Alpinismo

Prigioniero dell’Eiger: la parola a Corti

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LECCO — "Se ne fregano, se ne sono sempre fregati e continuano a farlo. Hanno fatto un gran cancan quando è successo, poveretto qui e poveretto lì, però te crepa se poi hanno mosso un dito. Una cosa hanno fatto, quella sì: se la sono presa con me, ne hanno dette d’ogni e poi hanno girato belli larghi perchè farsi vedere in giro col Claudio non andava mica bene. Uno con la peste lo trattavano meglio". E’ finalmente la voce del protagonista a raccontare una delle vicente più drammatiche della storia dell’alpinismo. Quella di Claudio Corti e Stefano Longhi, che nell’estate del 1957 partirono di nascosto per tentare la prima italiana sull’Eiger, senza sapere che in un modo o nell’altro, per entrambi sarebbe stato un tunnel senza via d’uscita.

"Lascia stare. Dell’Eiger non voglio più sapere niente". Fu questa la prima reazione di Corti alla proposta di scrivere un libro sulla tragedia del 1957, che sebbene risalga a cinquant’anni fa, brucia ancora come se fosse avvenuta ieri. Quella tragedia in cui perse l’amico Stefano Longhi, rischiò di morire in mezzo alla bufera, venne colpito da una scarica di sassi e poi abbandonato dai due tedeschi che si erano uniti alla sua cordata e poi scomparvero nel nulla. Corti venne salvato con un’operazione di soccorso colossale, che vide in prima fila un Riccardo Cassin ignaro che due suoi compaesani si trovassero sulla parete, per poi venire accusato di aver ucciso tutti i suoi compagni e di essere l’unico colpevole del dramma.
 
Ma alla fine, Corti si è lasciato coinvolgere. Aveva voglia, nel profondo, di parlare, di dire la sua, come fino ad ora non era mai riuscito a fare. E la sapiente penna di Giorgio Spreafico, ha raccolto e consegnato ai posteri il suo racconto. Un documento straordinario, che rischiava di andare perduto per sempre. Ma che invece, da pochi giorni, è in tutte le librerie d’Italia.
 
"Il prigioniero dell’Eiger" è davvero un libro da non perdere. Pezzo da collezione per gli appassionati di montagna, conquisterà anche chi di alpinsimo se ne intende poco. Perchè la tecnica, la scalata, la parete, sono solo una parte marginale di questo racconto che scopre il personaggio di Corti, apre una finestra sulla Lecco e sull’alpinismo degli anni Cinquanta, fa riaffiorare amicizie e antichi rancori, scava nelle passioni degli alpinisti. E fa capire perchè l’amore per la montagna, le passioni della vita, a volte ci spingono fino a rischiare di perderla.
 
"E’ per questa ragione qui che arrampichiamo – racconta Corti -, per buttarci dietro tutto, per lasciare a casa i pensieri. Qualche volta me l’hanno anche chiesto: tu per staccare ti metti nei guai, vai a infilarti in tutti quei rischi lì? Eh, è una storia troppo lunga. Mica posso star qui a raccontare la rava e la fava, adesso: ho da fare. Fate un giro in Grigna, magari, fatelo una domenica. Guardate un po’ intorno e capirete tante cose anche da soli".
 
La voce di Corti, nelle pagine del libro, si mescola con la ricostruzione dell’autore e con documenti fotografici inediti, che gettano una luce nuova su questa vicenda che, per come si è svolta in parete, per come è stata seguita dalla stampa europea, per come è finita vittima delle polemiche, risulta oggi di un’attualità straordinaria.
 
"E’ il primo libro che esce su questa storia con il coinvolgimento del protagonista – spiega Spreafico -. In questo volume, Claudio dice tanto della sua rabbia e della sua impotenza di fronte a quel processo di crocifissione che sembrava inarrestabile, ma che noi abbiamo voluto tentare di invertire. Ha perdonato, ma non ha dimenticato. E ora è lui a raccontare. Se siamo riusciti in questo progetto, questo devo innanzitutto ringraziare l’amico Daniele Chiappa, purtroppo scomparso di recente, che fu allievo di Corti. Fu lui a proporgli questo libro".
 
Non perdete altro tempo, cari lettori. Correte il libreria. Che sia per voi o per un regalo di Natale, questo libro non può non essere vostro.
 
Sara Sottocornola

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