Alpinismo

Caso Zavka: manca un piccolo passo

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BERGAMO — Era molto atteso. Almeno dagli appassionati di montagna e alpinismo. Ieri sera Rai 2 ha messo in onda il reportage realizzato da Marco Mazzocchi sulla spedizione "K2 freedom" che il 20 luglio scorso ha raggiunto la vetta del K2, ma è costata la vita al ternano Stefano Zavka (nella foto, in un momento della trasmissione). 

Un prodotto ben fatto. Con la tecnica tipica del reportage. Avvincente per certi versi, drammatico per altri. Splendide le immagini e la fotografia. Un po’ recitate talune parti di contorno. Ma questi sono solo aspetti tecnici che poco importano.
 
Agli appassionati, crediamo, interessava soprattutto la ricostruzione dei momenti salienti della vicenda. Quei due giorni in cui – come sottolinea Mazzocchi stesso – la spedizione passa dal sogno all’incubo.
 
Ebbene, nonostante la profusione di mezzi, immagini e audio, poco è stato chiarito della morte di Stefano Zavka. Anche perchè al "succo" della questione vengono dedicati solo 15 minuti su un totale di un’ora e 10.
 
La scelta può essere dettata da due motivi. Il primo: l’autore non ha voluto indugiare su una vicenda drammatica ed estremamente dolorosa. Il secondo: tutta la sceneggiatura della trasmissione è stata concepita in ordine cronologico e quindi la parte "dell’incubo" finisce per essere penalizzata rispetto a quella – decisamente più lunga – dell’arrivo in vetta (il sogno).
 
Del tutto assente, ahìnoi, l’analisi. Ma forse non era questo l’obiettivo del reportage. Peccato, perchè il risultato è che lo spettatore resta con l’amaro in bocca. Ad attendere una spiegazione sulla morte di Zavka che non è mai arrivata. Le cose che non quadrano in questa vicenda le abbiamo scritte. E, sebbene questo video abbia il pregio del racconto in presa diretta, le confermiamo.
 
Concentriamoci sull’elemento determinante della vicenda. Ovvero l’arrivo, in tarda serata, di Vielmo e Zavka sulla vetta del K2. Le immagini girate dai due sono a dir poco spettacolari. Con il K2 che allunga la sua ombra meravigliosa quanto sinistra sulle montagne sottostanti.
 
Accompagnati da un’attenta colonna sonora che allunga oscuri presagi, Zakva e Vielmo compiono i primi passi in discesa. Sono quelle le ultime istantanee – da brivido – in cui compare il povero Zavka. Sono il testamento di un alpinista che realizzava il suo sogno, consegnandolo drammaticamente ai posteri.
 
Lo ha capito subito, al campo base, il giornalista Claudio Tessarolo. Nel suo pianto sincero c’è tutta la preoccupazione e la consapevolezza di quanto sta per accadere: sono pochi quelli che hanno sfidato il K2 a quell’ora e lo possono ancora raccontare. 
 
Poi, ecco i momenti che contano. Quelli della drammatica discesa verso campo 4. Le comunicazioni, alle 23 di venerdì 20 luglio, sono compresibili, nonostante il maltempo in agguato. Sono comprensibili quelle fra il campo base e il Campo 4 dove si trova Nardi. E anche quelle fra Nardi e il disorientato Vielmo. Non ci sono contatti diretti invece con Stefano Zavka. Semplicemente perchè, nonostante fosse l’ultimo della fila, Zavka – inspiegabilmente – non aveva con sé la radio.
 
Alle 23.02 – riporta il sottopancia – campo base e campo 4 comunicano fra loro e cercano di indicare all’esausto Vielmo la via giusta per il campo 4. Ce la faranno grazie alla radio e a una luce. E’ singolare, però, che in tutte le comunicazioni riportate (che non sono comunque la totalità dei messaggi scambiati) nessuno faccia accenno all’altro: a Stefano Zavka. Come se l’alpinista ternano, l’ultimo della fila, non esistesse.
 
