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Più dati e più condivisione. Il futuro degli ecosistemi montani secondo Barbara Ryan del Geo

Barbara Ryan - Geo
Barbara Ryan – Geo

GINEVRA, Svizzera — “E’ difficile studiare le montagne. Ma sono fonte di informazioni molto preziose, che permettono di prevedere meglio cosa accadrà a livello globale. Ci vorrebbero decine di Laboratori Piramide in tutto il mondo”. Parla così Barbara Ryan, Direttore del segretariato del Geo (Intergovernmental Group on Earth Observation), che ieri a Ginevra ha tenuto un summit sul Geoss, che ha l’obiettivo di creare, da oggi al 2015, un sistema centrale che permetta di accedere a tutti i sistemi di osservazione del pianeta. Alle montagne è stata dedicata un’attenzione particolare, con il side event “The role of Mountain Ecosystem in the Geo work program” durante il quale è stato presentato il progetto Geo-Gnome per la raccolta e la condivisione dei dati sugli ecosistemi montani. “Solo condividendo i dati le persone si sentiranno coinvolte e agiranno per proteggere questi ecosistemi” dice la Ryan, che in questa intervista spiega perchè tanta attenzione va data alle terre alte.

Dott.ssa Ryan, qual è il ruolo delle montagne nel progetto Geoss?
Quello che stiamo cercando di fare come Geo – che raccoglie 90 paesi e 67 organizzazioni partecipanti – è di portare i dati, le osservazioni raccolte dalla Terra ai grandi problemi della società: agricoltura, biodiversità, clima, energia, acqua. Se guardiamo gli ecosistemi montani, vediamo che questi problemi li riguardano tutti. Quindi pensiamo non solo che gli ecosistemi montani siano importanti per il mondo, ma che spesso siano anche indicatori precoci dei cambiamenti che stanno avvenendo anche in altre parti del mondo, forse a causa del cambiamento climatico. Sono anche molto fragili e meritano attenzione, tutela e conservazione.

Crede che dovremmo studiare più le montagne?
Assolutamente sì. Uno dei motivi per cui noi forse non le abbiamo studiate abbastanza è che sono difficili da raggiungere soprattutto con attrezzature scientifiche. Il Laboratorio Piramide, interamente finanziato e gestito dall’Italia, è molto importante perché è una delle poche stazioni fisse e complete in alta quota. Sarebbe bello avere un po’ più di Piramidi come quella sulle montagne di tutto il mondo. Sarebbe il sogno di molti scienziati.

Pensa che sappiamo abbastanza sui cambiamenti climatici in montagna?
La scienza dice che non sappiamo mai abbastanza. Come sempre si fa ricerca su una questione particolare, che finisce per porre un altro problema, e rende necessario proseguire nella raccolta dei dati per rispondere alla nuova domanda. Ma credo che sappiamo abbastanza per adottare alcune azioni necessarie a proteggere questo ambiente più di quanto si stia facendo ora. Se la domanda è: abbiamo abbastanza informazioni per agire in questo momento? Allora credo che la risposta sia sì.

Quindi il primo passo è l’osservare. Quale è il secondo passo?
Il primo è raccogliere osservazioni sia da terra – come in Piramide – sia dallo spazio – come si fa con i satelliti. Poi è necessario mettere insieme queste informazioni per costruire una storia completa Mi comporto da Geo: crediamo che scienziati, governi e le istituzioni debbano mettere le informazioni a disposizione del pubblico, in modo che altre persone possano vedere questi dati, si interessino a queste tematiche, e comincino ad acquisire consapevolezza e a prendere delle misure in merito. Ci deve essere una trasparenza globale su quanto sta succedendo in questi ecosistemi. Solo così la gente potrà sentirsi coinvolta quello che sta succedendo. Gli alpinisti, per esempio, sanno bene tutti i cambiamenti che stanno avvenendo sulle montagne, ma sono una comunità molto piccola, non tutti possono scalare. Bisognerebbe prendere quello che sanno gli alpinisti e condividerlo con il pubblico in generale.

 

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