Medicina e benessere

Ipossia: a 4000 metri il cervello è meno vigile

Monte Bianco
Monte Bianco

MILANO — Basta una blanda riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello per compromettere lo stato di vigilanza e la risposta comportamentale. Lo rivelano gli studi effettuati su soggetti sottoposti alle condizioni di ossigeno che si trovano a 4200 metri di quota: la ricerca è stata condotta dall’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca.

La riduzione anche minima dell’apporto di ossigeno al cervello, la cosiddetta ipossia, compromette risposte comportamentali e livelli di allerta, restano invece inalterate l’attenzione e il controllo sulle azioni. È quanto emerge da uno studio condotto da Alberto Zani dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) di Segrate (Milano), in collaborazione con Alice Mado Proverbio del NeuroMI – Milan Center for Neuroscience e docente di Neuroscienze cognitive presso l’Università di Milano-Bicocca. L’indagine – presentata al “Society for Neuroscience 2014”, il Congresso mondiale di neuroscienze svoltosi a Washington (Usa).

“L’ipossia caratterizza diversi disturbi clinici, quali asma o lesioni cerebrali, ma anche individui sani che soggiornano ad alte quote montane”, spiega Zani. “Mentre sappiamo che l’ipossia, specie se grave, può avere effetti sulla memoria o sulla capacità di calcolo, lo studio sui sistemi di vigilanza è del tutto inedito. Per indagare l’influenza sui network cerebrali che regolano l’attenzione visuo-spaziale, un campione è stato sottoposto a due sessioni sperimentali in cui i 16 partecipanti respiravano aria impoverita di ossigeno, che simula la condizione atmosferica a circa 4.200 m di altezza. Dopo due ore ogni partecipante è stato sottoposto ad alcuni compiti: rispondere il più velocemente possibile premendo un tasto alla vista di stimoli target che comparivano in diverse zone dello spazio visivo (preceduti o meno da segnali indicatori), oppure scegliere quale tra due dita usare per la risposta a seconda dello stimolo percepito”.

Durante l’esecuzione, l’attività bioelettrica cerebrale (Erp) è stata registrata utilizzando 128 sensori, monitorando così il variare della funzionalità in relazione ai compiti e alla stimolazione visiva. “In condizione di ipossia, la velocità di risposta era rallentata in tutti i compiti, tranne in quello in cui gli stimoli non erano preceduti da un preavviso; inoltre l’entità della risposta bioelettrica cerebrale agli stimoli visivi era ridotta di alcuni microvolt rispetto alla condizione di aria ossigenata”, spiega Alice Mado Proverbio. “In generale, le differenze rilevate indicano come anche una lieve ipossia agisca sul sistema cerebrale di regolazione dello stato di allerta, compromettendo la velocità di risposta agli stimoli. Il dato è particolarmente rilevante data la riduzione moderata di ossigeno praticata: il 12,5% in meno della quantità normale”.

“Grazie alla tecnica di risonanza magnetica tridimensionale Loreta (Low resolution electromagnetic tomography) è stato possibile inoltre evidenziare un’attivazione della corteccia cingolata anteriore mediale e del giro para-ippocampale dell’emisfero sinistro che suggeriscono uno stato di sforzo o sofferenza indotta dall’ipossia”, conclude Zani. “I dati emersi hanno importanti implicazioni per gli individui che operano in ambienti estremi, per lo studio dei processi nervosi implicati negli stati di coscienza e nei pazienti in stato di sofferenza cerebrale. Rilevanti risultano inoltre gli effetti dello stress da esposizione prolungata ad ambiente pressurizzato, qual è quello degli aerei (ipossiemia da volo) o all’aria condizionata al livello del mare (ipossia normobarica), dove manca il ricambio di aria naturale”.

Info: ufficio stampa Cnr

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