Caso Zavka: manca un piccolo passo
BERGAMO — Era molto atteso. Almeno dagli appassionati di montagna e alpinismo. Ieri sera Rai 2 ha messo in onda il reportage realizzato da Marco Mazzocchi sulla spedizione "K2 freedom" che il 20 luglio scorso ha raggiunto la vetta del K2, ma è costata la vita al ternano Stefano Zavka (nella foto, in un momento della trasmissione).
Eugenio P.
Cosa dire su questa vicenda! Come tante altre, sempre e solo quando ci scappa il morto. Un 8000 non è un gioco da ragazzi. Ci si assume le proprie responsabilità, come in qualsiasi altro sport ad alto rischio.Credo ci siano state molte discrepanze in questa spedizione, un gran caos. Dal programma non si è capito bene l’accaduto, sicuramente i non alpinisti hanno capito acora meno. Dopo non lamentiamoci se nel mondo dell’alpinismo esistono solo critiche. Simone Moro è un gran bravo a rinunciare ma è anche un gran bravo a riproporsi, leggete la sua opinione c’è tutto da imparare.
Max
Ogni volta che si vede l’alpinismo in tv, è solo per evidenziare tragedie e questo mi dispiace molto, ma è solo un’opinione personale.Detto questo,senza dare spazio alle polemiche dico che tutti gli alpinisti esperti sanno che ci sono limiti di orari per raggiungere la vetta,più si tarda maggiori sono i rischi che si corrono per tornare indietro.Non a caso gli incidenti più gravi capitano proprio nella discesa,sono scelte personali di rischiare o rinunciare alla cima.Sicuramente sarebbe opportuno dotare ogni alpinista di una radio personale, bisogerebbe ampliare il discorso della logistica per quanto riguarda la sicurezza di ogni individuo.Questo è il mio parere personale,con grande rispetto per Zavka e per tutti coloro che hanno perso la vita inseguendo un sogno. Roberta
ZavKa si è assunto i propri rischi ,la vetta al di là di tutto e non credo che un capospedizione avrebbe potuto intimargli la discesa! (o si?). Non sono d’accordo che qualcuno metta a repentaglio la propria pelle per salvare l’amico che per propria scelta ha preferito affrontare un rischio ,al di là del tempo e dell’ora tarda,non stiamo parlando di bambini sprovveduti ,bensì di alpinisti che di k2 ne sanno molto. E’ andata così ed umanamente provo molta pietà per la famiglia che piange un suo caro, ma non vedo altre responsabilità.
Loreg
Mi sembra strano che si "debba" trovare un colpevole. Questa non era una spedizione commerciale! Non nascondiamoci dietro ad un dito, sappiamo tutti che in queste imprese ognuno fa da se. E poi non esistono più le spedizioni di tipo "militare" col C.S. alla Desio che "ordina". Pace a Stefano Zavka.
S.S.
Ci sono a mio avviso troppi punti oscuri della vicenda, ha ragione Moro quando dice che chi decide di raggiungere la vetta alle 18,30, se ne assume poi le responsabilità, ma è anche vero che sono scesi in due da quella montagna e solo uno è arrivato… Le mie domande sono: nel momento in cui Stefano ha deciso di cedere il passo al compagno, perchè non c’è stato scambio di mano con la radio (eppure erano entrambe guide alpine)? perche Vielmo ha allungato il passo staccando il suo compagno di mezz’ora? eppure erano 2 guide alpine… Perchè se Vielmo ha allungato il passo Stefano non lo ha fatto? (non era + in condizione di farlo?) E allora se non era in grado di allungare il passo perchè continuare a dire che Stefano stava bene durante la discesa. Ho tanta, troppa, rabbia in corpo per chiudere gli occhi e pensare solo alla fatalità! Ho fatto diverse discese di canyoning insieme a Stefano, e non ho mai conosciuto una guida alpina come lui, una persona come lui, la sua grandezza è stata testimoniata anche quel giorno quando scendendo ha scelto di lasciare il passo al compagno in difficoltà! (peccato che questo si sono scordati di dirlo durante la trasmissione!). Rimane la consapevolezza della grande impresa, del sogno di una vita realizzato. Ciao Stefano, rimarrai un ricordo indelebile.