Se ne ricorda solo Mazzocchi nelle sua ricostruzione a posteriori. Quando dice: "Dalle ultime parole di Daniele e Mario ci sembra di capire che il ricongiungimento a campo 4 è avvenuto. Attendiamo comunicazioni più precise invano. Andiamo a riposare convinti che Daniele, Mario e Stefano siano a campo 4. Michele addirittura a campo 3".
 
E questo è uno dei passaggi più discussi dell’intera vicenda, almeno dal punto di vista alpinistico. Chi ha fatto spedizioni in alta quota sa bene che lassù non c’è posto per la presunzione. A 8000 metri d’altezza la "presunzione di un arrivo" non è "un arrivo". Nell’alpinismo in alta quota – sostengono tutti gli esperti – non deve esistere il "ci sembra di capire". La corretta procedura imporrebbe al campo base di prendere l’iniziativa e chiedere conferma, per mille volte se necessario, dell’arrivo di tutti i componenti della spedizione. Uno alla volta, per giunta. E se il campo base non è in grado di farlo, sarebbe toccato al capospedizione – nella fattispecie Nardi -controllare e confermare al base lo stato di salute dei suoi uomini. Di tutti i suoi uomini.
 
Così non è stato. L’ultima immagine di Mazzocchi "rasserenato" è emblematica: per un’intera notte al campo base si è creduto quello che non era. E nel fotogramma succesivo, quello che sfuma al nero verso il giorno dopo, in realtà ci sono la morte di un uomo e un vuoto di spiegazioni che mette i brividi.
 
La narrazione riprende alle 8,20 del mattino seguente (presumibilmente nove ore dopo la scomparsa di Zavka). Nardi chiama il campo base. Tessarolo in assoluta buona fede si chiede se i quattro lassù siano davvero tutti insieme. Mazzocchi, bontà sua, non ha ancora "fiutato" che qualcosa possa essere andato storto.
 
"Stiamo per scendere" gli dice Nardi alla radio gracchiante. E Mazzocchi gli chiede: "Stiamo per scendere, ovvero tu Mario e Stefano?". La risposta di Nardi fa gelare il sangue: "Mi dispiace Marco, ma credo che scenderemo solo in tre". "Che vuol dire scenderemo solo in tre?" ribatte concitato il giornalista. Ed ecco la drammatica verità "Stefano – dice Nardi affranto – stanotte non è tornato in tenda". Seguono 20 secondi di silenzio che dicono più di mille parole.
 
Mazzocchi affonda il volto nelle mani. Poi riprende, incredulo: "Scusa Daniele che stai dicendo?". "La situazione qua è difficilissima – risponde l’alpinista – perchè tira forte il vento. Il vento, la neve. Ieri sera è stato un macello, eravano distrutti". Mazzocchi, sempre più preoccupato, lo incalza: "Ma Stefano dov’è?". E poi ancora, preso dalla disperazione: "Daniele, ti prego, Stefano dov’è?"
 
Nardi si aggrappa alla speranza: "Qualora fosse riuscito in qualche maniera…ancora non te lo so dire…L’unica speranza è che abbia avuto il coraggio di scendere dalla via Cesen. Era l’ultimo ieri sera, ho visto la lampadina fino a un certo punto. Ma poi non c’è stato, non c’è stato niente da fare. Aveva mezz’ora da Mario. Mario è arrivato, lui invece no".
 
Mazzocchi si fa terreo in volto. Tessarolo non vuole credere a quello che sente. Si passa più volte le mani sul volto come a cercare di scacciare un incubo.  "La situazione qua è difficile – riattacca frettoloso Nardi – è difficile trovare la traccia. Ci stiamo mettendo d’accordo con le altre spedizioni. Tre sono già partite. Noi scenderemo con gli americani". "Daniele puoi spiegarti meglio – richiede Mazzocchi – non abbiamo capito. Stefano non è arrivato al campo 4?"
 
