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Agostino Da Polenza: alpinismo fallito?

Agostino Da Polenza al K2, estate 2014 (Photo M. Zanga)
Agostino Da Polenza al K2 durante la spedizione “K2 60 years later” (Photo M. Zanga)

BERGAMO – “Gli alpinisti hanno sempre rifiutato “ideologicamente” le gare o la misura qualitativa e quantitativa del loro alpinismo, con questo alienando al grande pubblico la possibilità di riconoscere i bravi da quelli meno”. Questa, secondo Agostino Da Polenza, una delle principali ragioni a causa delle quali l’alpinismo, oggi, è davvero “moribondo”. Il celebre alpinista e presidente dell’Associazione EvK2Cnr ha espresso il suo pensiero sulla questione dell’alpinismo “fallito” sulla quale, in sostanza, dà ragione a Reinhold Messner. Sottolineando però come delle cose nuove, e belle, stiano comunque accadendo.

“Caro Maurizio, sì, ho letto il tuo pezzo sull’alpinismo defunto – scrive Da Polenza sottoforma di una risposta all’opinione di Maurizio Gallo, che abbiamo pubblicato qualche giorno fa -. Avevo letto anche quello di Messner e di Gogna. Non vorrei fare l’ecumenico, mi si addice poco, ma trovo quanto ha scritto Messner vero. L’alpinismo “eroico” dei suoi e in parte nostri tempi è morto o è molto moribondo. C’è un nuovo alpinismo che purtroppo poco conosco che è quello dei giovani, molti dei quali hanno un Dna che certamente è riconducibile all’alpinismo eroico ma che si esprime oggi con altre linguaggi, modalità e gesti.

Del resto credo si convenga che l’alpinismo di Boccalatte, Preuss o Comici era già molto diverso da quello di Messner del “7° grado”, dei quattordici 8000 senza ossigeno. I tempi, per fortuna, cambiano. Prenderne atto è positivo, riconoscere i pregi, l’innovazione , la freschezza dell’alpinismo (e non solo) delle giovani e giovanissime generazioni, ovunque esso si esprima, mi sembra un buon esercizio per invecchiare serenamente e felici. Credo sia questo che tu e Gogna sostenete.

Sulla questione della misurabilità delle prestazioni alpinistiche , che dirti, è storia vecchia. Anche i premi come il “Piolet d’or” sono il segno di una valutazione e di una misura. Eppure gli alpinisti hanno sempre rifiutato “ideologicamente” le gare o la misura qualitativa e quantitativa del loro alpinismo, con questo alienando al grande pubblico la possibilità di riconoscere i bravi da quelli meno. E – si sa – il pubblico, se di questo si vuol parlare, ha bisogno di sapere chi arriva primo, secondo , terzo…

Pensa a come viene considerato persino l’ossigeno, elemento del tutto naturale e “buono”, ma che se utilizzato in alta quota modifica significativamente la prestazione di chi l’assume configurandosi di fatto come doping nell’eccezione che internazionalmente viene riconosciuta a questa pratica. In alpinismo il suo uso viene sminuito, messo sotto traccia, nascosto in modo che la prestazione degli ossigenati (e ce n’è, di super-ossigenati) si parifichi nella finzione a quella degli atleti veri che la prestazione la effettuano con i loro polmoni, cuore, gambe e cervello.

L’alpinismo al “pubblico” in generale e perfino a quello degli appassionati, ha sempre fornito non degli atleti ma degli “eroi” epici. Bonatti lo era di certo, anche se rifiutava la definizione, e pure Messner lo è in buona sostanza , come Cassin e qualcun altro. Tutti grandissimi, anche atleticamente, tutti fanno parte della storia dell’alpinismo.

Peraltro le gare di arrampicata, in tutte le loro evoluzioni, in forza della loro misurabilità e della passione del grande pubblico, sono diventate uno sport grandemente seguito e compreso, il Rock Master ne è l’esempio”.

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3 Commenti

  1. Ho letto con attenzione tutti gli esimi pareri sulla questione sollevata da Messner, senza che lui mai e poi mai volesse accusare o fare polemica.
    C’è un punto secondo me fondamentale. Il fatto che oggi un alpinista abbia più mezzi tecnici per compiere imprese sempre più difficili è un cambio dei tempi, che naturalmente sempre c’è stato e sempre ci sarà. E’ giusto così, anche perchè si diminuiscono di molto i rischi. Ora, dire che siccome oggi si usano più mezzi allora l’alpinismo tradizionale è morto, è un’ovvietà oltre che una questione di buon senso. Non vedo quindi dove stia il problema. Se non fosse che Messner, secondo me ingenuamente, fa capire che oggi l’avventura “di una volta” non esiste più. Se parliamo di avventura interiore, beh quella ci sarà sempre. Se parliamo di esplorazione, una partete vergine estrema è avventura pura. Un 8000 d’inverno è avventura pura. E via dicendo.

  2. E’ sicuramente fallito l’alpinismo “collezionista”; è fallito l’alpinismo di chi ne ha fatto un mestiere e si è posto al vertice… invece ogni nuova generazione alza l’asticella..e le imprese di Urubko, Fowler e della cordata Allan Allen sulla Mazeno Ridge dimostra che non solo l’alpinismo è vivo ma ha ampi spazi per raggiungere livelli neanche immaginabili…

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