Domenico Rubino
Il piccolo passo mancante (dal titolo dell’articolo di Wainer Preda) è racchiuso in una frase dello scrittore Vitaliano Brancati: "L’anima è eterna, e quello che non fa oggi, può farlo domani. Il corpo passa presto, e quello che non fa oggi, non potrà farlo mai più."
Alberto P.
Ho cinquant’anni e alle spalle numerose spedizioni in Himalaya. Non mi piacciono le polemiche. Ma sinceramente, devo dire che sono molto perplesso da quanto è accaduto sul K2. Prima di tutto, non c’è stato segnale d’allarme la notte della scomparsa di Stefano Zavka. Nè prima, quando era chiaro che due alpinisti erano in difficoltà, nè poi quando ci si è resi conto che uno dei due non era rientrato in tenda. In questi casi si organizza una squadra di soccorso, composta da alpinisti "freschi" per quanto possibile. L’operazione doveva essere richiesta dal capospedizione o dal liason officer (ufficiale di collegamento) che in questi casi ha compiti di polizia ed è responsabile della vita dei membri della spedizione. Anche se magari era impossibile condurre a termine il soccorso a causa della tempesta di vento, è assurdo che non ci sia stata una richiesta di aiuto via radio alle altre spedizioni. Dirò di più. La richiesta d’aiuto avrebbe dovuto partire molto tempo prima che Vielmo rientrasse in tenda. Sapendo che era in grossa difficoltà a raggiungere il campo, che aveva bisogno di una luce per trovarlo, tantopiù doveva essere ovvio che Stefano ne avrebbe avuto ancor più bisogno, visto che era senza radio ed era attardato. E non fatemi credere che loro erano convinti che fossero insieme, perchè si chiede, sempre, dove si trovano tutti quelli che sono sulla montagna. Magari non sarebbe cambiato nulla, ma un tentativo andava fatto, per rispetto. E’ questo il dramma. Il capospedizione non può dire che ognuno fa per sè. Lui firma delle carte di responsabilità sul team, e una preoccupazione in piu deve averla per forza, sempre.
Anonimo
Sono rimasta molto scossa dalla trasmissione Rai dell’altra sera. Non ero a conoscenza della spedizione e ho guardato la trasmissione per puro caso, visto che l’argomento mi sembrava interessante.
Il giorno dopo ho cominciato a cercare notizie sul web per capire il più possibile cosa fosse accaduto veramente. E la domanda a cui cerco risposta è se sia mai possibile, ai giorni nostri, con una trasmissione Rai che segue un avvenimento sportivo così importante, che Stefano non avesse una radio ma al suo posto l’attrezzatura per filmare o fotografare! Al di là dei rischi che si è potuto assumere tentando la vetta nonostante fosse molto tardi, non mi capacito che non avesse nulla per comunicare con gli altri in una situazione così pericolosa. Capisco che l’alta quota possa rendere tutti meno lucidi ma una radio doveva far parte dell’attrezzatura obbligatoria già dalla partenza. Non credo siano da colpevolizzare i compagni, credo piuttosto che la sicurezza della spedizione sia stata trascurata per privilegiare il lato spettacolare dell’avvenimento. Questo, da profana, mi sembra molto superficiale, considerando che la meta era la montagna più pericolosa del nostro pianeta.
Maria Luisa Consogno
Mi sembra che il capo spedizione abbia badato più ai fatti suoi, alla suo tornaconto personale, alla sua sfida privata, piuttosto che alla sorte di tutti gli altri. Sono molto deluso anche dal resto della ciurma (non da Mazzocchi, un profano che si è trovato in una situazione più grande di lui), mi hanno dato l’impressione che tutti fossero lì per se stessi, fregandosene dei compagni di salita (a parte quando serve un po’ d’acqua o un aiuto con i ramponi). Mi hanno ricordato i tanti sbruffoni che si trovano in montagna. So di essere molto severo ma trovo questa morte assurda. In montagna si muore, ma non così. NON esisteva un capo spedizione. Se fosse esistito avrebbe obbligato Stefano di avere la ricetrasmittente e si sarebbe dato da fare prima di abdicare al “destino” di Zavka. Vergogna.