"No, putroppo no" è la risposta dell’alpinista."Abbiamo atteso tutta la notte. Mario è uscito anche a cercarlo. C’era un vento molto forte stanotte… ".
 
Il resto del racconto lo fanno le immagini. Poche, a dire il vero, quelle relative a quanto è accaduto nel resto della giornata. Il reportage sfuma veloce verso la conclusione, con l’arrivo dei supersiti al campo base, la domenica. La trasmissione si chiude con un’intervista a Zavka, registrata giorni prima, in cui l’alpinista non riesce a pronunciare la parola "morte" lassù.
 
Alla fine la trasmissione risulta essere un documento, prezioso ma non risolutivo. Complimenti a Nardi per la vetta. Complimenti a Mazzocchi per il reportage. Ma ad entrambi manca ancora un piccolo passo: quello che potrebbe mettere la parola fine a questa vicenda, una volta per tutte.
 
Wainer Preda
 
  
I commenti dei lettori:
 

Al di là del dolore per la scomparsa di Zavka io penso che tutti gli scalatori di 8000 dovrebbero attenersi alla regola , che è sempre stata  quella di Ed Viesturs, di raggiungere la vetta entro le 14.Se non si è in grado di farlo si deve fare dietrofront, occorre avere la volontà di saper rinunciare, un 8000 in più non vale il prezzo della propria vita che è unica, preziosa e tutta da vivere.Si ritorna, si ritenta, le rinunce non sono mai sconfitte ma solo consapevolezza dei rischi.Sempre per riportare un pensiero di Ed Viesturs,grande scalatore americano di tutti gli 8000 senza ossigeno :”la vetta è una scelta, il ritorno è un obbligo!” 
Eugenio P.

Cosa dire su questa vicenda! Come tante altre, sempre e solo quando ci scappa il morto. Un 8000 non è un gioco da ragazzi. Ci si assume le proprie responsabilità, come in qualsiasi altro sport ad alto rischio.Credo ci siano state molte discrepanze in questa spedizione, un gran caos. Dal programma non si è capito bene l’accaduto, sicuramente i non alpinisti hanno capito acora meno. Dopo non lamentiamoci se nel mondo dell’alpinismo esistono solo critiche. Simone Moro è un gran bravo a rinunciare ma è anche un gran bravo a riproporsi, leggete la sua opinione c’è tutto da imparare.   
Max

Ogni volta che si vede l’alpinismo in tv, è solo per evidenziare tragedie e questo mi dispiace molto, ma è solo un’opinione personale.Detto questo,senza dare spazio alle polemiche dico che tutti gli alpinisti esperti sanno che ci sono limiti di orari per raggiungere la vetta,più si tarda maggiori sono i rischi che si corrono per tornare indietro.Non a caso gli incidenti più gravi capitano proprio nella discesa,sono scelte personali di rischiare o rinunciare alla cima.Sicuramente sarebbe opportuno dotare ogni alpinista di una radio personale, bisogerebbe ampliare il discorso della logistica per quanto riguarda la sicurezza di ogni individuo.Questo è il mio parere personale,con grande rispetto per Zavka e per tutti coloro che hanno perso la vita inseguendo un sogno.    Roberta

ZavKa si è assunto i propri rischi ,la vetta al di là di tutto e non credo che un capospedizione avrebbe potuto intimargli la discesa! (o si?). Non sono d’accordo che qualcuno metta a repentaglio  la propria pelle per salvare l’amico che per propria  scelta ha preferito affrontare un rischio ,al di là del tempo e dell’ora tarda,non stiamo parlando di bambini sprovveduti ,bensì di alpinisti che di k2 ne sanno molto.  E’ andata così ed umanamente provo molta pietà per la famiglia che piange un suo caro, ma non vedo altre responsabilità.
Loreg

Mi sembra strano che si "debba" trovare un colpevole. Questa non era una spedizione commerciale! Non nascondiamoci dietro ad un dito, sappiamo tutti che in queste imprese ognuno fa da se. E poi non esistono più le spedizioni di tipo "militare" col C.S. alla Desio che "ordina". Pace a Stefano Zavka.
S.S. 

