Storia dell'alpinismo

1986, l’anno orribile del K2

K2 1986. Fu l’annus horribilis della “montagna degli italiani. Ma veniamo alla storia di allora. Tutti partono molto in anticipo, per la verità in quegli anni era usuale imbarcarsi per Islamabad a fine aprile, inizio maggio. Tutti sanno della presenza di parecchie squadre e che a Dassu i portatori in attesa dei trattori e delle jeep con i carichi delle spedizioni scarseggeranno, con il rischio di dover dividere i carichi in più gruppi in partenza in giorni diversi. Un caos.

I primi a raggiungere il Campo base a 5000 metri di quota sono gli americani di Jahn Smolich: hanno l’obbiettivo di scalare la Magic Line, la cresta SSW del K2. Sulla stessa via ci saranno anche il vicentino Renato Casarotto, da solo, e gli italiani di quota 8000, guidati da Agostino Da Polenza e Gianni Calcagno.

La squadra americana e la prima tragedia

La spedizione americana mette un primo campo alla sommità del ghiacciaio De Filippi, sotto il ripido canale che porta a Sella Negrotto alla cui sommità, a 6337m, montano il campo 2. La squadra è composta anche da Brian Hukari, Kerry Ryan, Steve Boyer, Andy Politz, Jon Sassler, Murray Rice e Alan Pennington. Adottano una modalità di attrezzatura della via meticolosa, ma anche pesante che li fa procedere lentamente. La mattina del 21 giugno il sole splende in un cielo blu e a Sella Negrotto un masso grande come un’auto si stacca dalla cresta facendo un salto di una decina di metri e dando un colpo d’ariete all’intero pendio, che si stacca dal fondo ghiacciato. Una massa immensa di neve e ghiaccio inizia a scivolare verso il basso travolgendo tutto, anche il campo uno degli americani. Smolich e Pennington muoiono sotto la valanga. La squadra degli americani decide di rinunciare al tentativo di salire il K2 e torna a casa.

Le spedizioni italiane

A Sella Negrotto ci sono anche gli italiani: Calcagno, Da Polenza e Tullio Vidoni hanno seguito da vicino Casarotto, che già sale oltre campo 3. Assistono sbigottiti alla tragedia e decidono di scendere con i quattro americani che si trovavano alla Sella. La situazione sul pendio è pericolosa per l’instabilità del manto nevoso laterale alla traiettoria della valanga, e per il caldo. Ci sono anche da cercare i due dispersi. A sera tutti si ritroveranno mestamente al campo base.

La spedizione di “quota 8000” in quei giorni si era divisa: un gruppo sulla cresta SSW del K2 e l’altro “in allenamento”, si fa per dire, sul Broad Peak, dove Marino Giacometti, Martino Moretti e Soro Dorotei e poi Benoît Chamoux, in 24 ore da CB a CB, salgono in vetta; un paio di giorni dopo anche Josef Rakoncaj corona con il successo la sua ascesa.

La morte dei coniugi Barrard

Nel frattempo la spedizione franco-polacca diretta lungo lo sperone Abruzzi, il 23 giugno, dopo un bivacco a 8350 m, riesce a toccare la vetta del K2 con Wanda Rutkiewicz, la prima donna sulla grande montagna, insieme a lei: Liliane e Maurice Barrard, capospedizione, e il giornalista nonché alpinista Michel Parmentier. Durante la discesa i coniugi Barrard scompaiono nella bufera. Nello stesso giorno erano illegalmente (a quei tempi, ma forse ancora oggi, i regolamenti impedivano il cambio di via di salita, a meno che l’Ufficiale di collegamento non lo consentisse previo pagamento del permesso) saliti in cima anche i baschi Mari Abrego e Josema Casimiro, aggregati alla spedizione italo-basca di Renato Casarotto.

La bufera coglie tutti tra il quarto ed il terzo campo. Anche Calcagno, Da Polenza, Vidoni e Benoit Chamoux, che avevano deciso di abbandonare la cresta SSW per la pericolosità del pendio sotto Sella Negrotto, raggiungono quella sera il campo tre. Si rendono conto che i coniugi Barrad non potevano avere possibilità di sopravvivere con una situazione meteo come quella e al mattino scendono verso il campo base. Wanda Rutkiewicz li segue e si perde nella bufera, mentre Michel Parmentier rimane a campo tre ad attendere irragionevolmente i Barrard. Sia Wanda che Parmentier raggiungeranno il base solo qualche giorno dopo e in condizioni disperate.