Giovanna Boselli
Ho visto solo la seconda puntata della trasmissione per caso. Non ne sapevo nulla quindi mi sono messo a guardarla (sono affascinato dal K2, ma non sono un alpinista) senza sapere cosa aspettarmi. Non mi permetto di criticare ciò che ho visto, riporto solo una mia impressione. Ho notato fin dai primi momenti della puntata una atmosfera troppo giocosa, spensierata e un po’ incosciente per una spedizione come quella: non presagiva nulla di buono. Non che dovesse essere triste e mesta, ma per quello che so una spedizione sul K2 esige una concentrazione ed una serietà uniche, essendo di fatto una prova contro la morte. Ho scoperto solo alla fine della trasmissione che uno degli alpinisti era morto, e allora mi sono spiegato quella strana sensazione che ho provato all’inizio…
Valentino Rossi
Il film di Rai due mi ha fatto arrabbiare. Per una volta che l’alpinismo ha spazio in tv. Per una volta che c’è l’occasione di fare informazione, la si fa in modo superficiale e per di più speculando su una tragedia. Non c’è un minimo di storia sul K2. Solo qualche dato sui morti. Sembra che questi alpinisti siano stati i primi a conquistare il K2 dopo il 1954. Uno che non è esperto di alpinismo non si può rendere conto di che cos’è questa montagna.
Anonimo
Da non alpinista, ma da semplice appassionato, condivido quasi tutto di quello che ha detto Moro sulla trasmisssione "K2 il sogno, l’incubo". Vorrei aggiungere che per me è stata una trasmissione estremamente bella ed emozionante. Chiunque di noi, che sia alpinista per professione o per passione, può soltanto immaginare cosa voglia dire scalare una montagna di oltre 8000 metri. Non sono in grado di giudicare sugli aspetti tecnici della scalata, ma guardando il trekking di avvicinamento al campo base (quello fatto da Mazzocchi e Nardi), si capiva che non c’erano trucchi televisivi. A me è sembrato bello che Mazzocchi, sfinito dopo 12 ore di camminata sul ghiacciaio Baltoro, piangesse tra le braccia di Nardi; per la sua estrema verità, perchè ci ha fatto toccare con mano la fatica fatta, l’impegno profuso; non si è nascosto alle telecamere (come spesso fanno certi personaggi televisivi). Il fatto della tragedia di Zavka è grave, ma fa parte dei rischi che tutti corriamo ogni giorno: è molto toccante l’intervista a Stefano, trasmessa nel finale della seconda puntata, in cui lui stesso dice che in autostrada si rischia anche di più, per lavoro magari, mentre qui sul K2 lo si fa per dare vita a delle emozioni… Credo che queste trasmissioni siano da mandare in onda in prima serata; non ci si deve vergognare dei fallimenti, qui tutto era vero, purtroppo anche il finale. In Tv ci propinano delle schifezze (come i vari "reality show" che imperversano) che bisognerebbe essere decerebrati per non accorgersi di quante falsità contengano. Comunque, sono contento di essere stato incollato (una volta tanto) al televisore fino all’una di notte per vedere la fine del programma.Saluti.
Renzo Becherelli
Non mi sento di dare un’opinione,conoscevamo Stefano personalmente. La cosa piu’ triste e’ stata spiegarla a mio figlio Kristian (12 anni) appassionato anche lui di montagna. E chiaramente a mia moglie. Adesso Stefano non lo vedremo piu’ ma rimarra’ sempre nei nostri pensieri, quando andremo al Gran Sasso, a Pale, a Ferentillo eccetera. E siamo convinti che chiunque abbia conosciuto Stefano, condividera’ questo. Tutti sappiamo che la montagna puo’ riservare delle brutte sorprese, ma si ama comunque. Ma parlare per parlare non serve.