Ci sono a mio avviso troppi punti oscuri della vicenda, ha ragione Moro quando dice che chi decide di raggiungere la vetta alle 18,30, se ne assume poi le responsabilità, ma è anche vero che sono scesi in due da quella montagna e solo uno è arrivato… Le mie domande sono: nel momento in cui Stefano ha deciso di cedere il passo al compagno, perchè non c’è stato scambio di mano con la radio (eppure erano entrambe guide alpine)? perche Vielmo ha allungato il passo staccando il suo compagno di mezz’ora? eppure erano 2 guide alpine… Perchè se Vielmo ha allungato il passo Stefano non lo ha fatto? (non era + in condizione di farlo?) E allora se non era in grado di allungare il passo perchè continuare a dire che Stefano stava bene durante la discesa. Ho tanta, troppa, rabbia in corpo per chiudere gli occhi e pensare solo alla fatalità! Ho fatto diverse discese di canyoning insieme a Stefano, e non ho mai conosciuto una guida alpina come lui, una persona come lui, la sua grandezza è stata testimoniata anche quel giorno quando scendendo ha scelto di lasciare il passo al compagno in difficoltà! (peccato che questo si sono scordati di dirlo durante la trasmissione!). Rimane la consapevolezza della grande impresa, del sogno di una vita realizzato. Ciao Stefano, rimarrai un ricordo indelebile.
Domenico Rubino

Il piccolo passo mancante (dal titolo dell’articolo di Wainer Preda) è racchiuso in una frase dello scrittore Vitaliano Brancati: "L’anima è eterna, e quello che non fa oggi, può farlo domani. Il corpo passa presto, e quello che non fa oggi, non potrà farlo mai più."
Alberto P.

Ho cinquant’anni e alle spalle numerose spedizioni in Himalaya. Non mi piacciono le polemiche. Ma sinceramente, devo dire che sono molto perplesso da quanto è accaduto sul K2. Prima di tutto, non c’è stato segnale d’allarme la notte della scomparsa di Stefano Zavka. Nè prima, quando era chiaro che due alpinisti erano in difficoltà, nè poi quando ci si è resi conto che uno dei due non era rientrato in tenda. In questi casi si organizza una squadra di soccorso, composta da alpinisti "freschi" per quanto possibile. L’operazione doveva essere richiesta dal capospedizione o dal liason officer (ufficiale di collegamento) che in questi casi ha compiti di polizia ed è responsabile della vita dei membri della spedizione. Anche se magari era impossibile condurre a termine il soccorso a causa della tempesta di vento, è assurdo che non ci sia stata una richiesta di aiuto via radio alle altre spedizioni.  Dirò di più. La richiesta d’aiuto avrebbe dovuto partire molto tempo prima che Vielmo rientrasse in tenda. Sapendo che era in grossa difficoltà a raggiungere il campo, che aveva bisogno di una luce per trovarlo, tantopiù doveva essere ovvio che Stefano ne avrebbe avuto ancor più bisogno, visto che era senza radio ed era attardato. E non fatemi credere che loro erano convinti che fossero insieme, perchè si chiede, sempre, dove si trovano tutti quelli che sono sulla montagna. Magari non sarebbe cambiato nulla, ma un tentativo andava fatto, per rispetto. E’ questo il dramma. Il capospedizione non può dire che ognuno fa per sè. Lui firma delle carte di responsabilità sul team, e una preoccupazione in piu deve averla per forza, sempre.
Anonimo

