Gente di montagna

Elisabeth Revol

È solo in montagna che provo emozioni così forti, perché solo lì sono in mezzo ai miei sogni, lì realizzo i sogni che avevo da bambina. Elisabeth Revol

Elisabeth Revol è la seconda donna, dopo la svizzera Marianne Chapuisat, ad aver raggiunto la vetta di un Ottomila nel corso della stagione invernale: il Nanga Parbat. Una spedizione tragica che è costata la vita al suo compagno di cordata Tomasz “Tomek” Mackiewicz, segnando per sempre la francese.

Prima di questo evento Elisabeth era una scalatrice poco nota al grande pubblico, malgrado le ottime capacità alpinistiche. Diffidente al mondo mediatico la Revol ha sempre preferito portare avanti le sue spedizioni in silenzio, nonostante questo implichi pochi sponsor e quindi risorse limitate.

La vita

Nata il 29 aprile 1979 in Francia, nel distretto della Drôme, a due passi dalle Alpi Cozie, Elisabeth Revol si appassiona tardi all’alpinismo. Le sue prime scalate le fa a 19 anni, con i genitori sul massiccio degli Ecrins.

Crescendo ha dimostrato di avere delle ottime attitudini nello sport in generale, ma è nello sci alpinismo, nell’arrampicata e nell’alpinismo che ha mostrato le sue caratteristiche migliori. La passione per lo sport la porta a diventare insegnante di educazione fisica e poi, nel 2012, a partecipare agli Adventure Racing World Championship in Francia testandosi in gare di navigazione, trekking, mountain bike, canoa e arrampicata.

Gli Ottomila

Nel 2008 Elisabeth visita per la prima volta il Nepal e si innamora di quell’enorme parco giochi che è l’Himalaya. L’anno successivo eccola partire per il Pakistan insieme ad Antoine Girard che poi si ammala ritrovandosi impossibilitato a proseguire la spedizione. Elisabeth è così sola, ma questo non la scoraggia e in soli sedici giorni concatena Broad Peak, Gasherbrum I e Gasherbrum II. Nel 2009 torna nuovamente in Nepal con l’ambizione di scalare l’Annapurna con il compagno Martin Minarik, alpinista ceco di grande esperienza con all’attivo sei Ottomila. I due riescono a raggiungere una quota di 7485 metri prima di rinunciare ritrovandosi nel bel mezzo della tempesta. Martin muore durante la discesa.

Nel 2016 va al Manaslu in inverno per realizzare la prima femminile nella stagione fredda, rinuncerà per le difficili condizioni meteo a 7300m di quota. Nella primavera del 2017 Elisabeth è in vetta al Lhotse, sempre in quella stagione proverà ad arrivare in cima al Makalu e all’Everest fermandosi in entrambi i tentativi poco sotto la vetta a causa del maltempo.

Il Nanga Parbat

Il primo incontro tra la Revol e il Nanga Parbat avviene nell’inverno 2013 quando sceglie di partire in spedizione con l’italiano Daniele Nardi condividendo con lui il sogno di una nuova via lungo il temibile sperone Mummery, sui cui Nardi perderà la vita nel febbraio 2019 insieme all’inglese Tom Ballard. In quell’occasione i due riusciranno a toccare la quota di 6450 metri, la più alta mai raggiunta sullo sperone.

Nel corso dell’inverno 2014/2015 ritorna al Nanga Parbat, questa volta con Tomek. L’obiettivo non è più lo sperone Mummery, ma l’incompiuta via Messner-Eisendle. Percorso lungo, visto e tentato per la prima volta nel 2000 da Reinhold Messner e Hanspeter Eisendle, scelto come possibile via di salita invernale sia dai due che dalla cordata italiana composta da Simone Moro e Tamara Lunger. In questa occasione raggiungono i 7800 metri circa dovendo però rinunciare a causa delle previsioni di maltempo. Ci riprovano anche l’inverno successivo, sempre lungo lo stesso itinerario, ma l’esito è lo stesso. Ci riprovano insieme una terza volta, nel corso dell’inverno 2017/2018. In quella stagione sono gli unici a muoversi sulla montagna, la prima salita nella stagione fredda realizzata il 26 febbraio 2016 ha fatto presto perdere l’interesse per le invernali sulla nona montagna del pianeta. Salgono in silenzio, senza clamore mediatico. Un passo alla volta fino a completare la lunga via Messner-Eisendle, fino a realizzare la seconda invernale alla montagna. Un doppio primato per Elisabeth che diventa così la seconda donna, dopo la svizzera Marianne Chapuisat, a raggiungere la vetta di un Ottomila nel corso della stagione più fredda.

