Montagne

Cho Oyu

Sesta montagna della Terra, con i suoi 8188 metri il Cho Oyu è considerato il più facile tra gli Ottomila. Per questo è una delle mete più ricercate da chi si vuole approcciare al mondo dell’altissima quota. La sua relativamente semplice via di salita lo rende l’Ottomila numericamente più frequentato, subito dopo l’Everest. A riprova della poca difficoltà tecnica anche il tasso di mortalità, il più basso dell’intera Himalaya. Il suo nome, Cho Oyu, ha origini tibetane e viene tradotto come “dea turchese”. Nel dettaglio il nome è costituito dalle parole “Chomo”, dea, e “Yu”, turchese. Questa non è ovviamente l’unica traduzione possibile. Secondo alcune fonti Cho Oyu significherebbe “dio calvo”, etimologia che va a riprendere un’antica leggenda tibetana.

Quando, nel 1954, gli austriaci riuscirono a violarlo per la prima volta credettero di aver scalato la settima montagna della Terra. I geografi avevano infatti calcolato che fosse alto 8150 metri, quindi più basso del Dhaulagiri con 8167 metri. Nonostante questo già nel 1955 Edmund Hillary, nel suo libro High Adventure, indicò la quota di 8189 metri. A spostarlo nell’elenco dei 14 Ottomila fu una nuova misurazione condotta nel 1984 che pose la sua cima a 8201 metri. Infine, nuove misurazioni effettuate nel 1996 dal Government of Nepal Survey Department insieme all’Istituto meteorologico finlandese furono utili a ottenere l’altezza tutt’oggi valida di 8188 metri.

Geografia

Localizzato 20 chilometri a ovest rispetto all’Everest, il Cho Oyu Si trova al confine tra Cina e Nepal. La sua geografia non è particolarmente complessa. I versanti principali della montagna sono quelli nord-ovest, seguito dai primi salitori, sud-est (in territorio nepalese), sud-ovest (in territorio cinese e nord, interamente in territorio cinese. Nelle vicinanze del versante nord-ovest si trova il passo del Nangpa La (5716 m) che permette il traffico commerciale tra la valle del Khumbu e il Tibet.

Storia

Le prime osservazioni occidentali del Cho Oyu risalgono al 1921 quando l’esploratore inglese Charles Howard-Bury, durante la prima ricognizione dell’Everest, riportò alcune interessanti immagini del Nangpa La e della montagna. Una seconda esplorazione dell’Everest venne condotta da Eric Shipton tra il 1951 e il 1952, anche in questo caso riportò alcune interessanti osservazioni sul vicino Cho Oyu. Tutte queste ricognizioni furono condotte dal lato cinese.

La squadra di Shipton riuscì, nel 1951, a raggiungere il colle del Nangpa La. Nel 1952 venne invece condotta un’esplorazione più intensa, in seguito al mancato ottenimento del permesso per l’Everest. La spedizione, di cui faceva parte anche Edmund Hillary, esplorò sia il versante sud-est che quello nord. Il gruppo riuscì a raggiungere la quota massima di 6650 metri prima di ritirarsi a causa delle difficoltà incontrate e del pericolo valanghe.

La prima ascensione

I primi a mettere piede sulla vetta del Cho Oyu furono gli austriaci Herbert Tichy e Joseph Jöchler, con loro salì anche lo Sherpa Pasang Dawa Lama.

