Alpinismo

Caso Simone Moro: ma com’è andata veramente?

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PECHINO, Cina — Il caso di Simone Moro, sconfinato in Tibet senza permessi  dopo la scalata all’Everest, fa il giro del mondo. Tanto che persino l’agenzia d’informazione cinese Xinhua decide di occupersene fornendo la versione del governo cinese.  

Come vi abbiamo raccontato nei giorni scorsi Moro è già rientrato a Kathmandu. Ma, secondo quanto riporta la suddetta agenzia d’informazione, l’alpinista sarebbe stato espulso. Altre fonti invece riportano che non si sarebbe trattato di un’espulsione coatta, bensì di un semplice transito, peraltro risoltosi senza grandi problemi, se non una multa di una cinquantina di dollari.   
 
Stando a quanto riferisce l’agenzia Xinhua – molto vicina al governo cinese – Simone Moro ha iniziato a scalare la montagna più alta del mondo dal versante sud in Nepal il 20 maggio e ha raggiunto il campo cinese sul versante nord due giorni.
 
"Il campo ha immediatamente informato l’associazione dell’ingresso illegale nel territorio cinese", riporta Xinhua citando l’Associazione alpinismo tibetana.
 
Secondo questi ultimi "Moro, alpinista esperto che è entrato molte volte in Cina con i documenti in regola, ha detto all’associazione di non poter tornare indietro perché le corde sono state tagliate", riporta sempre Xinhua. Ma iI segretario generale dell’associazione Zhang Mingxing avrebbe risposto che "non era una buona giustificazione".
 
"Il versante sud non è difficile come quello nord", ha precisato Zhang. "Anche senza corde, un alpinista esperto come Simone può tornare indietro". Da qui la decisione di espellere Moro da Zhangmu, ha concluso Xinhua.
 
La versione cinese, ribattutta dai media occidentali, carica dunque sull’espulsione dell’alpinista bergamasco. In questo momento Moro è in volo di ritorno in Italia, irraggiungibile per telefono. Stando però a fonti molto vicine all’alpinista, le cose sarebbero molto più blande.
 
Dopo lo sconfinamento Simone si sarebbe recato al campo base, mettendo al corrente i funzionari dell’Associazione alpinistica tibetana della sua posizione. Facendo ricorso all’aiuto di un amico in grado di parlare il cinese, Moro avrebbe spiegato che il suo non era uno sconfinamento volontario, ma il frutto di una scelta obbligata dalla situazione meteorologica sull’Everest.
 
Dopo aver pagato la multa, l’alpinista bergamasco avrebbe ricevuto qualcosa di paragonabile a semplice un foglio di via. Quindi avrebbe preso regolarmente in affitto una jeep – senza alcuna scorta militare di nessun genere – e si sarebbe diretto al posto di frontiera di Zhagmu. Da dove poi sarebbe rientrato, tranquillamente, in Nepal.   

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