Alpinismo

Caso Zavka: le cose ancora da spiegare

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BERGAMO — Sono molti i quesiti ancora aperti sulla scomparsa di Stefano Zavka, avvenuta durante la spedizione K2 Freedom lo scorso 20 luglio. Quesiti a cui nemmeno il memoriale reso pubblico in questi giorni dal capospedizione Daniele Nardi ha dato spiegazione. Abbiamo cercato – inutilmente – lumi nel documento di 11 pagine. Ma insieme ad alcune risposte sono arrivati ulteriori interrogativi.

Dopo aver letto attentamente il memoriale, in questi giorni abbiamo cercato di contattare Nardi. Tutte le telefonate sono andate, ahìnoi, a vuoto. Peccato, perchè – per dovere di cronaca – avremmo voluto chiedere chiarimenti che solo lui, in qualità di responsabile della spedizione, per giunta presente in quei momenti tragici, avrebbe potuto dare.
 
Avremmo voluto chiedergli, per esempio, se si sia fatto un’idea su dove sia finito il povero Stefano Zavka, un alpinista con la testa sulle spalle e le gambe ben piantate a terra. Tanto attratto da quella vetta da tentare di arrivarci nonostante l’ora tarda e una bufera preannunciata.
 
Già, la bufera è uno dei grandi quesiti. Certo lassù si prospettava il finimondo. Una tempesta a 8000 metri è un’esperienza che non si augura a nessuno. Eppure qualcosa non torna nella tempistica.
 
Sì, perchè Nardi racconta di essere arrivato in vetta intorno alle 15.30, ora locale. Riparte intorno alle 16.30. Vielmo e Zavka sono 150 metri più sotto. Il tempo in quel momento è bello (lo testimonia un video girato dagli americani). Eppure Nardi scrive che, più o meno alla stessa ora, Michele Fait rinuncia a scendere verso campo 3 (mille metri più in basso) a causa del vento fortissimo. Dunque, a che ora è arrivata davvero la bufera lassù? E in che punto si trovavano gli alpinisti quando la tempesta li ha raggiunti?
 
E poi, dove si trovavano le corde fisse citate nel memoriale da Nardi? Dalle parti del traverso, al "Collo di bottiglia, o sul pendio verso campo 4? Sono importanti per capire quale strategia di salita (e discesa) avessero gli alpinisti.
 
Alla luce delle condizioni avverse e dell’ora tarda, poi, avremmo voluto chiedere a Nardi perchè, in qualità di capospedizione, non ha "ordinato" a Vielmo e Zavka di tornare indietro. E ci sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sulla questione dei "4 capispedizione", formula che suona tanto come "ognuno fa e decide per sé". 
 
Legittimo, beninteso, a quella quota. Come è legittimo domandare che ne è stato delle comunicazioni fra i quattro alpinisti durante la salita. Nardi dice di aver avuto "strani problemi" con la radio quando doveva parlare con i compagni. Problemi che misteriosamente scompaiono quando il romano arriva in cima al K2. Dove riesce a farsi leggere – dal campo base tremila metri più in basso e attraverso il maltempo in arrivo – i messaggi inviati sul suo sito internet e persino parlare con il padre. 
 
E sempre a proposito di radio, avremmo voluto chiedere – senza acredine o volontà accusatoria alcuna – a Nardi e Vielmo, come mai, durante la discesa, Stefano Zavka sia stato lasciato per ultimo anche se in quel momento era privo di radio. Un circostanza che acquista peso ancora maggiore, visto che Vielmo dice di essersi salvato grazie ai provvidenziali collegamenti radio con Nardi, già a campo 4 mentre la bufera imperversa. Ingenuità, decisione sbagliata, errore di valutazione, panico: aspettiamo indicazioni. Fatto sta che la "singolare" procedura, certamente forzata dagli eventi, avrà un ruolo determinante nella disgrazia.
 
La questione delle drammatiche ore passate a campo 4, poi, merita un approfondimento. Nardi racconta di aver atteso in tenda l’arrivo di Vielmo, dopo avergli indicato la via con una torcia. E che poi Vielmo – giunto in tenda praticamente sfinito – ha tentato di uscire per cercare Zavka, finendo respinto dal vento.
 