Filippo Strati
Ho visto la trasmissione Rai, ma, senza avere la pretesa di giudicare nessuno, voglio esprimere tutte le mie riserve su questo tipo di spettacolo. Una spedizione come quella, la ascesa del K2, avrebbe richiesto tutt’altro approccio. Ho avuto in qualche momento la sensazione di assistere ad una trasmissione stupida, quasi inconsapevole della durezza delle prove che avrebbero affrontato gli alpinisti e incapace di esprimere le ragioni più intime che li inducono comunque ad affrontarle. Questa specie di telecronaca della morte di un uomo mi ha veramente deluso e avvilito. Ma soprattutto mi chiedo: al campo base non erano consapevoli di dover assolutamente impedire la salita alla vetta dopo una certa ora? Io non sono certo un esperto, ma chiunque abbia letto qualche libro sa che il rischio diventa mortale se si continua a salire oltre le primissime ore del pomeriggio.
Rolando Paoletti
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salve a tutti …
al di la’ del fatto che noi parliamo da posti riscaldati e comodi e chi va lassu’ é esposto a ben altro clima, l’unico vero grosso neo che mi pare di trovare sta nel modo in cui il capo-spedizione ha gestito l’ascesa .. in quegli ambienti nulla puo’ essere lasciato al caso, gia’ la natura ci pensa di suo a dettar legge … la mancanza di una radio in piu’, la perdita di ore preziose per la ricerca, nel "dubbio" dell’arrivo al campo 4, Sono pecche che potevano esser gestite e in parte programmate, ed e’ proprio a questo che dovrebbe servire un CAPO-spedizione, che possibilmente dal campo base, o da qualche campo alto, possa con lucidita’ giudicare e guidare .. poi gli alpinisti decidono da se’ , con la mente, il cuore, con la montagna e la divinita’ che vi risiede .. e si prendono i rischi che credono giusti in quel momento .. ma non si possono omettere, precedentemente, banali accorgimenti tecnici, come una radio !!!
onore a Stefano e onore al suo K2 ..
Vince. (Bolzano)
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Non ci sono scuse, un compagno si aspetta SEMPRE! E’ una Vergogna!
Vertical71
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Ho visto anch’io l’altra sera il reportage di rai2 con mio figlio Lorenzo (17 anni) educato alla montagna fin da piccolo. Alla fine guardandoci negli occhi ci siamo chiesti: "Ma ne valeva la pena?".
Neppure la più bella montagna del mondo, la montagna perfetta, quella che riempie i nostri sogni più affascinanti può essere barattata con la vita di un uomo, con le sue passioni, il suo coraggio, l’impavido desiderio di vivere. L’alpinismo non può essere "la ricerca della libertà" a tutti i costi: è qualcosa di più nobile, più prossimo al desiderio della vita che a quello della morte. Per favore, basta con le polemiche e la voglia di un giornalismo sempre più "macabro e spettacolare". Io, "malato di montagna", voglio ricordare Stefano che arrampica sulle cime più belle delle nostre montagne, pieno di allegria e di quell’ inesauribile avventura che ci ostiniamo a chiamare felicità.
Claudio Colombo.
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Avendo seguito via internet, tutta la spedizione, e di conseguenza tutti i vari commenti sulla vicenda. Penso che la montagna, a prescindere dalla sua altezza, debba essere sempre temuta ed amata. Temuta, per le fatiche sia fisiche che psichiche. Amata, per il rispetto della nostra vita. Per quanto mi riguarda, per quello che ho visto e letto, si è perso il concetto e la filosofia nell’andare in montagna. L’umiltà, e il rispetto della montagna, pagano. In caso contrario si paga la vita a caro prezzo.
