AlpinismoAlta quota

L’Everest non trova pace

KATHMANDU, Nepal – Una sindrome collettiva di mal di montagna o situazioni precarie di salute, causate dal cattivo acclimamento o dalle cattive condizioni meteo e magari dall’insorgere al base di problemi sanitari non più mitigati dal freddo intenso.

Avevamo scritto settimana scorsa di due alpinisti morti, uno al campo base dell’Everest, l’altro per il mal di montagna dopo aver salito i 6.119 metri del Lobuche Peak.

Ma il mal di montagna ora sembra colpire tutti: secondo i medici presenti al campo base, oltre 400 persone hanno accusato sintomatologie connesse con l’ipossia, la mancanza di ossigeno disponibile, che dipende dalla bassa pressione atmosferica in alta quota. Molti i casi di edema polmonare grave e di edema cerebrale e paradossalmente, l’epidemia, anziché affievolirsi, con il passare del tempo e l’acclimatamento, sta peggiorando.

In almeno una decina sono già rientrati a Kathmandu, mentre 17 alpinisti  e 10 lavoratori d’alta quota sono stati evacuati da campo 2 (6400m) e 3 (7300m), con il supporto degli sherpa.

Pare che molto del personale locale sia composto da sherpa inesperti e anche gli alpinisti sembrano non godere di esperienza, da qui forse gli errori nell’acclimatarsi.

Pemba Sherpa, forse il maggior e più esperto organizzatore nepalese di spedizioni commerciali con la sua Agenzia Seven Summit, ha confermato che la maggior parte dei lavoratori quest’anno ha problemi di salute. Lakpa Norbu Sherpa, che lavora con un team di medici al campo base dell’Everest, ha informato che di aver trattato clinicamente almeno 140 persone nelle ultime tre settimane.

Bhuwan Acharya, del presidio sanitario di Periche, un ospedalino che funziona da 30 anni voluto dall’Himalayan Rescue Association, ha detto che ha erogato almeno 320 trattamenti a pazienti, mentre più di 10 persone sono state quotidianamente visitate e trattate con ossigeno: “Sette stranieri e tre sherpa d’alta quota sono stati anche evacuati” ha aggiunto.

I medici hanno notato che  mal di montagna è quest’anno una grande sfida per gli scalatori nella regione dell’Everest. Il mal di montagna comprende nausea, vomito, perdita di appetito, insonnia, mal di testa persistente, vertigini, il disorientamento e l’andatura da “ubriaco”, debolezza, affaticamento, stanchezza, gambe pesanti, leggero gonfiore delle mani e respirazione irregolare, nonché diuresi ridotta. Sintomi normali ad alta quota, ma sempre contenuti e controllati. Quest’anno sembra invece che l’allarme sia dilagato e che i casi siano aumentati a dismisura.
Il Dipartimento del Turismo nepalese ha rilasciato permessi di salita a 400 persone sull’ Everest e sono più di 500 i lavoratori impegnati al campo base e in alta quota.

Ma l’Everest e il Lhotse non sembrano trovare pace e le antiche credenze, che vogliono le divinità infuriate per l’eccesso di sfruttamento della montagna, paiono trovare, giorno dopo giorno conferma. “Am mani Pagme Um” recitano i monaci e gli sherpa davanti agli altari offrendo doni alle divinità, ma forse più che le dee servono regole. Come ho avuto modo di scrivere, pensare che il fermo delle spedizioni per due anni avesse risolto problemi, che evidentemente sono invece ancora presenti e che dipendono molto probabilmente dell’eccesso di pressione umana sulla montagna più alta della terra, è stato un errore.

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