E’ vero, in quel momento gli alpinisti erano davvero senza forze e carichi di paura (ci sono le conferme di chi ha ascoltato le loro conversazioni radio dal vicino Broad Peak). Eppure, a campo 4, Nardi e Vielmo non erano soli. Chi altro c’era quella sera? E chi avrebbe potuto improvvisare un pur vano tentativo di soccorso?
 
A noi risulta che lassù, nelle tende accanto a quelle dei due italiani, ci fossero anche spedizioni americane, iraniane, coreane e russe. Inoltre in una di quelle tende c’era Michele Fait della stessa spedizione "K2 Freedom", lì giunto nel pomeriggio e – si presume – abbastanza riposato per tentare un pur difficile soccorso.
 
Ora la domanda è questa: perchè, per tutta la notte, nessuno di questi viene avvertito della scomparsa di Zavka? Perchè, secondo quanto risulta dall’elenco dei contatti radio, non c’è stato alcun tentativo di comunicazione con Fait che aveva la radio sulle stesse frequenze di Vielmo e Nardi? Si dice che Fait non avesse la radio. Che l’avesse abbandonata durante la discesa verso campo 3 e la repentina risalita a campo 4. Tutto può essere. Ma caro Nardi, le sembra verosimile che Fait si privi della radio mentre va incontro a una bufera che vede incombere sopra di sé?
 
Ecco, le comunicazioni sono l’altro quesito da risolvere. Le sette radio e l’imprecisato numero di telefoni satellitari in dotazione agli italiani avevano problemi quella sera? Sì, no, forse. Certo è che, mentre lassù si sta consumando la tragedia, in Italia arriva la notizia ufficiale – diffusa improvvidamente da chi? – che la spedizione è stata un successo. Ora, da dove è saltata fuori una simile notizia, priva della benché minima conferma? E come è arrivata in Italia se le comunicazioni erano impossibili a pochi metri di distanza? Si è trattato, presumibilmente di uno "scivolone". Uno scivolone che per 20 ore faceva credere ai familiari di Zavka di avere ancora un figlio. Vivo.
 
Certo, è probabile che al campo base abbiano preso un granchio. L’ultima comunicazione di Vielmo – che diceva di aver avvistato la luce esposta nella bufera – potrebbe essere stata interpretata come l’arrivo di tutti in tenda. Ma allora perchè, da quanto risulta, dal base non hanno chiesto conferma? Possibile che abbiano ascoltato (solo ascoltato) le parole concitate di Vielmo nella tempesta, senza chiedere se tutti lassù fossero giunti a destinazione? Possibile che non ci sia stato una contatto conclusivo di giornata del tipo "mi confermate che tutti sono in sicurezza e stanno bene?". 
 
E poi ci sono le altre comunicazioni con il campo base. Anzi, il buco di comunicazioni. Venti ore di black-out: tanto il tempo intercorso fra l’ultima comunicazione di Vielmo (ore 23.07 locali) e la segnalazione della scomparsa di Zavka. Sì perchè, stando alla ricostruzione di Nardi, il primo messaggio sulla sparizione di Stefano sarebbe arrivato al campo base solo alle 18.45 del giorno dopo. Come si spiega?
 
Di certo, durante quella mattina, gran parte delle spedizioni lasciano campo 4 in una sorta di rocambolesca fuga dalla bufera. Ma è verosimile pensare che in quelle 20 ore nessuno degli alpinisti sia riuscito a contattare i campi bassi per segnalare la scomparsa di Zavka? E soprattutto, c’era qualcuno che ne era al corrente oltre ai tre italiani?
 
E poi, è possibile che per 20 ore le radio abbiano taciuto e nessuno abbia ascoltato? Da quanto ci risulta ci sarebbe stata invece una comunicazione intorno alle 9 del mattino, ascoltata da altri alpinisti sintonizzati sulle stesse frequenze. Allora, ci chiediamo, qual era il contenuto di quella comunicazione. E, alla fine, dove sta la verità?
 
Ecco, questo avremmo voluto chiedere a Nardi, se ce l’avesse concesso. Per mettere la parola fine su una vicenda tragica e dolorosa. Ma, si sa, parlare con i giornalisti spesso è una scocciatura…
 
Wainer Preda
 
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