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L’uomo della Piramide dell’Everest

Gian Pietro Verza, Guida Alpina, progettista elettronico, ma soprattutto l’uomo della Piramide dell’Everest. Da quasi trent’anni è il responsabile tecnico del Laboratorio Piramide, che ha contribuito a far nascere, crescere – fornendo supporto e partecipando ai tanti progetti scientifici ospitati – e oggi sopravvivere, malgrado le difficoltà.

 

Quale è stata la tua prima volta alla Piramide?

“Era il 1989 e partecipavo alla prima spedizione scientifica interdisciplinare di Ev-K2-CNR, a Lobuche, 4930 m. Era una spedizione con anche un’anima alpinistica: la formidabile piramide del Pumori, 7150 m. Mentre gli altri alpinisti aprivano la via, io ero alle prese con i generatori scarburati per via della quota e quando riuscivo, anche per disintossicarmi, facevo una corsetta sopra Lobuche ed è cosi che ho visto “il posto”.

Dopo Piazza Tienanmen e l’annullamento dell’installazione a Rongbuck in Tibet, Ardito Desio e Agostino Da Polenza ottennero abilmente da re Birendra del Nepal il permesso per quel “posto”. Tra giugno e agosto 1990 la Piramide prendeva forma. Il primo di settembre, come da programma, veniva inaugurata. Desio venne a farci visita e io attivai il primo telefono satellitare della valle, che funzionava grazie a una saldatrice e un fornello nepalese che ci permettevano di convertivamo elegantemente la corrente 220 V nostra ai 115 V “americani” richiesti dall’oggetto”

Chi è professionalmente Gian Pietro Verza?

“È uno che nasce con una gran passione per l’elettronica, fin da ragazzino, giocando con le alte tensioni (bucavo i piattini da caffè) oppure con le trasmissioni radio (creando interferenze televisive) o, quando ero tranquillo, ascoltando musica a manetta con amplificatori tiratissimi e casse gigantesche. Mia madre si arrabbiava molto. Così sono diventato un progettista elettronico.

Poi è successo qualcosa. La Natura e il suo richiamo, nella forma più affascinante: la montagna. Mi lanciai in una serie di uscite nel weekend sempre più spericolate. Mi costò caro, poche settimane la prima fidanzatina mi lasciò, proprio quando la cosa si faceva sfiziosa. Da lì in avanti una cometa: imparai di tutto e sempre portando le cose al limite.

Una sera decisi che non potevo continuare a vivere lontano dalle montagne, così mi iscrissi a un corso di guida ambientale e molto presto decisi che tanto valeva diventare Guida Alpina.  Ho lasciato la sicurezza del laboratorio di elettronica per gli imprevisti di un’attività da avviare, da solo: non volevo interferenze in una scelta cosi speciale. Nel 1998 al campo base dell’Annapurna divenni Gian Pietro “Curent” e iniziai la carriera di specialista d’alta quota”.

Cosa è per te il Laboratorio osservatorio Piramide?

“È una base formidabile per quello che è, per dove è e per quello che ha “imparato a fare” in quasi 30 anni di attività. Ma per capirlo fino in fondo bisogna vederla di persona: dopo sette giorni di trekking, quanto approdi alla testata della valle del Khumbu e vedi dietro le creste le montagne del Tibet, entri in un’insignificante quanto bellissima valletta e improvvisamente il cristallo si accende di luci e di riflessi. Chiunque a quel punto capisce di essere davanti a qualcosa di unico e irripetibile, dove qualunque cosa può avvenire”

Quanti progetti hai supportato?

“Tantissimi, la maggior parte direi. Sempre usando sensibilità, attenzione e anche l’astuzia per far funzionare gli strumenti, con qualche mal di pancia dei ricercatori”

Quali sono stati i più interessanti scientificamente?

“Certi test di fisiologia dove bisognava arrivare alle massime possibilità dei test-man; gli studi sul sonno; le misure orbitografiche che ci danno uno spostamento di 4 cm annui; il tracciamento degli inquinanti che ci raggiungono da tutta l’Asia. Gli studi su questo affascinante clima che spazia da un estremo all’altro e che qualche volta ci dona un effetto phoen, come nelle Alpi, e scopri mattinate tiepide dopo sere a -15 C°”

La scienza e la tecnologia qui si intrecciano con l’alpinismo come è successo per le misurazioni dell’Everest o l’installazione delle stazioni meteo a Colle Sud…

“Sono convinto che gli studi dei climi estremi e delle altitudini estreme devono approfittare della professionalità di esperte guide e alpinisti himalayani. La qualità delle misure dipende dalla resistenza che queste persone sanno mettere in atto pur di completare il lavoro. È stato per me un privilegio addestrare e poi dirigere i team delle stazioni di Colle Sud. Abbiamo fatto un lavoro armonico con sherpa e occidentali, non c’è mai stata una discussione né un fraintendimento, i team hanno sempre portato a termine il loro lavoro in anticipo sui tempi”

Da cinque anni stai lavorando da volontario per tenere in piedi il Laboratorio Osservatorio Piramide. Perché lo fai?

“Perché nella vita è necessario fare delle cose in cui credi e io so quanto importante sia questo laboratorio. So anche che abbiamo perso il 15% della sua vita utile fino a oggi.

Per questo penso non ci sia più tempo da perdere e che questo gioiello debba rimanere attivo ed efficiente perché la ricerca ne ha bisogno, perché i nostri giovani scienziati e dottorandi hanno bisogno di una base così, dove “emozionarsi”. Ecco, io ora penso a loro e penso a quanto e andato perso di quello che potevamo offrirgli”

Cosa hai fatto nel mese di maggio che hai passato alla Piramide?

“Ho cancellato tutti gli impegni, anche professionali come consulente, e sono salito. Mi son rimboccato le maniche, sapendo che tutti gli interventi di manutenzione dovevano essere fatti a costo pressoché zero. Mi sono ingegnato, ho recuperato parti, ho trovato alternative, ho cercato di avere il più possibile degli oggetti funzionanti”.

Quale futuro vedi per la Piramide?

“Uno solo: che torni a funzionare, che abbia dignità di esistere. Noi italiani non possiamo permetterci di svalutare un’eccellenza che il mondo intero ci invidia. Non possiamo offendere lo spirito di pionieri come Desio, gente che ci ha consegnato uno strumento così unico. Esploratori che sacrificavano mesi di vita per raggiungere le loro mete.

Noi, generazione dei jet, dei GPS, internet e telefoni satellitari vogliamo dimenticare la nostra storia? Per noi è tutto così facile, ma dovremmo fare di più invece di trascurare i doni ricevuti”

Quale impressione ti hanno lasciato gli incontri dell’ultimo mese con molti soggetti nepalesi e internazionali?

“Sono stupiti, ne vogliono sapere di più, ci chiedono perché non c’è un’attività frenetica. Io rimango travolto dall’emozione e dall’entusiasmo degli ospiti importanti e penso che non riesco a dare loro giustificazioni di uno stato di fatto come quello corrente. Ma prometto loro tutto il nostro impegno per non perdere occasioni. Per il futuro della ricerca e per essere di stimolo ai giovani che sono incuriositi da questa opportunità”

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