Sono rimasta molto scossa dalla trasmissione Rai dell’altra sera. Non ero a conoscenza della spedizione e ho guardato la trasmissione per puro caso, visto che l’argomento mi sembrava interessante.
Il giorno dopo ho cominciato a cercare notizie sul web per capire il più possibile cosa fosse accaduto veramente. E la domanda a cui cerco risposta è se sia mai possibile, ai giorni nostri, con una trasmissione Rai che segue un
avvenimento sportivo così importante, che Stefano non avesse una radio ma al suo posto l’attrezzatura per filmare o fotografare! Al di là dei rischi che si è potuto assumere tentando la vetta nonostante fosse molto tardi, non mi capacito che non avesse nulla per comunicare con gli altri in una situazione così pericolosa. Capisco che l’alta quota possa rendere tutti meno lucidi ma una radio doveva far parte dell’attrezzatura obbligatoria già dalla partenza. Non credo siano da colpevolizzare i compagni, credo piuttosto che la sicurezza della spedizione sia stata trascurata per privilegiare il lato spettacolare dell’avvenimento. Questo, da profana, mi sembra molto superficiale, considerando che la meta era la montagna più pericolosa del nostro pianeta. 
Maria Luisa Consogno

Mi sembra che il capo spedizione abbia badato più ai fatti suoi, alla suo tornaconto personale, alla sua sfida privata, piuttosto che alla sorte di tutti gli altri. Sono molto deluso anche dal resto della ciurma (non da Mazzocchi, un profano che si è trovato in una situazione più grande di lui), mi hanno dato l’impressione che tutti fossero lì per se stessi, fregandosene dei compagni di salita (a parte quando serve un po’ d’acqua o un aiuto con i ramponi). Mi hanno ricordato i tanti sbruffoni che si trovano in montagna. So di essere molto severo ma trovo questa morte assurda. In montagna si muore, ma non così. NON esisteva un capo spedizione. Se fosse esistito avrebbe obbligato Stefano di avere la ricetrasmittente e si sarebbe dato da fare prima di abdicare al “destino” di Zavka. Vergogna.
Giovanna Boselli

Ho visto solo la seconda puntata della trasmissione per caso. Non ne sapevo nulla quindi mi sono messo a guardarla (sono affascinato dal K2, ma non sono un alpinista) senza sapere cosa aspettarmi. Non mi permetto di criticare ciò che ho visto, riporto solo una mia impressione. Ho notato fin dai primi momenti della puntata una atmosfera troppo giocosa, spensierata e un po’ incosciente per una spedizione come quella: non presagiva nulla di buono. Non che dovesse essere triste e mesta, ma per quello che so una spedizione sul K2 esige una concentrazione ed una serietà uniche, essendo di fatto una prova contro la morte. Ho scoperto solo alla fine della trasmissione che uno degli alpinisti era morto, e allora mi sono spiegato quella strana sensazione che ho provato all’inizio…
Valentino Rossi

Il film di Rai due mi ha fatto arrabbiare. Per una volta che l’alpinismo ha spazio in tv. Per una volta che c’è l’occasione di fare informazione, la si fa in modo superficiale e per di più speculando su una tragedia. Non c’è un minimo di storia sul K2. Solo qualche dato sui morti. Sembra che questi alpinisti siano stati i primi a conquistare il K2 dopo il 1954. Uno che non è esperto di alpinismo non si può rendere conto di che cos’è questa montagna.
Anonimo

