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Alimentarsi sull’Everest. Vegan o una fetta di speck?

La morte di Elisabeth Strydom ha innescato della curiosità e anche qualche polemica perché prima di lasciare casa in Australia, in partenza per il Nepal, aveva proclamato che lei vegana avrebbe dimostrato al mondo di poter salire l’Everest e che i vegani hanno la stessa energia, possibilità atletica e di salute degli altri. Improvvida la sfida pubblica ante-spedizione, in malafede la strumentalizzazione ora del risultato senza aver la possibilità di trarre conclusioni medico scientifiche. Certo Crozza con i vegani ci va a nozze e non ce ne vogliano i nostri lettori se lo “utilizziamo” per alleggerire l’argomento.

Ho riletto in questi giorni, mentre volavo tra Malpensa e Islamabad e ritorno, un vecchio libro ingiallito del 1976: “Sette anni contro il Tirich”. Racconta anche di Guido Machetto e Gianni Calcagno che nel 1975 salgono in puro stile alpino i 7708 metri del Tirich Mir. Talmente puro è lo stile che vi adeguano anche l’alimentazione eliminando, con tre mesi di anticipo sulla partenza dall’Italia, tutti i cibi che appesantiscono il fisico, tra i quali carne, bevande non genuine (in pratica bevono solo acqua e tè), zucchero, formaggi e latticini, meno lo yogurt. La identificarono come dieta macrobiotica o naturista, che sarebbe servita a “far si che il nostro corpo riesca a metabolizzare tutto quanto ingerito lasciando il minimo di residui e scorie”.

Usavano solo: “prodotti naturali coltivati senza concimi chimici, cereali verdure e frutta. Per la parte proteica, le noci e i legumi, come le lenticchie e i fagioli. Tra i prodotti naturali preparati, il miso (una pasta di soia fermentata per tre anni con sale marino) […]”.

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Gianni Calcagno e Guido Machetto

Un vantaggio aggiuntivo fu che i due formidabili alpinisti utilizzarono quasi solo “cibi acquistati nelle valli himalayane” evitando il trasporto dall’Italia di alimenti meno naturali (e poi risparmiarono un mucchio di spese e questo per il cuore genovese di Calcagno era tutt’altro che irrilevante).

Il risultato fu una “formidabile e persistente forma fisica”, lo scrissero a più riprese, oltre a una eccezionale lucidità e serenità mentale che consentì loro di percorrere prima una difficile via fino in vetta al Tirich, aperta dai cecoslovacchi in precedenza (sberleffando anche una macro spedizione inglese in difficoltà), di resistere al cattivo tempo per un paio di settimane e di aprire una nuova difficile via sullo sperone del Tirich che chiameranno “via degli Italiani”.

Gianni Calcagno con il quale mi accompagnai da capo spedizione al K2, al Broad, ai Gasherbrum I e II, oltre che al Nanga, era certamente un gran alpinista, parco nell’alimentazione e attento al proprio corpo e alla sua mente. Anche se con noi era meno intransigente che al Tirich dal punto di vista alimentare e qualche fetta di bresaola e di casera, di tanto in tanto, se la faceva.

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Gnaro Mondinelli

Un altro grande dell’alpinismo, Gnaro Mondinelli, ha scritto un libro interessante dal titolo “Alpinismo d’Alta Quota – Organizzare e condurre con successo una spedizione Extraeuropea”. Pur non essendo uno scienziato dedica un capitoletto all’alimentazione dall’alto della sua lunghissima e proficua esperienza alpinistica e dei suoi 14 ottomila, saliti rigorosamente senza ossigeno.

Nel paragrafo dedicato dice: “L’alimentazione in quota deve basarsi su:” e qui vengono elencate le qualità delle proteine, dei carboidrati, dei i grassi, ma utilizzati al minimo. E continua: “Colazione. E’ il pasto più importante delle giornata […] Sono consigliati tè, caffè(tra l’altro ottimo in alta quota anche per il cuore), fruttosio, cereali e frutta secca, latte in polvere e condensato, confezioni di marmellata, formaggio e biscotti. Durante la salita. Barrette energetiche, gel energetici, merendine, fettine di speck e acqua arricchita di Sali minerali […]. Cena. Un pasto caldo costituito da cibi liofilizzati o disidratati a base di carne e pasta, formaggio, speck, lardo. Cioccolata. Barrette glucidiche e biscotti, frutta secca, acqua arricchita di sali e fruttosio, tè o caffè.”

Come dire: idee e metodi diversi.

Dice ancora Gnaro, che è anche lui uno attento e morigerato: “L’ importanza di assumere alimenti graditi e gustosi è resa fondamentale dalla forma di inappetenza che colpisce i componenti di una spedizione. […] La regola, sempre e ovunque nel mondo, è quella di non farsi mancare nulla”.

Anche la dottoressa Annalisa Cogo, dedica nel suo volume sulla salute in montagna, edito da Hoepli nella stessa collana del libro di Gnaro, un capitolo, più scientifico e ragionato, all’alimentazione e pure il medico francese Jean-Paul Richalet, esperto d’alta quota, nel suo tascabile “Salute e Montagna”, sul come nutrirsi mette in grassetto: “alimenti appetitosi, variati, calorici, poco ingombranti, facili da preparare”.

Internet ci da la possibilità di informarci di trovare notizie e consigli e le vecchie librerie ancora in questo possono essere utili. Ognuno di noi deve scegliere con logica e coscienza, evitando errori grossolani e improvvisazioni.

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2 Commenti

  1. Io, vegano, da semplice escursionista, posso dire che in non mi sono mai sentito più debole da quando ho cambiato alimentazione, anzi! L’unico inconveniente ce l’ho quando arrivo ai rifugi, perché posso prendere al massimo un caffè o una birra 😀

  2. Esiste da molti anni un prodotto molto interessante, il Peronin, già Biosorbin. Mi piacerebbe avere il parere di altri utilizzatori o ancora meglio di un nutrizionista.

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