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La neve delle Alpi fonde più velocemente a causa della sabbia del Sahara

La Giornata Mondiale dell’Ambiente 2019 ha ricordato alla collettività quanto l’inquinamento atmosferico sia dannoso per la salute, umana ma anche degli ecosistemi.

Lo stretto legame tra incremento dei gas serra di origine antropica e riscaldamento globale è tristemente noto, così come acclarato è anche l’effetto del surriscaldamento sullo stato dei nostri ghiacciai.

Uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, sotto la guida di Biagio di Mauro, in collaborazione con Arpa Valle d’Aosta, INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), enti francesi quali l’Università di Grenoble Alpes, Météo-France e CNRS e il Max Planck Institute di Monaco di Baviera, ha però recentemente dimostrato che a incidere sullo scioglimento dei ghiacciai alpini, oltre agli inquinanti originati da attività umane, vi sia anche un elemento naturale: la sabbia del Sahara.

Lo studio è stato condotto in un’area sperimentale situata a 2.160 metri di quota nel comune di Torgnon, in Valle d’Aosta. Annualmente 700 milioni di tonnellate di sabbia del deserto del Sahara vengono immesse nell’atmosfera e trasportate anche a distanza fino alle alte quote alpine, dove ricadendo su aree ricoperte di neve o ghiaccio ne determinano, a causa del loro colore rossastro, una diminuzione della capacità riflettente (albedo) con incremento consequenziale dell’assorbimento luminoso e del surriscaldamento della massa. In tal modo ghiaccio e neve tendono a fondere più velocemente.  

Gli esperti coinvolti nel progetto “Saharan dust events in the European Alps: role in snowmelt and geochemical characterization”, pubblicato sulla rivista The Cryosphere, hanno analizzato nell’area di saggio l’effetto nel tempo di tali deposizioni sabbiose sulla velocità di scioglimento delle nevi, attraverso l’applicazione di un modello numerico che ha permesso di simulare la dinamica nivale includendo ed escludendo l’effetto delle polveri”, come si legge in una nota dell’Ateneo.

In annate caratterizzate da intensi accumuli di polveri, come la stagione 2015/2016, nella zona di Torgnon è stata rilevata una scomparsa anticipata della neve di circa un mese, pari a un quinto della stagione nivale.

Il fenomeno delle polveri del Sahara si va ad aggiungere alla lista di fattori che minacciano la copertura nevosa alpina, quali precipitazioni invernali sempre più scarse e alte temperature primaverili ed estive, con compromissione del fisiologico ciclo idrogeologico delle vallate, che vedono nella fusione della neve stagionale la principale fonte idrica.

Non si esclude che anni caratterizzati da intense deposizioni di polveri sahariane in quota possano influenzare, di conseguenza, anche la disponibilità idrica in pianura, con aumento degli episodi di intensa siccità estiva.

Come spiegato da Roberto Colombo dell’Università di Milano-Bicocca, nel prossimo futuro “questi studi saranno applicati ad immagini satellitari come quelle del sensore Prisma, recentemente lanciato in orbita dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi)“.

 

 

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Un commento

  1. Fosse solo sabbia…porta anche virus e spore….staremo a vedere.Ma se qualcuno visiona al microscopio, meglio.

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