La spedizione teutonica lasciò Kathmandu nei primi giorni di settembre, per raggiugere la montagna solo sul finire del mese. Qui iniziarono subito i lavori di ricerca di un passaggio lungo la parete nord-ovest. Gli alpinisti credevano che sarebbe stata una salita difficile, soprattutto nella ricerca di un possibile varco verso la vetta. I racconti riportati da Shipton e dalla sua spedizione non promettevano molto bene. Nella realtà la squadra riuscì a muoversi in modo molto agile sulla montagna trovando facilmente una via di accesso alla cima. Ben presto arrivò il tempo di un tentativo di vetta, ma nella notte precedente l’attacco il vento crebbe in modo incredibile. All’alba gli alpinisti si trovano avvolti da una bufera violentissima, nonostante il cielo azzurro. Non potevano fare altro che scendere Tichy, uscito inizialmente dalla tenda senza guanti, riportò congelamenti alle mani. Scesi al campo 1 gli alpinisti iniziarono una lunga attesa. Il cielo era limpido, eppure non si poteva salire: la bufera di vento in quota alza altissimi pinnacoli di neve. Un secondo tentativo, verso la metà di ottobre, fu invece fortunato. Gli uomini riuscirono a raggiungere la vetta il 19 ottobre. Salirono nel freddo pungente, sulla neve dura compattata dal forte vento. Si mossero senza ossigeno toccando la vetta più alta mai raggiunta da un uomo senza bombole. Primato che verrà migliorato solo nel 1978 da Reinhold Messner e Peter Habeler sulla cima dell’Everest.

Prima ascensione invernale

A muovere un primo tentativo invernale al Cho Oyu furono, ovviamente, i polacchi. La spedizione venne organizzata da Andrzej Zawada, pioniere dell’himalaysmo invernale, per la stagione 1984/1985. Fu una spedizione intensa, complicata inizialmente dal maltempo. Ma questo non compromise la buona riuscita della scalata. L’8 febbraio 1985 gli alpinisti erano già in quota, pronti a tentare la cima. Furono Maciej Berbeka e Maciej Pawlikowski raggiungere la vetta il 12 febbraio. Il giorno seguente toccò poi a Jerzy Kukuczka, che poche settimane prima aveva realizzato la prima salita invernale del Dhaulagiri, e ad Andrzej Heinrich effettuare la prima ripetizione.

Il risultato di Kukuczka impressiona quasi più della prima invernale appena conquistata: ha realizzato la salita di due Ottomila nel corso della stessa stagione fredda. Qualcosa che nessuno sarà più in grado di ripetere.

Vie alpinistiche

La via normale alla montagna coincide con quella affrontata dai primi salitori. Il suo campo base, sul versante cinese del Cho Oyu, è facilmente raggiungibile prima in jeep e poi con uno o due giorni di cammino. Dal campo base la via sale in modo relativamente tranquillo, toccando pendenze massime di 30 gradi. Sopra i 7mila metri poi una barriera di seracchi verticali, da superare utilizzando le corde. Da qui alla vetta le difficoltà si fanno minori, ma da non sottovalutare a causa dell’altissima quota della montagna.

Altre vie alpinistiche

  • 1978 – Gli austriaci Edi Koblmüller e Alois Furtner riescono a violare per la prima volta la parete sud-est, aprendovi una via estremamente tecnica e difficile.
  • 1983 – Reinhold Messner, Hans Kammerlander e Michl Dacher aprono una nuova via sulla parete sud-est. Per Kammerlander è il primo Ottomila.
  • 1988 – il 2 novembre gli sloveni Iztok Tomazin, Roman Robas, Blaž Jereb, Rado Nadvešnik, Marko Prezelj e Jože Rozman aprono un nuovo tracciato sulla parete nord. È la prima volta in cui questa parete viene violata.
  • 1990 – Erhard Loretan, Jean Troillet e Woytek Kurtyka realizzano la prima salita della parete sud-ovest. Ne risulta una via particolarmente difficile.
  • 2006 – Il 2 ottobre lo sloveno Pavle Kozjek riesce nell’apertura solitaria di una nuova difficile via sulla parete sud-est. Il percorso supera tratti di V- sopra i settemila metri.
  • 2009 – Denis Urubko e Boris Dedeshko  aprono una nuova via sulla parete sud-est. Per questa realizzazione vengono premiati con il Piolet d’Or.