Da non alpinista, ma da semplice appassionato, condivido quasi tutto di quello che ha detto Moro sulla trasmisssione "K2 il sogno, l’incubo". Vorrei aggiungere che per me è stata una trasmissione estremamente bella ed emozionante. Chiunque di noi, che sia alpinista per professione o per passione, può soltanto immaginare cosa voglia dire scalare una montagna di oltre 8000 metri. Non sono in grado di giudicare sugli aspetti tecnici della scalata, ma guardando il trekking di avvicinamento al campo base (quello fatto da Mazzocchi e Nardi), si capiva che non c’erano trucchi televisivi. A me è sembrato bello che Mazzocchi, sfinito dopo 12 ore di camminata sul ghiacciaio Baltoro, piangesse tra le braccia di Nardi; per la sua estrema verità, perchè ci ha fatto toccare con mano la fatica fatta, l’impegno profuso; non si è nascosto alle telecamere (come spesso fanno certi personaggi televisivi). Il fatto della tragedia di Zavka è grave, ma fa parte dei rischi che tutti corriamo ogni giorno: è molto toccante l’intervista a Stefano, trasmessa nel finale della seconda puntata, in cui lui stesso dice che in autostrada si rischia anche di più, per lavoro magari, mentre qui sul K2 lo si fa per dare vita a delle emozioni… Credo che queste trasmissioni siano da mandare in onda in prima serata; non ci si deve vergognare dei fallimenti, qui tutto era vero, purtroppo anche il finale. In Tv ci propinano delle schifezze (come i vari "reality show" che imperversano) che bisognerebbe essere decerebrati per non accorgersi di quante falsità contengano. Comunque, sono contento di essere stato incollato (una volta tanto) al televisore fino all’una di notte per vedere la fine del programma.Saluti.
Renzo Becherelli 

Non mi sento di dare un’opinione,conoscevamo Stefano personalmente. La cosa piu’ triste e’ stata spiegarla a mio figlio Kristian (12 anni) appassionato anche lui di montagna. E chiaramente a mia moglie. Adesso Stefano non lo vedremo piu’ ma rimarra’ sempre nei nostri pensieri, quando andremo al Gran Sasso, a Pale, a Ferentillo eccetera. E siamo convinti che chiunque abbia conosciuto Stefano, condividera’ questo. Tutti sappiamo che la montagna puo’ riservare delle brutte sorprese, ma si ama comunque. Ma parlare per parlare non serve.
Filippo Strati
 
Ho visto la trasmissione Rai, ma, senza avere la pretesa di giudicare nessuno, voglio esprimere tutte le mie riserve su questo tipo di spettacolo. Una spedizione come quella, la ascesa del K2, avrebbe richiesto tutt’altro approccio. Ho avuto in qualche momento la sensazione di assistere ad una trasmissione stupida, quasi inconsapevole della durezza delle prove che avrebbero affrontato gli alpinisti e incapace di esprimere le ragioni più intime che li inducono comunque ad affrontarle. Questa specie di telecronaca della morte di un uomo mi ha veramente deluso e avvilito. Ma soprattutto mi chiedo: al campo base non erano consapevoli di dover assolutamente impedire la salita alla vetta dopo una certa ora? Io non sono certo un esperto, ma chiunque abbia letto qualche libro sa che il rischio diventa mortale se si continua a salire oltre le primissime ore del pomeriggio.
Rolando Paoletti

salve a tutti …
al di la’ del fatto che noi parliamo da posti riscaldati e comodi e chi va lassu’ é esposto a ben altro clima, l’unico vero grosso neo che mi pare di trovare sta nel modo in cui il capo-spedizione ha gestito l’ascesa ..  in quegli ambienti nulla puo’ essere lasciato al caso, gia’ la natura ci pensa di suo a dettar legge …  la mancanza di una radio in piu’, la perdita di ore preziose per la ricerca, nel "dubbio" dell’arrivo al campo 4, Sono pecche che potevano esser gestite e in parte programmate, ed e’ proprio a questo che dovrebbe servire un CAPO-spedizione, che possibilmente dal campo base, o da qualche campo alto, possa con lucidita’ giudicare e guidare .. poi gli alpinisti decidono da se’ , con la mente, il cuore, con la montagna e la divinita’ che vi risiede .. e si prendono i rischi che credono giusti in quel momento .. ma non si possono omettere, precedentemente, banali accorgimenti tecnici, come una radio !!!
onore a Stefano e onore al suo K2 ..
Vince. (Bolzano)