La vetta della spedizione di Quota 8000

Gli italiani ripartono dopo alcuni giorni sullo Sperone Abruzzi e il 5 luglio, dopo due bivacchi a 6700 m e 7800 m, quasi in stile alpino, arrivano in cima al K2: sono Gianni Calcagno, Tullio Vidoni, Soro Dorotei, Martino Moretti e Joska Rakoncaj (partiti dal CB il 3 luglio); alle 16 arriva in vetta anche Chamoux (partito il 4 alle 17 e quindi con un tempo di salita di circa 23 ore dalla partenza). Ai primati occorre anche aggiungere che Dorotei, Moretti, Chamoux e Rakoncaj sono i primi a raggiungere la vetta del K2 dopo un altro Ottomila, il Broad Peak, salito pochi giorni prima e che Rakoncaj è il primo uomo ad aver salito il K2 due volte e dai due versanti opposti.

La morte di Casarotto

Il vicentino Casarotto è accompagnato dalla moglie Goretta, che lo tiene d’occhio dal campo base. Lui ha proseguito, veramente da solo, il suo tentativo sulla cresta SSW venendo respinto due volte dal cattivo tempo. Al terzo tentativo il 15 luglio raggiunge la quota di 8300m, ma decide di scendere per il brutto tempo in arrivo. Il 16 luglio, ormai alla base della parete e in prossimità della morena, cade in un crepaccio, riesce a chiamare con la radio la moglie, scattano i soccorsi a cura della spedizione italiana, ormai in partenza dal campo base, che lo recupera al buio sulla superficie del ghiacciaio, ma inutilmente: dopo pochi minuti Renato Casarotto muore.

L’incidente mortale a Tadeusz Piotrowski

Karl Herrligkofer è un grande capo spedizione ormai a fine carriera, in quella stagione organizza una spedizione “quasi commerciale” al Broad Peak e al K2. Due svizzeri del suo gruppo, senza permesso, Rolf Zemp e Beda Fuster arrivano in vetta al K2 il 5 luglio. L’ 8 luglio arrivano in vetta anche Jerzy Kukuczka e Tadeusz Piotrowski dopo essere saliti per una via nuova che di fatto inizia al campo uno degli americani, sotto Sella Negrotto, e da lì si porta a destra e poi prosegue lungo una nervatura rocciosa che punta al centro della parete del K2 verso la vetta. Un luogo pauroso per la possibile caduta di valanghe e seracchi. La via è rimasta a tutt’oggi irripetuta. Raggiungono la vetta esausti e bivaccano a 8350 metri, scendono il giorno successivo di soli 400 metri, ma il 10 luglio Piotrowski scivola o perde un rampone, di certo precipita addosso a Kukuczka che disperato e allo stremo non riesce a fermarlo e lo vede scomparire nel ripido pendio sottostante. Kukuczka si salverà approfittando delle tende e dell’equipaggiamento dei Coreani: sono in 19, alla guida Kim Byong Joon, e nel frattempo e con calma stavano attrezzando i loro campi lungo lo sperone Abruzzi.

Il sovraffollamento ai campi alti

A inizio agosto una serie decisioni, eventi ed errori porterà ad un esito fatale per alcuni alpinisti ancora impegnati sul K2. Il 3 agosto, dopo una notte a C4, superaffollato da 10 alpinisti ammassati in tre tendine, partono per la vetta Jang Bong Wan, Kim Chang­ Son e Jang Byong Ho e raggiungono la cima. Ma sullo Sperone Abruzzi del K2 ci sono anche gli austriaci capeggiati da Alfred Imitzer, con Willi Bauer e Hannes Wieser; gli altri giovani membri sono Michael Messner, Manfred Ehrengruber, Siegfried Wasserbauer e Helmut Steinmasse. Quella situazione di sovraffollamento era dovuta dal fatto che il C4 degli austriaci era stato distrutto dalla caduta di un seracco. Avevano deciso di non scendere dal 4 al 3, rimandando la decisione al giorno successivo. Una scelta che si rivelerà drammatica nelle conseguenze.