Salite degne di nota

  • 1984 – il 13 maggio Věra Komárková e Dina Štěrbová sono le prime donne in cima al Cho Oyu.
  • 1993 – La svizzera Marianne Chapuisat realizza la prima salita invernale femminile al Cho Oyu. Raggiungendo la vetta è anche la prima donna in assoluto a scalare un Ottomila in inverno.
  • 1994 – Il messicano Carlos Carsolio stabilisce il record di velocità da campo base alla vetta riuscendo nella salita in 18 ore e 45 minuti.
  • 1994 – Il giapponese Yasushi Yamanoi realizza la prima solitaria attraverso la parete sud-ovest, in soli due giorni.
  • 2004 – Il neozelandese Mark Inglis, alpinista con amputazione a entrambe le gambe, raggiunge la cima del Cho Oyu.
  • 2009 – Il saluzzese Marco Galliano è il primo italiano a scendere con la tavola dal Cho Oyu.
  • 2011 – Il torinese Fabio Beozzi scende con gli sci passando per la variante Messner. La sua discesa inizia un centinaio di metri sotto la vetta per colpa di un principio di congelamento.
  • 2013 – Il cuneese Mario Monaco è il primo italiano a realizzare la discesa integrale con gli sci del Cho Oyu.
  • 2016 – In ottobre Adrian Ballinger ed Emily Harrington salgono e scendono con gli sci dalla montagna in un tempo totale di 18 ore.

Altri eventi storici imporanti

Non sono molti gli eventi tragici che hanno interessato il Cho Oyu. La sua relativa semplicità lo rende uno degli Ottomila meno mortali. Tra le scomparse che più di tutte hanno colpito il mondo della montagna sicuramente quella del trentino Walter Nones, morto il 3 ottobre 2010 nel tentativo di aprire una nuova via sul versante sud-ovest. Al momento dell’incidente era solo. Il suo corpo è poi stato recuperato dai compagni Giovanni Macaluso e Manuel Nocker.

Guida al Cho Oyu

Raggiungere il campo base del Cho Oyu può presentare qualche difficoltà in più rispetto agli Ottomila localizzati in territorio nepalese. Come abbiamo visto la sua via normale sale dal versante cinese, nella regione del Tibet, e non sempre vengono concessi i visti per potervi accedere. Nonostante questo per raggiungere la montagna non è necessario atterrare a Lhasa, ma è consigliabile volare su Kathmandu. Dalla capitale nepalese ci si trasferisce verso il confine con il Tibet, raggiungendo il villaggio di Kodari. Si passa quindi il confine toccando la cittadina di Zhangmu e da qui, con un mezzo privato, si prosegue verso Nylam. Vista la quota, prossima ai 3mila metri, meglio concedersi un giorno di riposo per abituare il corpo. Ancora in jeep si prosegue verso Tingri, da cui poi in una giornata si raggiunge il campo base ai piedi del versante nord-ovest del Cho Oyu.

Per chi, una volta raggiunto il campo base, volesse cimentarsi nella salita di uno tra i più facili Ottomila ricordiamo che si tratta comunque di una salita alpinistica in altissima quota e che la relativa facilità deriva da un paragone con gli altri colossi dell’Himalaya e del Karakorum. Inoltre, come per tutti gli Ottomila, è necessario pagare un permesso di scalata, il cui prezzo si aggira intorno ai 9200€.

Come per tutte le spedizioni è possibile organizzare in autonomia ogni fase, se si è esperti viaggiatori non è un’operazione particolarmente difficile. In caso contrario è possibile affidare l’organizzazione ad agenzie specializzate in Italia o sul posto. Grazie a loro sarà sicuramente più facile sveltire le pratiche burocratiche.

Il Cho Oyu nella filmografia

Cho Oyu, west of Everest, 2003, Tim Boelter

Il Cho Oyu nei libri

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Un commento

  1. ” Si mossero senza ossigeno segnando la quota più alta mai raggiunta da un uomo senza bombole.”
    Forse sarebbe più corretto dire che raggiunsero la vetta più alta senza bombole visto che già nel 1924 Norton e Somervell arrivarono a quasi 8600 senza ossigeno.

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