Non ci sono scuse, un compagno si aspetta SEMPRE! E’ una Vergogna!
Vertical71

Ho visto anch’io l’altra sera il reportage di rai2 con mio figlio Lorenzo (17 anni) educato alla montagna fin da piccolo.
Alla fine guardandoci negli occhi ci siamo chiesti: "Ma ne valeva la pena?".
Neppure la più bella montagna del mondo, la montagna perfetta, quella che riempie i nostri sogni più affascinanti può essere barattata con la vita di un uomo, con le sue passioni, il suo coraggio, l’impavido desiderio di vivere. L’alpinismo non può essere "la ricerca della libertà" a tutti i costi: è qualcosa di più nobile, più prossimo al desiderio della vita che a quello della morte. Per favore, basta con le polemiche e la voglia di un giornalismo sempre più "macabro e spettacolare".
Io, "malato di montagna", voglio ricordare Stefano che arrampica sulle cime più belle delle nostre montagne, pieno di allegria e di quell’ inesauribile avventura che ci ostiniamo a chiamare felicità.
Claudio Colombo.

Avendo seguito via internet, tutta la spedizione, e di conseguenza tutti i vari commenti sulla vicenda. Penso che la montagna, a prescindere dalla sua altezza, debba essere sempre temuta ed amata. Temuta, per le fatiche sia fisiche che psichiche. Amata, per il rispetto della nostra vita. Per quanto mi riguarda, per quello che ho visto e letto, si è perso il concetto e la  filosofia nell’andare in montagna. L’umiltà, e il rispetto della montagna, pagano. In caso contrario si paga la vita a caro prezzo.
Grazie
Sandro Costantini


Penso che sia estremamente difficile dare un giudizio su una situazione che è così lontana dalla normale realtà. Solo chi è stato a quelle quote, chi si è trovato in difficoltà oltre gli 8000 metri, può sapere in parte cosa può essere successo. Certo è che è già difficile per noi normali “alpinisti della domenica” capire i segnali che ci arrivano e che ci indicano insistentemente che c’è qualche cosa che non sta andando per il verso giusto, che forse dovremmo rientrare, figuriamoci in una situazione dove l’assenza di ossigeno non contribuisce alla piena lucidità e capacità di valutazione. Nessuno credo possa permettersi di criticare la scelta che Stefano e Mario hanno fatto arrivando in cima a quell’ ora. Si, tutti i famosi alpinisti danno l’indicazione che oltre un certo orario, anche a pochi metri dalla cima, bisogna rinunciare e tornare giù, ma è comunque una scelta personale che nessuno può imporre. L’alpinismo è libertà, libertà di prendersi i propri rischi, si possono dare consigli, ma alla fine è la singola persona che decide.
Si, forse Mario e Stefano, durante la discesa, sarebbero dovuti rimanere vicini, visto anche che avevano solo una radio, però c’è da dire che bisogna trovarsi a oltre 8000 metri, con il buio che avanza, con una tempesta che incombe, con la fatica, con la traccia che forse non è più tanto visibile, con un traverso che non è proprio banale (le immagini dell’altra sera erano eloquenti a tal proposito) e poi giudicare.
Penso che le immagini più emblematiche fossero quelle degli ultimi passi prima della vetta, mi hanno dato l’impressione di una sfida non più fisica, ma mentale, una sfida con il proprio spirito, una sfida che al di là di tutto Stefano ha vinto !
Carletti Claudio