Grazie
Sandro Costantini
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Carletti Claudio
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Innanzitutto è scomparsa una persona e questo imporrebbe, da parte di tutti, una cautela e una morigeratezza nelle polemiche. In secondo luogo, per quanto concerne il reportage su rai2, vorrei proprio sperare che, prima della sua messa in onda, gli autori abbiano chiesto e ricevuto da parte della famiglia Zavka realtiva autorizzazione. Poi, da casa o dalla redazione siamo tutti bravi a individuare gli errori e/o le ingenuità che certamente sono state comme
sse, ma a 8000 m, nel mezzo di una bufera, dopo 12 ore si salita e 4 di discesa forse si hanno le idee un po’ più confuse e ritengo, anche se non mi sono mai trovato in quelle situazioni, che non sia facile uscire dalla tendina e andare a cercare una persona con quelle condizioni meteo…insomma parliamoci chiaro…ognuno pensa anche alla sua pelle! Personalmete ritengo ,non solo in questo caso ma in assoluto, che sia molto, molto rischioso arrivare su una cima di 8000 m così tardi (sopratutto sul K2!) ma mi sembra che altri, a cui è andata bene, abbiano fatto lo stesso; pesiamo ai primi salitori di questa montagna (Compagnoni e Lacedelli) o, senza andare molto lontano nel tempo, agli "eroi" della Nord del GII: anche loro mi sembra siano arrivati in vetta dopo le otto di sera e anche lì le condizioni meteo e (per di più!) la discesa erano due grosse incognite! Sono stati prima di tutto bravi e in secondo luogo…fortunati! Il povero Zavka invece è stato meno fortunato ed ha pagato cara la decisione della "vetta a tutti i costi"! Beninteso, magari io in quella situazione avrei fatto lo stesso, quando hai il sogno di una vita a 200 m di distanza girare i tacchi è una violenza che fai a te stesso mentre "forzare il tempo" per raggiungere la meta parrebbe la cosa più ovvia…capita a 4000 m…figuriamoci a 8000! Quindi francamente non mi sento di giudicare o di colpevolizzare nessuno!…solamente complimenti a Compagnoni che sul GII ha preso una decisione che denota una lucidità e una coscienza incredibili!!
Roberto Chillemi
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Avendo letto della vicenda, avendo visto il reportage su Rai2 e leggendo molti libri di alpinismo il primo pensiero va all’ora della vetta. Era davvero troppo tardi. A quel punto i rischi in discesa erano davvero enormi, anche in considerazione del fatto che non c’era un percorso di corde fisse fino al C4. Posso soltanto provare a immaginare la stanchezza dopo uno sforzo tanto grande, ma rimango assai perplesso avendo la sensazione che Stefano fu lasciato a se stesso in mezzo al buio e alla bufera. Forse Mario Vielmo lo avrebbe dovuto aspettare o, comunque, sincerarsi che lo stesse veramente seguendo. Come poteva pensare trovandosi lui stesso in difficoltà che Stefano potesse raggiungere il C4, per giunta senza radio? Non possiamo permetterci di fare giudizi, noi non eravamo la. Ma rimangono molte perplessità sulla gestione della spedizione e sull’orario in cui è stata raggiunta la vetta, forse il capo spedizione avrebbe dovuto “ordinare” di scendere.
Diego Favareto
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A 8000metri sono cose che capitano…avere la sera prima la conferma che Stefano non era tornato non lo avrebbe salvato comunque. Lassu sei solo contro la montagna. Ho letto che gli americani per salvare Gilkey (quello della piramide commemorativa alla base del k2) rischiarono di morire in 6 e si salvarono per una picozza piantata da schonig (credo si scriva cosi) nonostante tutto gilkey mori lo stesso investito da una valanga. Ed Viesturs il forte scalatore americano che ha fatto tutti i 14 "8.000" dice sempre che arrivare in cima è facoltativo, tornare a casa è obbligatorio, infatti lui è tornato indietro molte volte a 20 30 metri dalla vetta perche vedeva i rischi troppo elevati. Questo credo abbia condannato Stefano e centinaia di altri alpinisti morti, ovvero la poca lucidità dovuta alla stanchezza ed all’altezza che non ti fa capire quando si è raggiunto il punto di non ritorno.
Purtroppo queste tragedie sono destinate a ripetersi..
Alberto Buccianti
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