Arrivati in cima alla montagna iniziano i problemi. Durante la discesa Tomek viene colpito dai forti sintomi del mal di montagna unito a cecità da neve e congelamenti. Una condizione che gli impedisce di proseguire autonomamente la discesa. La Revol non è disposta a lasciarlo da solo. Lo aiuta a scendere rimanendogli al fianco fin quando possibile, fin quando si trova costretta a scegliere tra la vita e la morte. A fatica Elisabeth si separa da Tomek, lo lascia per sempre a 7400 metri lungo la via Kinshofer, per iniziare la sua discesa disperata verso la vita. Arranca sul ghiaccio, anche lei vittima di congelamenti alle mani e ai piedi. Continua a camminare per tutta la notte con la sola idea di salvarsi la vita. Nel frattempo la macchina dei soccorsi si mette in moto, la notizia della loro situazione disperata sul Nanga Parbat si è diffusa e la spedizione polacca, impegnata nel tentativo invernale sul K2, si rende immediatamente disponibile per un tentativo di salvataggio. Dal K2 un elicottero preleva Adam Bielecki, Denis Urubko, Piotr Tomala e Jarosław Botor. I primi due vengono depositati nei pressi del primo campo della via Kinshofer e si mettono immediatamente in moto per raggiungere la francese. In una manciata di ore macinano centinaia di metri di dislivello, in inverno, di notte, con la speranza di trovarla ancora viva. Elisabeth e i suoi soccorritori si incontrano prima del sorgere del sole la mattina del 28 gennaio, le preparano una bevanda calda e l’aiutano a scendere fino al campo base. Le mani della Revol sono in pessimo stato e sta ai due alpinisti assicurarla e calarla lungo il difficile muro Kinshofer.

Dopo la tragedia del Nanga Parbat

Rientrata in Europa per Elisabeth inizia un difficile periodo fatto di ospedali, rischio di subire amputazioni e ricordi devastanti. Il suo già rigido guscio diventa ancora più impenetrabile. Soltanto con il tempo sul suo volto torna il sorriso e succede solamente quando trova nuovamente la forza per tornare in montagna, dove l’aria si fa rarefatta. La sua vera medicina è la fatica dell’ascensione. Eccola allora comparire, nel maggio 2019, sulla vetta dell’Everest. Arriva in cima il 23 maggio utilizzando l’ossigeno supplementare dagli 8500m. È il suo ritorno alla vita, inseguendo quel sogno d’aria rarefatta. Come ha infatti affermato in un’intervista di fine 2018: “Vorrei provare l’Everest. Sono curiosa di capire se ce la faccio, se posso tornare quella di prima”. Nessuno sa della sua presenza al campo base della più alta montagna delle terra poi, a un tratto, viene annunciata la vetta. Elisabeth è tornata alla vita. Il giorno dopo, incredibilmente, è sul Lhotse. A fine settembre, sempre nel silenzio mediatico, scala il Manaslu.

Libri

Vivre, Arthaud, 2019 (non ancora disponibile in lingua italiana)

Ho bisogno di avvicinarmi a Tomek. Quando sono in montagna, sono con lui. Elisabeth Revol

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Un commento

  1. Sicuramente una delle più grandi interpreti dell’alpinismo d’altissima quota degli ultimi anni. Spero che trovi la forza e la motivazione di tornare ad innamorarsi di una montagna così come le successo col Nanga, perché a mio avviso l’alpinismo ha bisogno di interpreti del suo livello, che cercano sempre vie nuove praticando un alpinismo ridotto all’essenziale e direi anche lontano da controversie ed ambiguità.

    Una grande curiosità, che ancora non sono riuscito a soddisfare a suo riguardo, è sapere cosa l’abbia portata a lasciare come partner di cordata Nardi per unirsi infine a Mackiewicz. Dal documentario realizzato da Nardi e Santini sulla spedizione del 2013 mi sembra infatti emerga chiaro che, come poi racconteranno anche le rispettive spedizioni successive, sia Daniele che Elisabeth avessero un comune punto fermo nello stile da utilizzare, ovvero quello alpino, che la francese continuerà ad utilizzare anche nelle invernali seguenti assieme a Tomek e che l’italiano tradirà solo nella spedizione-thriller del 2016 in favore dello stile tradizionale utilizzato assieme ad Alex Txikon e ad Ali Sadpara (a mio modesto modo di vedere, solo perché nel 2014 si era ritrovato da solo a tentare la scalata al Mummery, per sua stessa ammissione impresa tutt’altro che praticabile, e non avendo trovato nessuno in quel momento desideroso di unirsi a lui non poteva far altro che mettere in stand-by questo suo progetto ed intanto tentare la prima invernale assieme allo spagnolo ed al pakistano per un’altra via, con un altro stile). Mi sembra inoltre chiaro che la francese fosse, perlomeno inizialmente, convinta della scelta di scalare lo Sperone Mummery, di certo non mi sembrava l’ennesima fantomatica sedicente vittima (leggasi Tom Ballard, e qualcuno direbbe anche ben prima Roberto Delle Monache) plagiata da Nardi a rincorrere un obiettivo non suo. Per il resto, almeno per quel che mi è capitato di leggere, tra i due non ci furono ruvide rotture come quelle tra Nardi ed Txikon e Sadpara nel 2016, tanto che nell’inverno del 2017 sarà proprio Daniele a coordinare dall’Italia i soccorsi durante la tragica discesa di Elisabeth e Tomek lungo la via Kinshofer.

    A questo punto quindi la domanda, per quale motivo i due, che formavano una cordata molto affiatata decisero di separarsi dopo appena il primo e uno tentativo congiunto di prima invernale al Nanga? L’unica spiegazione che riesco a darmi è che forse la Revol si era resa conto, dopo quella spedizione, che lo Sperone Mummery non fosse, perlomeno per lei, una strada percorribile, opinione sicuramente non condivisa da Nardi. E da lì la decisione di andare ognuno per la propria via. O forse più semplicemente potrebbe aver scoperto di avere più affinità alpinistiche con Mackiewicz di quanto non ne avesse con Nardi. Sarebbe interessante conoscere da Elisabeth la versione ufficiale di come siano andate le cose.

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