Innanzitutto è scomparsa una persona e questo imporrebbe, da parte di tutti, una cautela e una morigeratezza nelle polemiche. In secondo luogo, per quanto concerne il reportage su rai2, vorrei proprio sperare che, prima della sua messa in onda, gli autori abbiano chiesto e ricevuto da parte della famiglia Zavka realtiva autorizzazione. Poi, da casa o dalla redazione siamo tutti bravi a individuare gli errori e/o le ingenuità che certamente sono state comme
sse, ma a 8000 m, nel mezzo di una bufera, dopo 12 ore si salita e 4 di discesa forse si hanno le idee un po’ più confuse e ritengo, anche se non mi sono mai trovato in quelle situazioni, che non sia facile uscire dalla tendina e andare a cercare una persona con quelle condizioni meteo…insomma parliamoci chiaro…ognuno pensa anche alla sua pelle! Personalmete ritengo ,non solo in questo caso ma in assoluto, che sia molto, molto rischioso arrivare su una cima di 8000 m così tardi (sopratutto sul K2!) ma mi sembra che altri, a cui è andata bene, abbiano fatto lo stesso; pesiamo ai primi salitori di questa montagna (Compagnoni e Lacedelli) o, senza andare molto lontano nel tempo, agli "eroi" della Nord del GII: anche loro mi sembra siano arrivati in vetta dopo le otto di sera e anche lì le condizioni meteo e (per di più!) la discesa erano due grosse incognite! Sono stati prima di tutto bravi e in secondo luogo…fortunati! Il povero Zavka invece è stato meno fortunato ed ha pagato cara la decisione della "vetta a tutti i costi"! Beninteso, magari io in quella situazione avrei fatto lo stesso, quando hai il sogno di una vita a 200 m di distanza girare i tacchi è una violenza che fai a te stesso mentre "forzare il tempo" per raggiungere la meta parrebbe la cosa più ovvia…capita a 4000 m…figuriamoci a 8000! Quindi francamente non mi sento di giudicare o di colpevolizzare nessuno!…solamente complimenti a Compagnoni che sul GII ha preso una decisione che denota una lucidità e una coscienza incredibili!!
Roberto Chillemi


Avendo letto della vicenda, avendo visto il reportage su Rai2 e leggendo molti libri di alpinismo il primo pensiero va all’ora della vetta. Era davvero troppo tardi. A quel punto i rischi in discesa erano davvero enormi, anche in considerazione del fatto che non c’era un percorso di corde fisse fino al C4. Posso soltanto provare a immaginare la stanchezza dopo uno sforzo tanto grande, ma rimango assai perplesso avendo la sensazione che Stefano fu lasciato a se stesso in mezzo al buio e alla bufera. Forse Mario Vielmo lo avrebbe dovuto aspettare o, comunque, sincerarsi che lo stesse veramente seguendo. Come poteva pensare trovandosi lui stesso in difficoltà che Stefano potesse raggiungere il C4, per giunta senza radio? Non possiamo permetterci di fare giudizi, noi non eravamo la. Ma rimangono molte perplessità sulla gestione della spedizione e sull’orario in cui è stata raggiunta la vetta, forse il capo spedizione avrebbe dovuto “ordinare” di scendere.
Diego Favareto

A 8000metri sono cose che capitano…avere la sera prima la conferma che Stefano non era tornato non lo avrebbe salvato comunque. Lassu sei solo contro la montagna. Ho letto che gli americani per salvare Gilkey (quello della piramide commemorativa alla base del k2) rischiarono di morire in 6 e si salvarono per una picozza piantata da schonig (credo si scriva cosi) nonostante tutto gilkey mori lo stesso investito da una valanga.
Ed Viesturs il forte scalatore americano che ha fatto tutti i 14 "8.000" dice sempre che arrivare in cima è facoltativo, tornare a casa è obbligatorio, infatti lui è tornato indietro molte volte a 20 30 metri dalla vetta perche vedeva i rischi troppo elevati. Questo credo abbia condannato Stefano e centinaia di altri alpinisti morti, ovvero la poca lucidità dovuta alla stanchezza ed all’altezza che non ti fa capire quando si è raggiunto il punto di non ritorno.
Purtroppo queste tragedie sono destinate a ripetersi..
Alberto Buccianti

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