Ma c’è anche una spedizione polacca guidata da Janusz Majer che è decisa a farla finita con la Magic Line. A maggior ragione dopo la morte di Casarotto. La squadra è composta da Anna Czerwińska, Dobrosława Miodowicz-Wolf, Krystyna Palmowska, Petr Božik (slovacco), Przemysław Piasecki, Krzysztof Lang, e Wojciech Wróz. Il 3 agosto, dopo un bivacco a 8000 m e uno a 8400 m, raggiungono la cima Wróz, Piasecki e Božik. Un ottimo successo lungo una via bella e difficile, ma la tragedia era nell’aria. Wróz precipita nella notte nel corso della discesa lungo la via normale che avevano scelto per rientrare al base con maggiore sicurezza, potendo contare sulle tende e gli alpinisti di campo 4.

Gli altri continuano la discesa con due coreani della vetta (Byong Ho si ferma a bivaccare a 8300 m) e raggiungono campo 4 peggiorando ulteriormente la situazione di affollamento: lì infatti si trovano ancora Alfred Imitzer, Willi Bauer e Hannes Wieser della spedizione austriaca.

L’ultimo atto della grande tragedia

Kurt Diemberger e Julie Tullis, partecipanti alla spedizione “quota 8000”, che era nel frattempo rientrata in Italia, avevano chiesto e ottenuto di poter rimanere per fare delle riprese in quota, invece fanno un tentativo alla vetta. C’è anche il britannico Alan Rouse, che prova la vetta dopo un tentativo sulla cresta NW, e Dobrosława Miodowicz-Wolf della spedizione di Majer. In totale ci sono 11 persone: non c’è posto per tutti e Rouse lascia la sua tenda a due polacchi, posizionandosi metà dentro e metà fuori dalla tenda di Diemberger accucciato dentro una buca che cava nella neve.

Il 4 agosto, mentre alcuni scendono, Rouse, Miodowicz-Wolf, Imitzer, Bauer, Diemberger e Tullis si direzionano verso l’alto, verso la loro vetta. Attorno agli 8500 metri Diemberger si rende conto che Miodowicz-Wolf è sfinita e Rouse, che sta scendendo dalla cima, riesce a convincerla a scendere. Gli altri salgono fino in cima, ma questo è l’ultimo atto della tragedia umana che quell’anno si consumò sul K2.

Scoppia la bufera, come accadde per tutta quella stagione dell’86, caratterizzata da periodi di tre giorni bel tempo con il quarto che precipitava la montagna in un inferno di vento e neve. Tullis muore di sfinimento nella notte tra il 7 e l’8 agosto tra le braccia di Kurt Diemberger dopo essere precipitata per decine di metri ed essere riuscita a rientrare in tenda. Rouse, Imitzer e Wieser si spengono per la fatica e l’esaurimento il 10 agosto. Nella bufera Diemberger, Bauer e la Miodowicz-Wolf, rimasti soli, si apprestano ad una drammatica discesa. I due “orsi/umani” sopravvivono seppur feriti e macilenti e raggiungono il 12 il campo base. La Miodowicz-Wolf, affettuosamente da tutti chiamata Mrówka, la “formichina”, muore e rimane ancorata alla parete fino all’anno successivo quando i primi salitori della Piramide Nera, il tratto sopra campo due, troveranno il suo corpo ancorato a un moschettone. L’ultima, la tredicesima vittima da ricordare di quell’anno orribile fu il sirdar (capo dei portatori) dei sud coreani, colpito mortalmente da una pietra nei pressi di campo uno.

Un’importante annotazione riguarda Tomo Česen, che fa parte di una spedizione jugoslava che tenta il Broad Peak e il Gasherbrum. In solitaria, sale nella notte tra il 3 e il 4 agosto la nervatura a sinistra, guardando la montagna, dallo Sperone Abruzzi raggiungendo la Spalla. Dove si ricongiunge con la via classica. Una via molto ripetuta tutt’oggi.

A raccontare quella stagione al K2 sul versante pakistano non mancarono i libri e i racconti scritti dai protagonisti sopravvissuti, rimasero anche profonde ferite fisiche e morali e rimpianti, ma non mancarono nemmeno le velenose polemiche. Fu una pagina complessa e drammatica dell’alpinismo, come spesso accade sul K2.

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