sicuramente la formazione dei più giovani, anche solo scolastica. Noi guide lo vediamo molto spesso: i ragazzini ed i bambini, se escludiamo quelli che vivono in montagna che quindi hanno un approccio diretto con l’ambiente, spesso hanno pochissima idea di cosa vuol dire andare ad arrampicare, a passeggiare su un ghiacciaio o molto più semplicemente fare trekking in montagna. Questo probabilmente perché in Italia fare gite scolastiche in ambienti selvaggi è complicato e le stesse scuole hanno paura di fare queste attività. Si toglie però in questo modo la possibilità ai bambini di fare delle esperienze e di apprendere delle cose in modo diretto sul posto, in montagna. Una possibilità sono anche delle lezioni presso le scuole per far capire cosa vuol dire andare in montagna correttamente. Terzo passo, rivolto agli adulti, sono i corsi di formazione: mi riferisco in primis a corsi sull’utilizzo di strumenti di autosoccorso in ambiente invernale, ma anche a corsi di formazione su altri argomenti. Ho visto alcune esperienze in giro in cui sono le istituzioni che spingono la gente del territorio montano a formarsi; forse tutti gli attori coinvolti, come il CAI, le Guide, il Soccorso Alpino, dovrebbero cercare di standardizzare le cose per renderle più chiare e semplici, cosicché l’utente sia più facilitato ad arrivare a fare dei corsi, che devono essere estremamente corti ed economici, che lo portino ad un raggiungimento di una consapevolezza dell’andare in montagna diversa da quella che si vede oggi. Abbiamo infatti parlato in queste settimane delle famiglie in sandali sui ghiacciai, tralasciando però tutte quelle persone, che si vedono molto spesso, che vanno slegati con la corda sullo zaino e che forse sono più pericolosi. Sono persone che probabilmente pensano di agire nel modo corretto, ma che poi vanno alla Capanna Margherita senza indossare l’imbragatura e senza essere legati, quando invece è necessario per una gita simile.

Non è che probabilmente c’è un eccesso di confidenza di queste persone, che si reputano esperte e pertanto sopra alle regole di sicurezza più basilari?

 Decisamente. Si vedono persone in abbigliamento molto tecnico che, per aver vissuto certe esperienze, si ritengono esperte a sufficienza per decidere di non legarsi, perché si pensa che non serva. Invece è l’ambiente che dovrebbe dettare il modo corretto di progredire e fare le attività che abbiamo scelto di svolgere. Poi è chiaro che ogni persona dovrebbe essere più auto-responsabile a valutare la propria esperienza e decidere di fare fino ad un certo punto qualcosa. Nello stesso modo oramai si vede pochissimo il coraggio di rinunciare senza aver paura di doversi giustificare agli amici, alla società a tutti coloro che ci guardano, che chiedono “perché sei tornato indietro? Avevi solo due giorni, perché hai rinunciato?”. E questo coraggio manca in generale ed anche agli alpinisti.

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